Un'accozzaglia di frasi fatte e luoghi comuni conditi da sciagure come religione, anima e Dio.
Stupendo. Un autore che riesce ottimamente a descrivere il comportamento umano nei confronti di se stesso e della ricerca di un senso.
Dicono che libri come “Il cammino dell’uomo” di Martin Buber non vanno cercati tanto saranno loro a trovare te. È andata così: scritto da tempo in chissà quale lista di libri che “questo prima o poi devo leggerlo”, me ne ero completamente scordato. Poi in uno dei miei pellegrinaggi nei punti di scambio bookcrossing cittadini, l’ho visto e l’ho preso senza esitazioni. Quello di Buber è un libro che in poche ore dona quel briciolo di consapevolezza in più, quello che ti fa riprendere il cammino con un po’ più di peso e di coscienza sulle spalle; è un saggio che parla al contesto particolare, è la trascrizione di una conferenza tenuta dall’autore sulla dottrina chassidica ma si rivolge a tutti, agli uomini, dal momento che siamo tutti viandanti. Il cammino è quello verso Dio ma la metafora è più grande e si estende al viaggio tutto, quello della vita. Il vigore di queste parole all’inizio stordisce; ci si ferma e si va a passi lenti, soppesando quelle parole e mettendole a confronto con la propria esperienza, il proprio cammino. Apparentemente è un po’ triste che le parole di Buber vengano rivolte solo al passato, al proprio giardino privato ma è quello che l’autore vuole da noi ed è solo il primo passo. Non è un banale esame di coscienza; è la costruzione di uno sguardo rivolto al futuro. Non a caso il primo capitolo è intitolato: “Ritorno a se stessi”. “Ritorno”: quindi un movimento rivolto all’indietro, richiamati da una voce: “Dove sei nel tuo mondo?” (Gen. 3.9). Rispondere è l’unico atto che permette l’intrapresa del cammino, la costruzione di qualcosa che abbia una direzione: sapere dove si è arrivati e come, per continuare, magari con qualche deviazione all’itinerario. Le deviazioni. Sono importanti, ci dice velatamente Buber, danno corpo a quella unicità che è la nostra forza; spesso cerchiamo di sopprimerla, per paura di mostrarci eccentrici, ed è invece in lei che si annida, in potenza, quello che possiamo dare a questo mondo, la nostra impronta. E questa unicità dobbiamo conoscerla a fondo per improntare secondo i suoi dettami il nostro percorso; è la saggezza immortale del greco “gnothi seautòn” che riemerge, come se quelle parole invece che sul tempio di Apollo a Delfi fossero state scolpite nell’anima dell’Uomo. Solo rammendando continuamente gli strappi che nel tessuto di un’anima si possono verificare, si può dar vita ad un percorso unificato. La nostra anima deve essere unificata, ci dice Buber, coinvolgendo anche il nostro corpo nel progetto; cosa non semplice, soprattutto oggi… La forza di questo messaggio ne esce rinnovata: nel nostro mondo in cui viviamo quotidianamente frammentati e decostruiti, tenere lo sguardo sull’obiettivo, unire i puntini, che sulla settimana enigmistica ci sembra così facile, non sempre ci riesce; la sequenza può essere spiazzante. Anche questa è l’altra faccia del “conosci te stesso”, senza la quale nessun cammino può essere cominciato.
Arrivati a poche pagine dalla fine del libro, si comincia a diventare impazienti… vorremmo essere in quella stanza con Buber e chiedergli “Vabbé, ma ‘sto cammino quando comincia?”; e con tempismo perfetto lui inverte il suo discorso, in modo quasi sublime:
«Basta porsi quest’unica domanda: “A che scopo?”, a che scopo abbracciare il mio cammino personale, a che scopo portare a unità il mio essere? Ed ecco la risposta: “Non per me”. Perciò anche prima si diceva: cominciare in sé stessi, ma non finire con sé stessi; prendersi come punto di partenza, ma non come meta; conoscersi, ma non preoccuparsi di sé».
Volgersi verso gli altri, quindi; non occuparsi più di sé. Dopo aver mondato il nostro luogo e tracciato il cammino, il passo successivo e ineludibile, senza il quale non siamo compiuti, ci dice Buber, è l’incontro con l’altro, con il “tu”. Definirla una lezione da custodire gelosamente dentro di noi sarebbe sbagliato, dovremmo metterla in pratica, liberarla dall’Io e gettarla nel mondo.
