Deludente. Il giudizio complessivo non può essere che questo, nonostante un paio di buoni spunti che mi spingono a dare due stelline anziché una sola. Deludente perché la prima metà del libro è dedicata a descrivere l'omicidio (cosa che sarebbe potuta avvenire in forma molto più ridotta) e soprattutto il profilo psicologico dell'accusata, Emma Claypole. E questo avviene (se vogliamo in maniera efficace) attraverso una reiterata ripetizione dei pensieri di una donna tutt'altro che brillante, e anzi piena di remore mentali, che personalmente mi hanno ben presto portato a non sopportarla ma che, sicuramente, appesantiscono non poco la prosa e lo svolgimento della storia.
Proseguendo nella lettura, non è un caso (scusate il gioco di parole) che il capitolo 8, esattamente a metà romanzo, si intitoli “Il caso ha inizio”. Perché è da qui che parte il giallo vero e proprio, con una serie di indagini in stampo classico che sono decisamente più coinvolgenti e lasciano ben sperare. Però il libro paga un altro limite di fondo: il limitatissimo numero di personaggi che, tanto più portando la vicenda a sfociare in una soluzione tutt'altro che trascendentale, limita di molto la possibilità di elucubrazioni per il lettore. Anche perché, dopo che viene svelato il modo in cui è avvenuto l'avvelenamento (uno dei due buoni, ma anche in questo caso non eccellenti, spunti di cui parlavo all'inizio), si arriva al nome dell'omicida solo attraverso indizi psicologici e un movente debole. Per concludere, l'altro punto che, a mio parere, si salva è legato alle reali intenzioni di chi ha somministrato il veleno (rimango nel vago per non spoilerare). Ma, anche qui, siamo di fronte ad un aspetto tutto sommato marginale e, quindi, il romanzo, alla fin fine, non può essere “promosso”.