Inserisco il nome dopo qualche riga, altrimenti appare subito, nella schermata che vede anche chi preferisce non approfondire lo spoiler prima di aver letto il libro. Dunque, anche se “fuori tema”, in Il giorno del lupo si scopre che Coliandro è originario di Lecce (anche se mi pare che questo fosse venuto fuori anche in “Falange armata”), che è figlio d’arte (suo padre è stato ucciso in quanto scorta di giudice in un agguato mafioso – il nome non è né Falcone, né Borsellino, ma è chiaro il riferimento di Lucarelli) e che si chiama Marco. Nulla di particolare, ma è esattamente come un trucco di magia svelato: finché non lo si conosce, c’è grande curiosità intorno; quando lo si sa, si dice con leggerezza e quasi sufficienza “ah, va bene...”. Ma chi vede la serie tv e si pone la domanda, senza leggere questo libro, non lo saprà mai.
PS.: Pare che anche di Colombo, in una puntata della serie, sia detto tra le righe il nome...
Concordo con chi considera il libro come una sorta di tre lunghi capitoli di un'unica storia (con il "difetto" di qualche ripetizione di troppo e, perché no, qualche lieve contraddizione) più che una raccolta di tre romanzi a se stanti legati dagli stessi personaggi. Coliandro nasce su carta, ma con già tutti i "germi" per diventare il protagonista di una serie televisiva. E Morelli è perfetto per incarnarne le fattezze, riuscendo anche a dargli quella accuratezza di dettagli caratteriali (goffaggine, arroganza, ma anche onestà) che Lucarelli ha dipinto. A costo di sembrare ripetitivo nelle recensioni puntuali che seguono (questo "cappello" è scritto a posteriori), il consiglio che mi sento di dare, da amante sia di Lucarelli che della fiction televisiva, è quello di leggere il libro "proiettandoselo" nella testa come una sorta di film. E' il modo migliore per gustarselo e non essere troppo cattivi con il suo autore (Lucarelli), che secondo me qui non tocca i livelli eccelsi di un Almost Blue.
NIKITA
È solo un racconto e, come tale, la lunghezza limitata limita anche la possibilità di approfondimento della storia, che risulta buona soprattutto per l'indubbia capacità di scrivere di Lucarelli, che, pur in uno spazio ridotto, riesce a caratterizzare ottimamente i personaggi “base”, creando così l'opportunità di aprire un discorso più ampio. È interessantissima la breve prefazione in cui l'autore racconta la genesi dell'ispettore e come, poi, il suo personaggio gli “abbia preso la mano”. Il racconto in questione può dunque essere indubbiamente una buonissima introduzione a una sorta di “grande romanzo”, che ricomprende tutte le “piccole storie” incentrate su Coliandro: sia quelle contenute all'interno di questo libro, sia quelle successive, sviluppate soprattutto a livello di serie-tv. A proposito: consiglio di leggere il libro immaginandosi il protagonista proprio come interpretato da Morelli, perché questo dà un gusto ulteriore alla storia. Anche perché, considerato al di fuori di queste più ampie prospettive, il racconto, di per sé, non ha nulla di trascendentale. Fatico, insomma, a dare un voto: forse il più giusto è due stelle per chi non conosce Coliandro, almeno quattro per chi lo segue e lo ama. In media, dunque, tre stelle.
FALANGE ARMATA
In effetti, come hanno sottolineato in molti, ci sono diverse ripetizioni, rispetto al racconto “Nikita”, che avrebbero potuto essere risparmiate. Nella trilogia, questo romanzo breve è quello per cui è maggiormente valido il suggerimento di leggerlo pensando ai personaggi e alle immagini della serie tv. Perché, altrimenti, pur con le sorprendenti “intuizioni” di Lucarelli rispetto al caso della Uno Bianca verificatosi nella realtà, la parte gialla è abbastanza deboluccia: soprattutto nel finale avrebbe potuto avere maggiore spazio e approfondimento. Per il resto, a me non da fastidio né il linguaggio, né l’eccessiva goffaggine di Coliandro, che in questo libro diventa una sorta di “punching ball” per le veramente tantissime botte che porta a casa. Al tirar delle somme, arrivo alle tre stelle (un po’ stiracchiate) proprio perché l’ho letto nella prospettiva di considerarlo un “telefilm su carta”.