(scritta per http://sharadaweb.wordpress.com)
Il ritorno decisivo a se stessi e' nelle vita dell'uomo l'inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma e' decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno a sestessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e a ulteriori trappole. (pag. 23)
Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non e' mai esistito, qualcosa di primo e unico. … Ciascuno e' tenuto a sviluppare e dar corpo proprio a questa unicita' e irripetibilita', non invece a rifare ancora una volta cio' che un altro ha gia' realizzato (pag. 27)
Il cammino particolare
Siamo qui in presenza di un insegnamento che si basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E' infatti la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano. L'universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a lui, ciascuno dei quali è riservato a un uomo. (pag. 28)
Dio non dice: "Questo cammino conduce fino a me, mentre quell'altro no"; dice invece: "Tutto quello che fai può essere un cammino verso di me, a condizione che tu o faccia in modo tale che ti conduca fino a me". Ma in che cosa consista ciò che può e deve fare quell'uomo preciso e nessun altro, può rivelarsi al'uomo solo a partire da se stesso. In questo campo, il fatto di guardare quanto un altro ha fatto e di sforzarsi di imitarlo può solo indurre in errore; comportandosi così, infatti, uno perde di vista ciò a cui lui, e lui solo, è chiamato. Il Baal-Shem ["Possessore del Nome": così venne chiamato il fondatore del chassidismo, Rabbi Israel ben Eliezer (1700-1760)] dice: "Ognuno si comporti conformemente al grado che è il suo. Se non avviene così, e uno si impadronisce del grado del compagno e si lascia sfuggire il proprio, non realizzerà né l'uno né l'altro". Così il cammino attraverso il quale l'uomo avrà accesso a Dio gli può essere indicato unicamente dalla conoscenza del proprio essere, la conoscenza della propria qualità e della propria tendenza essenziale. "In ognuno c'è qualcosa di prezioso che non c'è in nessun altro". Ma ciò che è prezioso dentro di sé, l'uomo può scoprirlo solo se coglie veramente il proprio sentimento più profondo, il proprio desiderio fondamentale, ciò che muove l'aspetto più intimo del proprio essere. (pag. 29-30)
Cominciare da se stessi
Il problema della vera origine del conflitto fra gli uomini... Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate. (pag. 44)
Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva mi sfugge immediatamente.
Così insegnava Rabbi Bunam: "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché non la si è trovata. (pag. 45)
... in cosa consiste il conflitto interiore determinante. Si tratta del conflitto fra tre principi nell'essere e nella vita dell'uomo: il principio del pensiero, il principio della parola e il principio dell'azione. Ogni conflitto fra me e i miei simili deriva dal fatto che non dico quello che penso e non faccio quello che dico. In questo modo, infatti, la situazione fra me e gli altri si ingarbuglia e si avvelena sempre di nuovo e sempre di più; quanto a me, nel mio sfacelo interiore, ormai incapace di controllare la situazione, sono diventato, contrariamente a tutte le mie illusioni, il suo docile schiavo. Con la nostra contraddizione e la nostra menzogna alimentiamo e aggraviamo le situazioni conflittuali e accordiamo loro potere su di noi fino al punto che ci riducono in schiavitù. Per uscirne c'è una sola strada: capire la svolta - tutto dipende da me - evolere la svolta - voglio rimettermi in sesto.
Ma per essere all'altezza di questo grande compito, l'uomo deve innanzitutto, al di là della farragine di cose senza valore che ingombra la sua vita, raggiungere il suo sé, dove trovare se stesso, non l'io ovvio dell'individuo egocentrico, ma il sé profondo della persona che vive con il mondo. e anche qui tutte le nostre abitudini ci sono di ostacolo. (pag. 47)
Non preoccuparsi di sé
Cominciare da se stessi ma non finire con se stessi; prendersi come punto di partenza, ma non come meta; conoscersi, ma non preoccuparsi di se'. (pag 50)
"Cosa chiedo a ciascuno di voi? Tre cose soltanto. non sbirciare fuori di sé, non sbriciare dentro gli altri, non pensare a se stessi." Il che significa: primo, che ciascuno deve custodire e santificare la propria anima nel modo e nel luogo a lui propri, senza invidiare il modo e il luogo degli altri; secondo, che ciascuno deve rispettare il mistero dell'anima del suo simile e astenersi dal penetrarvi con un'indiscrezione impudente e dall'utilizzarlo per i propri fini; terzo, che ciscuno deve, nella vita con se stesso e nella vita con il mondo, guardarsi dal prendere se stesso per fine. (pag. 55-56)
...ContinuaCredo dovrebbero leggerlo tutti come ben più autorevolmente di me ha detto H. Hesse: UN AUTENTICO DONO.