Togligli la “Presentazione”(?) di Edoardo Affinati dopodiché a questo romanzo di Pasolini non puoi più togliergli nulla: non una frase, una parola: “Il sogno di una cosa” è una macchina letteraria perfetta, per me, che arrivavo dalle lettura dello sperimentalone(…) “I calabroni” di Handke. “Il sogno di una cosa” è la forma massimamente riuscita per scrivere un romanzo come ormai non lo vuole scrivere più nessuno.
“Il verde era ancora invernale” quando inizia la storia, passando per i paesi lungo il Tagliamento, dove ci trovi i festeggeri, i magredi, il ravosto e gli altagni (se cerchi la parola ‘altagni’ su Google, Google ti rimanda direttamente a Pasolini e alla sua questione linguistica; non so a quanti altri scrittori capiti di essere linkati a delle parole come ormai appartenessero più a loro che a un vocabolario, fosse pure dialettale.)
Guai di noia a scivolare nella questione del mondo antico inconfettato da Pasolini che se lo vedeva succiato via da sotto gli occhi dalla trasformazione industriale: saranno pure diventati delle riserve indiane, ma io di paesotti dove tutt’ora si vive di fiaschi di vino, sagre e biciclettate lungo i broli ne conosco, saranno cambiate le etichette dei vini, le leghe di metallo ultraleggere per le biciclette e si sarà aggiunta la dicitura glocal alle sagre, però l’Italia non s’è mica trasformata tutta, e questa non è una bella notizia, così come non arrivano belle notizie dall’Italia che invece s’è trasformata eccome.
“Via, via, gioventù, via all’estero! Fate come me, ragazzi, che ho girato tutto il mondo, le Americhe, il Belgio, la Germania! Andate via ragazzi da questo sacramento di un’Italia. Fate come me, che sono tornato più povero di prima e coi pidocchi.”
La bellezza del romanzo “Il sogno di una cosa” – primo e ultimo, e che ha le migliori qualità di un esordio e di un’opera definitiva: una freschezza narrativa, una genuinità dei fatti, e una maturità stilistica, una potenza strutturale invisibile – è nel suo risultato estetico, nel suo apparire una storia semplice senza esserlo affatto, nella precisione e nell’esattezza della sua costruzione.
Ho iniziato a leggerlo, niente, ho provato ma non ho potuto smettere prima di arrivare all’ultima pagina, con un po’ di affanno, tra balli in piazza, sfruttamenti in Svizzera, rivolte agrarie, l’amore sull’erba e il turno in polveriera, infatti dovrei rileggerlo con meno aizzato ardore, come non fosse una discesa in bici senza freni giù per il vallone tra un paesotto e l’altro.
“Sempre allegriii
non si può stare
e nemmeno
malinconiaaa…”
Cronaca di vita (misera) contadina nel Friuli del dopoguerra.
Bello e onesto come solo un innamorato della campagna e dei suoi abitanti può scrivere.
Scritto nel 1950 ma pubblicato solo dodici anni dopo, “Il sogno di una cosa” rappresenta il primo impegno di Pasolini come romanziere, quando aveva già dato ampia prova del suo estro nella produzione di raccolte poetiche date alle stampe negli anni immediatamente precedenti.
È un romanzo dai toni molto lievi, pur se importante nelle cose raccontate, Pasolini si muove a suo agio in un territorio che lui ben conosce e a lui non indifferente come le genti stesse di cui racconta.
Ambientata nel Friuli dell’immediato dopoguerra, la storia è quella di tre amici che cercano di essere più forti della povertà che attanaglia in quel momento quella regione, mettendo in atto tutto il possibile per poter aspirare a un futuro migliore, senza dimenticare però di godersi anche la vita.
I temi sono quelli cari fin dal primo momento a Pasolini: la contrapposizione classista, la repressione dello stato, l’emigrazione, la denuncia sociale; questi tre ragazzi saranno lo strumento che Pasolini userà per indagare questi temi già allora in questo romanzo e in quegli anni.
La narrazione non assume la crudezza dei romanzi che scriverà dopo, ma non è uguale neanche il contesto, nel sogno di una cosa c’è anche una poetica pasoliniana legata alla descrizione dei luoghi e a un’umanità per quanto povera ancora solidale,
tematiche che si diversificheranno davanti all’assurdo e infernale spettacolo delle periferie romane di qualche anno dopo, da lui espressamente cercato per raccontare la deriva inarrestabile di una società già profondamente malata.
Anche senza arrivare a definirlo una tappa fondamentale del percorso letterario di Pier Paolo Pasolini, cosa che onestamente non è, questo suo lavoro ha comunque il pregio di farci conoscere uno scrittore diverso da quello che in seguito apparirà negli altri suoi romanzi, forse ancora ingenuo nell’esposizione dei fatti, forse troppo legato nelle descrizioni alla sua terra adottiva, ma comunque già centrato sui temi che cercherà di sviluppare e denunciare per tutta la vita, finché ne avrà la possibilità…
Un quadro della dura vita di paese nel post guerra in Friuli. La forza di giovani poveri che si avvicinano al comunismo, con speranze, ma poche prospettive, se non il duro lavoro ammorbidito dalla solidarietà, l'amicizia, l'amore o qualcosa che ad esso somigli.
...ContinuaIdillio campestre, romanzo sulle pulsioni giovanili, pamphlet politico? Un pò di tutto o niente di tutto questo. Un romanzo dalla struttura anomala, senza una vera a propria trama. Le vicende narrate, per quadri scenici, sono solo il pretesto per l'esaltazione naturalistica degli affreschi del paesaggio friulano. Una prova di romanziere a mio avviso mal riuscita.
...Continua