IL GIORNO DEL LUPO
È sicuramente il migliore della trilogia, sia per struttura narrativa che per enigma, e quindi merita appieno le quattro stelle. Anche qui c’è qualche ripetizione rispetto agli episodi precedenti della “serie” di Coliandro, ma meno che in Falange Armata. Soprattutto, è piacevole l’alternarsi di capitoli narrati in prima persona dall’ispettore/protagonista e brevi interludi con intercettazioni e articoli di giornale (deliziosa l’idea dell’autore di “regalarsi” un cameo come giornalista di un piccolo quotidiano locale, con anche un mini-finale “ad personam). Dicevo che, pur mantenendosi sostanzialmente un hatd boiled “de noantri”, con la figura del pasticcione Coliandro a dominare sul tutto, c’è anche un minimo di sostanza nell’enigma, perché ragionando sulle circostanze che portano i “cattivi” a sapere in anticipo le mosse dell’ispettore e di Nikita, le soluzioni possibili sono solo due (e chi conosce la serie, avendola seguita negli sviluppi televisivi, ne scarta subito una…). Altra nota “di colore”: non è vero che Coliandro, come Colombo, non ha nome! In una delle “intercettazioni” contenute in questo libro, lo si cita con nome e cognome. Non so se dirlo sia spoilerare, per cui preferisco segnalarlo con uno spoiler separato.
Non è una lettura elevata, ma a me Coliandro è simpatico e lo leggo (e lo guardo) volentieri. Sarà che è ambientato a Bologna, o sarà l'ironia, non lo so, ma è il primo romanzo poliziesco che sono riuscito a finire.
Piacevoli romanzi brevi scritti con cura, umorismo(nonostante siano vecchi di più di 20 anni, reggono ancora il tempo...), e conoscenza riguardo indagini, procedure e magistratura. Quasi un miracolo per uno scrittore italiano a volte(senza fare nomi...), ma Lucarelli sà il fatto suo... E mi stupisce anche perchè conosce musica ricercata e la cita non a caso in uno di questi 3 romanzi.
L'ispettore Coliandro è uno sfigato e un coglione, e risolve i casi finendoci praticamente in mezzo tanto per fare il gradasso, e ha visto troppi films polizieschi Pro USA.
E con questa premessa il personaggio è divertente, spassoso a tratti, e Lucarelli lo guida con semplicità fino alla fine.
Un ottimo passatempo, rilassanti racconti, si poteva fare di meglio però, certo...
Un libro che in realtà è una trilogia, ma che va letto come se fossero 2 capitoli e ½ dello stesso romanzo. Un libro di un autore di cui, dai primi scritti del 1990, ho molto, anche se non tutto. Che molto mi piacque e seguì nel suo primo decennio di attività, e che poi continua ad orec-chiare, anche se non con la stessa intensità. Infine, una collana, quella del Giallo Italiano del Corriere che, dopo le prime sedici uscite con molto Scerbanenco, propone un’altra dozzina di romanzi, a partire da questo di Lucarelli. Ho inoltre indicato come data di uscita quella dei tre capitoli, come li chiamo io, in un’unica confezione, mentre singolarmente abbiamo il racconto “Nikita” del 1991, il primo romanzo “Falange armata” del 1993 ed il capitolo finale “Il giorno del lupo” del 1994. Li avevo già nella mia libreria, e li avevo già letti quasi venti anni fa. Ora, tuttavia, ho trovato il gusto di rileggerli, sia per vederne il tempo passato, sia, appunto, per gustarli in una soluzione unica. Ma prima parliamo dell’autore, quando, ancora non travolto, benignamente e con merito, dai fasti televisivi dei misteri notturni ed altre sue meritevoli tra-smissioni, andava presentando il libro “Autosole” appena pubblicato. Era il 2 luglio del 1998, e si stava alla fiera dei libri in Trastevere. Alla fine della divertente serata, mi autografò il libro, ma mentre mi allontanavo, mi accorsi che aveva scritto come data 1 luglio. Tornai indietro, e, una volta andati quasi tutti i presenti, rimasi con lui e discettammo a lungo su quel lapsus. Più che altro per inventare una trama, dove un misterioso assassino usava proprio il trucco della data per costruirsi un alibi. Un esercizio intellettuale, che non portò mai a nessun racconto (che io sappia), ma ad una buona birra in Piazza S. Egidio. Veniamo allora a questi tre capitoli, dove come avrete capito ho una gradita condiscendenza verso l’autore degli anni Novanta. Come spiega nella prefazione postuma, cioè scritta per l’uscita nel 2009, Lucarelli voleva mettere all’opera un poliziotto contemporaneo, dopo aver esordito con l’ispettore De Luca che agiva nei primi anni dell’ultima guerra. Lo voleva inserito nella sua Bologna, ma, volendo usare dei registri un po’ forti, lo stava pensando “machista e razzista”. Cioè l’esatto contrario dei suoi credo. Ma anche più sfortunato che ottuso. Ora, un simile perdente poteva nascere sbilenco se non avesse trovato un contraltare allo sviluppo della storia. Per questo inserisce Simona detta Nikita, punk, dark, psycho, insomma tutto il contrario di Coliandro. Ed è sempre grazie alle intuizioni ed alle conoscenze di Nikita che Coliandro risolve o fa risolvere i casi che affronta. Il primo racconto serve come ad introdurre l’ambiente. Conosciamo Coliandro, Nikita e le anime vaganti nella notte bolognese (quelle che torneranno in “Almost Blue” tanto per intenderci). Coliandro, da sempre emarginato perché da buon razzista ed infatuato di Clint Eastwood, prende a pugni un arrestato prima di farlo parlare, si immischia in situazioni che non gli sono proprie. Cercando di farsi valere come “ispettore Callaghan”, fa solo in modo di mandare a monte un’operazione dei carabinieri. Ma conosce Nikita, e tra i due nasce uno strano sodalizio (opposti che si incontrano). E sarà Nikita a dargli una dritta che risolve un problema di piccoli hacker da strapazzo. Ovviamente il questore la prende a male, e nel romanzo lo trasferisce all’ufficio passaporti. “Falange armata” nasce sull’onda delle prime vicende della Uno bianca, e termina prima che la vicenda reale sia conclusa. Ma serve a Lucarelli per tracciare uno schizzo degli ambienti neonazisti bolognesi. Benché ai passaporti, si aggira sempre per mettersi nei guai, cercando di trovare bandoli di matasse nere tra naziskin ed altre frange eversive. Peccato che, appunto come si scoprirà, ci sono poliziotti in mezzo al casino. Tuttavia, per muoversi negli ambienti “out” non trova di meglio che rivolgersi a Nikita, coinvolgendola in una serie di inseguimenti, botte, uccisioni ed altri momenti difficili. Mentre tutti cercano una pista che non c’è, Coliandro e Nikita si mettono sulle piste di uno skinhead ucciso dopo essere stato fermato. E dopo di lui, tutti quelli che ne sono venuti a contatto fanno una brutta fine. Cosa che sta per fare anche Coliandro, salvato ovviamente da Nikita (con la quale passerà l’unica notte d’amore di tutto il libro). Il caso si risolve, ma Coliandro è sempre più considerato ottuso ed inaffidabile, tanto che dai Passaporti lo passano allo Spaccio. Dove farà casini amministrativi inenarrabili (tipo ordinare 1.500 inutili vasetti di yogurt ai mirtilli), ma dove Nikita lo coinvolge perché ora facendo il Pony Express si ritrova tra le mani una busta con 200 milioni di lire (siamo nel ’94, ve l’ho detto, no?). Ovviamente sono soldi rubati da una cosca mafiosa, che scatenano una guerra tra bande con morti ed altro. E con un coinvolgimento di qualche magistrato compiacente. Altrettanto ovviamente, quando deve scegliere tra due magistrati, Coliandro opta per quello sbagliato, coinvolgendo anche qui Nikita in vicende che li porteranno sull’orlo della rovina. Fortunatamente, i mafiosi decidono che la guerra va contro i loro interessi, e fanno in modo di fermare il tutto, poco prima che Coliandro e Nikita potessero finire uccisi. Finiscono così le avventure dei nostri, con Nikita che si allontana da lui, perché incompatibili, anche se un filo di sensazioni positive scorre fra i due. Purtroppo, Lucarelli non ha trovato altre storie che potessero adattarsi al nostro Coliandro, così che lo lasciamo, sempre macho, sempre razzista, spostato dallo spaccio alle autopattuglie (ma in veste di meccanico…). Lucarelli ha in queste storie un bel piglio ironico che era una delle caratteristiche che più mi erano piaciute all’epoca. E tra un motto e l’altro, riesce a mettere in luce fasti e nefasti della Bologna degli anni ’90, utilizzando quelle modalità che un grande scrittore svizzero, anche se poco noto, Friedrich Glauser disse per la narrativa gialla: “Un ottimo mezzo per dire cose sensate”. Finisco con due note di opposta tendenza. La prima, piacevole, quando Coliandro confessa di odiare il calcio e di preferire la Formula 1 e le corse automobilistica. E vai! La seconda, una tirata d’orecchi ai curatori, che intitolano il libro “L’ispettore Coliandro”, quando per tutte e 323 le pagine Coliandro è solo un sovraintendente, e solo nell’ultima pagina abbiamo il piacere di vedere la cerimonia per la sua promozione ad Ispettore (!). Ma ci fosse una volta che qualcuno ne fa una giusta. Meglio la trasposizione a fumetti, che, molto sagacemente, si chiama solo “Coliandro”.
...Continua