I nuclei della tragedia sono tre: l'amore del padre; l'abbandono del padre nell'uragano; la vittoria di Pirro di Edgar.
1 Ciò che dà il via, in parte, agli orrori della storia è l'idea di Lear di dividere il regno in tre, assegnandone una parte a ognuna delle figlie. Però, Lear, come ogni uomo, ha bisogno di sapere che è amato tanto quanto ama. Cioè, in realtà, di essere amato prescindendo da quanto ama, ma va bene. Quindi, subordina l'assegnazione della parte del regno, a una dichiarazione d'affetto delle figlie. Ora, quello che colpisce della prima, lunghissima, scena è che Lear sa benissimo che le dichiarazioni d'affetto esclusivo fatte da Goneril e Regan sono, alla meglio, un proforma: entrambe sposate, entrambe già piuttosto freddine. Lo sa e gli va bene. Quando, però, Cordelia nonostante lui sappia quanto lo ami non riesce, per umiltà e onestà, a professare un simile amore, sbrocca totalmente, fino a cacciarla e diseredarla. Specialmente, quando Cordelia sottolinea come amare un altro uomo, il marito, la porterà, per necessità, ad amare con meno esclusività il padre. Com'è normale. Dallo sbrocco di Lear emergono due cose, fondamentalmente: a) lui (noi) ha bisogno che gli sia detto quanto è amato: l'amore va professato, provarlo senza dirlo è inutile. Collegato a questo concetto vi è anche il fatto che l'amore è materiale, fisico: ecco che dividere il regno diventa prova d'amore del padre per le figlie. O, nel caso di Edgar e Edmund, Edmund cerca di prendere il trono del padre per compensare il suo amore in difetto, essendone figlio bastardo ("Ordunque, o legittimo Edgar, io dovrò avere le tue terre. L'amore di nostro padre spetta a Edmund bastardo nella stessa misura che al suo proprio figliuolo legittimo") ; b) l'amore di Lear per Cordelia è un tantinello incestuoso. E' un amore che pretende di non essere padre, bensì di essere l'unico uomo per Cordelia. Rinnegarla non è più soltanto, si fa per dire, un padre che scaccia la figlia, ma un uomo che scaccia l'amata.
2 Il terzo atto vede Lear, abbandonato dalle due figlie, che si sono spartite il regno, vagare in una foresta insieme a un Giullare (e un suo Conte, scacciato e tornato mascherato). Ora, probabilmente la decisione di abbandonare il padre, scaricandolo così, da parte delle due donne è riconducibile all'idea di sbarazzarsene per timore che avesse cambiato nuovamente idea riguardo a Cordelia, o di cadere in disgrazia loro. Ma, onestamente, non credo che sia una risposta sufficiente. Fondamentalmente perché la divisione è avvenuta e il Re ha perduto i suoi poteri. Il suo abbandono in mezzo all'uragano è un abbandono totalmente gratuito. E' lasciar morire il proprio padre semplicemente perché vecchio e inutile. Un peso. E' un'azione atroce e disgustosa. Ma è anche il nadir dell'esperienza umana. A Lear non resta altro che rifuggiarsi nella follia, lasciarsi impazzire, per poter sopportare una simile oscenità (a questo si riferisce Kent alla fine quando dice che Lear ha "usurpato la propria vita"). Ma Lear non è senza colpa, sia chiaro. La follia è sia fuga che castigo per contrappasso: così come, infatti, non ha saputo discernere la realtà che lo circondava, chi lo amava realmente (Cordelia, Kent) da chi no (le figlie), ora egli è destinato a vivere in un mondo privo di forma. L'uragano è, fondamentalmente, un punto di non ritorno, la rottura di Lear e del suo mondo, delle sue certezze, da cui è impossibile, per lui, tornare. E questo già sarebbe abbastanza tragico. Ma Shakhspeare aggiunge un secondo livello: Edgar.
