Le mille e una notte sono composte da un corpus colossale e confuso. Le storie arrivano più o meno tutte dalla stessa area geografica (gli odierni stati di Iraq, Iran e Siria) e sono ambientate in medio oriente così come in India e in Cina. L'omogeneità territoriale convive con una spiccata eterogeneità temporale: i racconti più antichi risalgono a prima dell'anno mille, in altri ci sono riferimenti alle potenze marinare di Genova e Venezia che li datano al sedicesimo secolo. Ad un certo punto pare che qualcuno - non si sa chi e non si sa dove - abbia iniziato a raccogliere le storie in un volume, un mercante francese le ha trovate, le ha tradotte, e lentamente sono arrivate a noi, circa.
Perché monsieur Galland ha tradotto spannometricamente con l'aiuto di colleghi suoi mercanti, perché pare che abbia inserito dentro anche racconti della tradizione orale, perché pare che di suo stesso pugno abbia voluto contribuire al capostipite della letteratura araba.
Insomma, un gran casino a cui storici della lingua, letterati e filologi hanno provato a dare soluzione con l'unico risultato di inondare il mercato di edizioni de "le mille e una notte" radicalmente diverse e dai contenuti più disparati.
Io ho scelto una traduzione integrale (molto vecchia) del testo di Galland. Non tanto per disprezzo della filologia tanto quanto perché è stata questa versione a influenzare così fortemente l'immaginario collettivo europeo. E per la favola di Aladino, che pare essere stata scritta proprio da Galland.
Cosa posso dirne? Come ogni raccolta di racconti ha i suoi alti e i suoi bassi. Le storie trattano quasi totalmente avventure delle famiglie reali mediorientali che hanno a che vedersela con amori impossibili, nemici malefici ed elementi magici. Proprio la presenza dell'elemento magico è una delle cose che più ha attirato la mia attenzione perché a differenza della nostra tradizione, qui abbiamo un elemento cosciente, spesso malevolo e demoniaco, che si attua quasi sempre attraverso l'acqua - elemento tra i più preziosi nelle zone desertiche - a dimostrazione della sua infamia.
Il filo conduttore che tiene uniti i racconti è il racconto, inteso come atto di raccontare. Ci si racconta la storia di Scheherazade che racconta al Sultano di gente che racconta e che, raccontando, talvolta fa raccontare i suoi personaggi. Si crea un gioco di scatole narrative non dissimile da quello di certe giornate del Decameron - e alcuni pensando che Boccaccio abbia preso ispirazione proprio da qui per le sue strutture. La narrazione è così importante nel mondo delle mille e una notte che non solo tiene in vita la protagonista ma è spesso usata come moneta e non è assolutamente straniante, in questo universo, sentire il Califfo richiedere una storia degna di nota a un suo sottoposto pena, qualora non lo soddisfacesse, la decapitazione.
Ne vale la pena, nonostante la mostruosità. Lo stile è invecchiato male, caratterizzato da una pomposità degna del Re Sole in cui tutti i personaggi parlano in modo estremamente forbito - anche i popolani -
e adoperando una cortesia che farebbe invidia anche al più gentile dei giapponesi. In fin dei conti si tratta di racconti vecchi più di cinquecento anni e di una traduzione di fine ottocento. Da tenere sul comodino, una notte alla volta, pagina dopo pagina.
Dimenticate Ali Babà, il Genio della lampada e Sindbad, perché in questa edizione particolarmente curata dal punto di vista filologico non v’è traccia dei miti della nostra fanciullezza. L’orientalista che ce la offre (René Khawam) ha impiegato circa trent’anni per ricostruire la collezione originaria dei racconti, dichiarando che le edizioni precedenti – ancorché eccellenti – sono perlopiù raccolte artificiosamente assemblate di narrazioni di epoche varie, di autori diversi e di diversa provenienza geografica, che poco o nulla hanno a che fare con il manoscritto originale del probabile, anche se ignoto, autore persiano (o forse cinese). Ciò non toglie che i racconti qui presentati siano di pari fascino, se non maggiore, di quelli che la tradizione europea ci ha abituato a frequentare. Non mancano gli incantesimi, gli spiriti maligni e quelli gentili, gli orrori e le delizie di una società per molti aspetti lontana dalla nostra, ma altrettanto sensibile alla bellezza (quella delle fanciulle protagoniste delle storie rivaleggia, si ripete spesso, con lo splendore della luna piena), al gusto per le cose preziose e per il buon vivere. Amore e odio, tradimento e desiderio di giustizia, vendetta e volontà di perdono: sono alcuni dei sentimenti che pervadono ogni racconto e costituiscono, insieme alle atmosfere fantastiche e agli imprevedibili avvenimenti che si susseguono senza sosta, gli ingredienti essenziali che rendono ancora oggi quest’opera una lettura affascinante, e direi perfino pedagogica per chi ama il genere fantasy moderno.
...ContinuaIn questi racconti troveremo un percorso che si rivela essere la scia degli infiniti frammenti dell’esistenza. Storie di mercanti, di vagabondi, di poveri derelitti, di amministratori dello stato e di nobili. Le loro vicende si intrecciano secondo le causalità e le sfortune dell’esistenza, che ti fanno trascorrere da uno status sociale all’altro nel giro di poche stagioni. Nelle steppe e nei deserti sorgono città e mercati come pietre preziose incastonate nella sabbia. La società mercantile e il potere politico assoluto e accentratore sbalzano per i meandri dell’esistenza protagonisti e comprimari oggi astuti e domani ingenui, proprio come è nella natura umana. Noi con loro ci incantiamo e ci terrorizziamo, mentre vediamo scorrere il gioco tragico della bellezza, donne bellissime, regine e schiave, e della crudeltà, assassinii, perfidi tranelli, torture.
La civiltà che si dispiega tra l’Arabia, Baghdad e la lontana India è multiculturale, tollerante; gli dei e in particolare Allah sono magnanimi e comprensivi, mai tirannici. Somigliano al dio cristiano che tutto comprende e tutto abbraccia. Così ci scorre negli occhi e nelle vene questo nostro mondo composto di contraddizioni e armonie e alla fine della lettura scopriamo di poterlo abbracciare con un brivido e una risata, proprio come il Siddharta di Hesse quando finalmente scopre cosa sia il nirvana. Niente più che l’accettazione dell’essere e dell’esistere.
Letto in lingua straniera, ho trovato alcune difficoltà, ma mi hanno divertito le storie di Aladin e Alì Babà. Piccoli capolavori che ci raccontano usi e tradizioni antiche. Aladin é cinese e sposa la figlia del sultano il cui nome é ben lontano dal melodico Jasmine. La storia é molto meno romantica di quella disneyana.
...Continua.....