Il titolo non ha il punto interrogativo, così che non si possa cadere nel plagio con il libro di Bukowski. Che poi è un libro di poesie uscito postumo, con tutti i temi cari al nostro scrittore ubriacone. Un titolo che Culicchia trasforma in affermativo, per poi dedicarsi ad una scrittura a ruota libera sui fasti (pochi) ed i nefasti (tanti) del mestiere di scrittore. Lasciando in finale, ed è un bene, e bisogna leggerla, la poesia di Bukowski (ne troverete senz’altro una versione online, che è molto diffusa, per cui non ve la riporto). Il libro è in ogni caso di difficile catalogazione, una sorta di gradita affabulazione, con qualche ridondanza, ma anche con spunti da riprendere. Non è certo un saggio (anche se in mancanza di altri posti l’ho avvicinato ad altri di altrettanta difficile collocazione), né un manuale per scrittori. Forse, come sottintende l’autore, un avvicendarsi di pensieri durante la propria vita di scrittore. Laddove, partendo dal suo personale, Culicchia prova (spesso azzeccando, sempre con gusto) a generalizzare le proprie esperienze. Culicchia è inoltre un autore che a me sta simpatico a pelle, anche se ho letto un solo suo libro (“Torino e casa mia”, un viaggio amoroso e piacevole in una città che ho scoperto solo in tarda età). Prima o poi leggerò altro, quindi non entrerò a gamba tesa sparando giudizi drastici, del tipo questo libro è meglio di quello, il tal altro libello è una cagata pazzesca. Altri lo fanno, ma io recensisco e solo tangenzialmente critico. Per tornare al nocciolo duro della narrazione, le scarne 150 pagine passano in rassegna i tre stadi attraverso i quali si estrinseca la carriera di una persona che riesce a farsi pubblicare i propri libri. Come tutti, al primo libro, ed in particolare se il primo libro è pubblicato in giovane età, si viene etichettati come “Brillante promessa”. Uno stadio duro, in cui il pubblicato autore si crogiola di belle critiche, di bei dibattiti, ed è assediato da potenti invidie. Da chi non riesce a pubblicare, da chi ha appena pubblicato, è diventato una brillante promessa, ma questo primo libro di questo nuovo autore l’ha subito declassato al secondo stadio. Lo stadio, ampio, forse il più grande di tutti, quello di “Solito stronzo”. Lo stadio di tutti coloro che pubblicano il secondo libro, ed ovviamente ne ricevono critiche in genere e per svariati motivi, negative. I due principali motivi delle critiche negative sono poi uguali ed opposti. Hai scritto un libro che riprende i temi del primo, allora stai scrivendo sempre la stessa storia. Hai cambiato registro, allora hai tradito lo spirito del primo libro. Solo in veneranda età, solo passando forche caudine a volte insormontabili (e spesso invalicabili ai più) raggiungerai la pace del terzo stadio, quello di “Venerato maestro”. Ma sempre, in ogni stadio, in ogni situazione dovrai: combattere con i responsabili editoriali, sottostare alle dittature dei responsabili del marketing, sorbirti, con il sorriso sulle labbra, le sempre uguali domande dei sedicenti lettori alle presentazioni pubbliche delle tue opere. Quelli che si alzano dicendo “Vorrei fare una domanda provocatoria” e poi si biforcano in domande banali (“quanto c’è di autobiografico nel suo libro?”) o in dissertazioni che non arrivano mai ad una domanda. A questo punto, quello che si può estrapolare con un po’ di fantasia, saltabeccando tra le pagine, sono alcuni consigli, ed alcuni suggerimenti. Primo fra tutti, passare direttamente dal primo al terzo libro, facendo saltare le contumelie sulla mancata coerenza tra il primo ed il secondo. Altro chiodo fisso di Culicchia è l’avversione (caustica ma coerente) al “Fabio Fazio show”, non perché sia fatto male, ma vedendolo nell’ottica (forse a volte radical-chic) di un “Maurizio Costanzo show” del terzo millennio. E poi tirarsela alla David Foster Wallace (ma su DFW ci sarebbe da fare un discorso lungo e contorto, che non essendo io mai riuscito a separare l’autore dall’uomo, non sono ancora mai riuscito a leggerne un libro). Fino alla tirata che riporto sotto, che esemplifica il difficile rapporto tra l’autore ed il contesto letterario (ma è un discorso che va oltre la carta stampata, indirizzandosi a tutti i miei amici ed amiche che sono personaggi pubblici o quasi, e sulle cui frasi bisognerebbe fare una riflessione seria, migliore di quella che, ad esempio, se ne può fare paragonandone gli esiti al libro di Corrias “Dormiremo da vecchi”). Un libro gradevole, un autore a me simpatico, una lettura distensiva che non annoia. Mi sembra che ci siano tutti gli ingredienti per una sana lettura. Che consiglio, salutando amichevolmente Culicchia, sperando anche lui legga queste righe con l’affetto con cui io ho letto il suo libro.
