Trovo Marco Polillo un autore molto particolare, che può piacere, e anche molto (come avviene per me, tant’è che – lo specifico subito – a questo libro do cinque stelle), o non piacere per nulla. A misurarlo con i tradizionali parametri vandiniani, ce ne sono due che, con esiti diametralmente opposti, vanno presi in considerazione. Il primo (con risultanza del tutto positiva) è quello che invita lo scrittore a mettere a disposizione del lettore tutti gli stessi indizi di cui dispone l’investigatore cartaceo: ne disserterò a parte, perché occorre spoilerare per spiegare bene il motivo del mio giudizio, ma dirò qui che il fair play dell’autore è totale (ed essendo “il più grande gioco del mondo” il motivo per cui leggo gialli ne traggo massima soddisfazione. Il secondo dettame del giallo classico secondo Van Dine (al contrario pienamente tradito da Polillo) è quello di non inserire tematiche “rosa” in un giallo. Le vicende sentimentali di Zottia, che rendono seriale la produzione letteraria di Polillo, sono invece un cardine fondamentale della narrazione, tant’è che, sulle trecento pagine di questo romanzo, direi che siamo vicini a una ripartizione quasi totalmente paritaria tra il “caso” e la storia del vicecommissario con l’ex moglie, Serena e, adesso, anche Giulia. A me, questa commistione, non dà nessun fastidio, anche perché la trovo ben calibrata, e anzi rende più piacevole e coinvolgente la lettura del libro non solo come un enigma da svelare (fattore che, lo ripeto, per me rimane prioritario), ma anche come un romanzo tout court. E poi trovo la placida ambientazione lacustre assolutamente deliziosa, con i ritmi tranquilli della narrazione che ottimamente si sposano con il clima del paesino e con quel respiro di aria lacuale che rilassa i nervi e agevola la lettura. Tutto ciò premesso (e aggiunto che i personaggi risultano credibili, accattivanti e ben delineati), passando nello specifico alla vicenda gialla, va detto che, oltre al fatto di avere sostanza per un romanzo esclusivamente settoriale molto più breve, di per sé non è nulla di trascendentale, ma comunque ben costruita, con un’evoluzione collegata strettamente allo sviluppo delle indagini seguito nella prospettiva del protagonista e, come detto, risolta in maniera impeccabile. Ma, al riguardo, per spiegarmi meglio devo spoilerare…
...Continua...ed ecco, allora, la mia consueta recensione spoilerata, che scrivo ogni volta che la vicenda gialla merita una riflessione sull’apparato indiziario (con conseguente encomio per l’autore). Il mosaico che va ricomposto (cosa che, in tutta onestà, non sono riuscito a fare, sebbene alla “gara” per indovinare il colpevole io non mi sottragga mai…) porta a concentrare sempre più il tiro in una sorta di “ragionamento ad esclusione”, sulla base del quale, alla fine, non rimane che una persona. Polillo è estremamente onesto, quando apre un capitolo dicendo che è il caso ad aiutare Danova: l’impressione che ho avuto nella lettura è legata al fatto che, da lì, gli investigatori “ufficiali” possono capire che, nelle case, i ladri sono entrati con le chiavi del giardiniere (ciò che il lettore già sa); in realtà, è proprio da quel capitolo che anche il lettore deve prendere le mosse per risalire alla corretta ricostruzione completa della verità sugli omicidi. Un ragionamento che, brevemente, riassumo così: l’indizio-base è il fatto che le chiavi non siano duplicabili; da qui si passa a capire quali siano le chiavi usate per entrare nelle case senza effrazioni; il passo successivo (e decisivo, che io non ho fatto) è ricollegarvi la considerazione che, sul cadavere di Mario, non sono state trovate le chiavi, ma tutto il resto sì: l’unica spiegazione possibile è che qualcuno non voglia far sapere quali chiavi sono state usate e quindi allontanare i sospetti da un determinato nucleo di persone. Una volta ristretto il cerchio ai soli tre familiari, va escluso il figlio Christian (perché non avrebbe avuto senso la sua volontà di confessare la sua collaborazione ai furti, se prima aveva fatto di tutto per occultare questa notizia), restando con sole due alternative. Avendo il padre l’alibi della partita del Novara (unico piccolo rimprovero a Polillo: non era impossibile, nella narrazione, mettere prima tra le righe il fatto che l’abbonamento allo stadio fosse stato bucato…) per il secondo omicidio, resta solo la madre Emma. Chapeau.
...ContinuaUn giallo giallino stinto, un rosa scipito: l'unione o tentativo di unione dei due generi sortisce un libro che può considerarsi un esercizio di scrittura dell'autore e una noia mortifera per il lettore. Evitabile.
Le improbabili e noiosissime vicende sentimentali del vicecommissario Zottia (che abbandona il posto di lavoro per tornarvi quando gli pare), ne fanno un personaggio insopportabile. L'autore, molto più bravo nella costruzione della vicenda che nella caratterizzazione stilistica della stessa, pecca di presunzione, scadendo in banalità stilistiche (dalla reiterazione continua delle domande retoriche ai pensieri del gatto) che infastidiscono il lettore e sviliscono il risultato.
...Continua