Antonio Budini serve come ufficiale durante la Grande Guerra, portando la divisa Austro-Ungarica. Conosce vari fronti e zone, svolgendo principalmente mansioni di presidio e sorveglianza; Grado, l’Erzegovina, il Montenegro e poi il fronte italiano. La sua famiglia all’inizio del 1915 si sposta da Trieste a Lussingrande, sull’isola di Lussino; durante il conflitto Antonio manda regolarmente viveri a casa dove progressivamente la penuria di cibo si fa rilevante. Si sente italiano e detesta il militarismo che vede incarnato negli Imperi Centrali. Riesce a ottenere il congedo, poi rapidamente revocato; l’aveva ottenuto accentuando un piccolo il malessere a una gamba. Come professore di lettere, laureato a Vienna e buon conoscitore del tedesco, mostra un’enorme curiosità verso i territori in cui deve svolgere il suo sevizia, dedicandosi a escursioni, cavalcate solitarie e brevi viaggi tra le popolazioni dell’enorme e composito impero asburgico. A tratti sembra un etnologo. Vuole scoprire lo spirito degli uomini e del paese in cui di volta in volta si trova. Eccolo ad esempio in Montenegro: “Andavo nei villaggi, entravo nelle case dei montenegrini, e mi avvicinai a quella gente strana, e credetti di conoscerla. Mi familiarizzai con loro per penetrarne lo spirito: sedevo a terra con loro intorno al fuoco e parlavo con loro il linguaggio primitivo di pastori e agricoltori … Dopo poco fui conosciuto in tutti i villaggi … avevo imparato abbastanza di serbo-croato da poter conversare con quella gente”.
Dopo la cruenta ma rapida occupazione del piccolo regno, Budini e il suo reparto vengono trasferiti sul Carso, il fronte più temuto. Qui l’ufficiale vive i suoi momenti peggiori: “E certe notti sul Javorcek le ricordo ancora, perché furono veramente terribili, quando facevo il mio servizio con il vento, con le piogge con la neve. Le ispezioni in una notte volevano dire quattro-cinque ore di aspro cammino, perché per una ronda impiegavo circa un’ora e mezza”. Può visitare con grande interesse l’interno del monte RombonVsic , pieno di corridoi e ambienti costruiti per riparare circa 400 soldati. Durante la visita apprende che gli italiani stanno da tempo preparandosi per mettere una mina sotto il monte. Una sera dalla trincea austroungarica può scambiare qualche parola con i nemici che parlano la sua stessa lingua e stanno nella trincea opposta. Ha modo di incontrare il generale tedesco Von Mackensen, venuto a vedere da vicino i luoghi che sarebbero stati oggetto dell’offensiva di Caporetto. La sera prima del grande attacco, durante un giro di ispezione, Antonio cade malamente. L’infortunio è serio; viene evacuato e non vedrà più il fronte. Tornerà in servizio col grado di capitano a Trieste e riuscirà a ottenere il congedo a guerra ancora in corso.
Le memorie di guerra di papà, scritto da Budini per i figli, è un diario molto particolare: il professore fa della terribile esperienza della guerra un’occasione di conoscenza e approfondimento delle genti e dei luoghi del vecchio impero, indossando più i panni del viaggiatore che non quelli del militare.
Questa è la pubblicazione delle memorie riguardanti la propria partecipazione alla prima guerra mondiale scritte per i figli da un italiano che però in quanto cittadino austriaco combatte nell'esercito asburgico. E' possibile che per chi non abbia avuto una storia familiare simile a quella del protagonista di queste memorie molto di quanto viene scritto sia difficile da capire; è difficile spiegare a chi non proviene da certi luoghi come una persona che era nata in un posto che oggi è a tutti gli effetti Crozia, che era a tutti gli effetti cittadino austriaco, fosse comunque completamente italiano. Però se ci si lascia prendere da questo racconto di un esercito imperiale in cui compaiono ungheresi, boemi, sloveni, croati, italiani ecc. ecc. e, raramente, qualche austriaco malvisto o peggio ancora qualche tedesco, uno spiraglio si apre. Così come il fatto che mi sembrasse quasi di rivedere, e risentire, mio nonno mi ha aiutata a capire il protagonista, questo miscuglio così vitale di sana voglia di vivere, realismo e disprezzo per un impero in disfacimento coniugato però con un profondo senso del dovere e un forte attaccamento ai valori familiari e agli ideali patriottici, spesso espressi con un'ottocentesca ricerca della "bella frase" che negli anni seguenti diventerà, putroppo, terribile retorica. Insomma avevo ricevuto il libro in regalo a Natale e non avevo trovato il coraggio di leggerlo subito pensando che sarebbe stato noioso (solite cose che si comprano solo perchè nominano persone e luoghi conosciuti) invece poi l'ho trovato molto interessante e, a tratti, piacevole e divertente(lo so parla di guerra, ma lui non è un eroe di prima linea). E' comunque un libro contro la guerra, la cui inutilità riesce a dimostrare benissimo, e questo non è poco.
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