“Dato che per carità tutto può darsi, se proprio ci si tiene l’unica è cercare di farsi accettare dal milieu intellettuale … Il che comporta non di rado una serie di piccoli accorgimenti. Occorre infatti imparare a praticare l’arte del paraculismo ed eccellere in quella del salamelecco, o se preferisci delle pubbliche relazioni, facendo in modo da agganciare le persone giuste, ovvero quelle che detengono il potere all’interno dell’industria culturale, politici e assessori compresi, e come usa dire sapersi muovere. Fondamentale è cercare di fare il possibile per non crearsi nemici, ma al contrario tessere alleanze, in un gioco all’insegna del do ut des che alla fine porta sempre i suoi frutti. Cerca quindi di essere sempre gentile e disponibile a trecentosessanta gradi almeno con coloro che contano, e di salutare sempre tutti con grandi baci e abbracci, e con trasporto, entusiasmo, il sorriso sempre pronto, gli occhi che brillano. Comprese le compagne, le amanti, le mogli. O i compagni, gli amanti, i mariti. Se poi un giorno ti venisse offerto un qualunque incarico, non limitarti a ringraziare, ma tramutati in zerbino. Solo così avrai qualche possibilità. Sempre che la cosa t’interessi davvero, naturalmente. E dando per scontato che tu abbia lo stomaco per guardarti allo specchio, la mattina, quando ti svegli.” (100)
«Preparati. Se proprio vuoi fare lo scrittore, preparati. Ma preparati sul serio. Perché le ferrovie italiane, specie in provincia, sono quello che sono. […] Sappi che prima o poi ti inviteranno per esempio a Perugia, e a meno che tu non sia di Perugia scoprirai quanto sia difficile raggiungere Perugia, quale che sia la stazione di partenza».
(Curiose coincidenze: mentre leggevo questa citazione, ero a bordo dell’Intercity che mi riportava verso casa, con 40 minuti di ritardo, in provincia di Perugia. Signor Culicchia, quanto la capisco!)
Ho acquistato questo manualetto attratta dal titolo e dalla graziosa copertina. Devo dire che non ha tradito le aspettative: è stata una lettura piacevole, che mi ha strappato più di una risata, ma che non manca di suscitare qualche amara riflessione sul mondo dell’editoria. Ripercorrendo le tappe della propria carriera, nelle sue gratificazioni ma anche e soprattutto nei suoi inconvenienti e nelle ricorrenti ossessioni, Culicchia restituisce un’immagine (credo) piuttosto sincera del lavoro di scrittore: mestiere di cui molti hanno un’idea abbastanza romantica e che, invece, è soggetto a necessità e compromessi del tutto prosaici, al pari di qualsiasi altra professione.
Per chi è interessato a pubblicare o ha appena pubblicato qualcosa o comunque ambisce a un posto tra gli addetti ai lavori, il libro può avere una certa utilità. Un’utilità, per così dire, smaschera-sogni, che cinicamente decostruisce una o due centinaia di illusioni. Per questo consiglierei di prenderlo col sorriso sulle labbra, in modo da non farsi smorzare ogni entusiasmo.
Credo che il panorama dell’editoria sia un po’ cambiato rispetto allo scenario descritto da Culicchia: oggi il canale del self-publishing, sempre più utilizzato, sta allevando scrittori (polemica: dobbiamo/possiamo definirli/ci tali?) sempre più disincantati, per i quali l’accesso al Dorato Mondo delle Lettere non è più una meta così ambita né auspicabile e che sanno per primi re-inventarsi imprenditori di se stessi. Si parte, insomma, con qualche illusione in meno, con qualche abilità in più. Se questo sia un bene o un male, non so dire: penso solo che la paura di fallire o anche un pregiudizio verso i tradizionali canali dell’editoria non dovrebbero impedirci la felice ingenuità del tentativo. E, soprattutto, niente dovrebbe intaccare la felicità di scrivere, unico motivo legittimo per “voler fare lo scrittore”.
A meno che non ti esca
dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
Quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sé e continuerà finché tu morirai o morirà in te.
(Charles Bukowski)
Divertente e semiserio vademecum per aspiranti scrittori.
Culicchia racconta in prima persona prendendosi in giro e prendendo in giro il dorato (…) mondo dell'editoria.
Esagerando si potrebbe definire agile manuale per chi vorrebbe diventare uno scrittore ma non ha la più pallida idea di cosa incontrerà sul suo percorso.
Ironia a piene mani, una certa Marie Kondo dovrebbe prendere esempio...
Ironico. Onesto. Irriverente.
Questo è il libro che Giuseppe Culicchia, scrittore e traduttore, dedica a chi desidera entrare nel mondo dell’editoria. O, come lo chiama lui in tono sarcastico, il “dorato mondo delle Lettere”.
Il titolo è un richiamo alla celebre poesia di Bukowski, riportata nell’ultima pagina.
La premessa ci introduce al tema ponendo immediatamente un quesito: quali sono gli “scrittori” che possono davvero definirsi tali?
La risposta, secondo l’autore, strizza l’occhio a una frase di Hemingway: “la gran cosa è durare”. Un vero scrittore, quindi, è soltanto colui che scrive libri in grado di durare nel tempo. Libri che sono cercati, letti e amati anche a distanza di decenni dalla loro pubblicazione. Continua sul mio blog: http://wip-lit.blogspot.it/2015/03/e-cosi-vorresti-fare-lo-scrittore.html
Chi ama leggere di questi argomenti sa che troverà cose risapute, tranne qualcheperla. Spesso quel che ti affascina è la "voce": vedi S. King. Qui risaputa è anche la voce, e le perle non le ho trovate (semicieca, ok).