3 Edgar, da una parte, assiste alla discesa di Lear, dall'altra vive un proprio percorso simile. Edgar, figlio legittimo del Conte di Gloucester, viene manipolato, così come il padre, dal fratellastro, Edmund, affinché perda il diritto di sucessione e Edmund possa salire al potere. Edgar, inizialmente, è, detto come va detto, un ingenuotto. Un sempliciotto che si lascia abbindolare con facilità. D'altronde, ha preso dal padre (anche lui vittima del castigo di contrappasso, incapace di distinguere il figlio buono da quello cattivo, perde entrambi gli occhi). Solo che, man mano che la tragedia prosegue, Edgar si rende conto della propria ingenuità. E per farlo discende nello stesso nadir di Lear, fingendosi pazzo, probabilmente diventandolo pure in alcuni punti. Tutto questo per ricongiungersi con il padre, e poi vendicarsi nei confronti di Edmund. Edmund che, tra l'altro, non pago della propria macchinazione famigliare, ha conquistato l'amore di entrambe le sorelle figlie di Lear, entrambe sposate. Al termine della tragedia, Edgar, però, sarà il più disilluso di tutit. Il più nichilista e disperato. Eppure è diventato re. Ma, il fatto è che nulla ha più un senso o valore. Nè l'amore, nè la giustizia. Ogni azione infatti nel Re Lear appare totalmente inutile. Edgar salva il padre per poi vederlo morire fra le propria braccia. Edmund nell'ultimo sprazzo di umanità, l'unico, salva Lear e Cordelia, ma è troppo tardi, Cordelia è morta e così Lear di crepacuore. Edgar al termine della tragedia è arrivato a vedere come tutto, tutto, accada senza un disegno o un motivo. Qualsiasi cosa si faccia, si fa senza motivo. Quella di Edgar è una vittoria di Pirro perché con il suo viaggio, Edgar ha perduto ogni possibilità di credere che l'amore sia qualcosa più che un regno, o che il pentimento possa salvare gli innocenti. Si è perduta, cioè, l'illusione che dietro una costruzione dei rapporti naturali (padre-figlia, fra sorelle) e non (matrimonio) vi possa essere un qualche valore implicito, quando non è così. Anzi. Si è ancora più crudeli con l'altro, tanto quanto ci è vicino (di nuovo: Lear abbandonato). Ma si è perduta anche l'idea che vi sia una direzione esterna alle nostre azioni, una sorta di giustizia divina. Niente di tutto questo rimane per Edgar. Edgar, fondamentalmente, si rende conto che non è mai uscito da quell'uragano.
...ContinuaUna specie di colossal letterario teatrale drammatico. A tratti troppo intricato e difficile da capire o seguire.
La più nera e disperata tragedia di Shakespeare: la tragedia del vecchio re sconfitto dalla anzianità e tradito dalle figlie; la tragedia di chi non sa esprimere amore e ne rimane immobilizzata; la tragedia del figlio bastardo che ambisce all'eredità paterna e finisce per distruggerla; la tragedia dell'avidità a cui le figlie sacrificano famiglia, marito, sorella; la tragedia dei mariti condannati sia che seguano la moglie, sia che si oppongano; la tragedia di chi vede troppo tardi nel cuore dei figli e finisce per perdere la vista…..
E su tutto, questa contagiosa pazzia, questo ultimo rifugio a cui tutti ricorrono quando tutto il reale crolla su se stesso e non è più possibile trovare un senso - al punto che da queste strazianti pagine l'unico suono divertito che emerge sono le beffarde e insensate (ma davvero?) parole del buffone di corte….che non a caso sparisce senza spiegazioni già al terzo atto, lasciandoci totalmente soli nell'orrenda e mortale conclusione.
Primo approccio di lettura con il bardo (avevo visto rappresentate alcune sue opere) e primo incontro assoluto con quest'opera, di cui ignoravo quasi tutto. Sinceramente è molto diversa da ciò che immaginavo, soprattutto per la forma. Essendo un'opera teatrale, quindi limitata ai soli dialoghi, lascia molto spazio all'immaginazione e soprattutto trova la sua piena realizzazione nella rappresentazione, senza la quale sembra di vedere un'ombra che cammina. Il vero modo di fruire l'opera è di vederla rappresentata e in questo sta la sua forza, perché ogni rappresentazione la rinnova e la rafforza, sicché essa non invecchia né muore mai.
Entrando nel merito della storia, un dramma immane che lascia ben pochi sopravvissuti, colgo la forza di sentimenti assoluti e forti, sia negativi come l'orgoglio, la rivalsa, l'invidia, la pazzia, ma anche positivi come la fedeltà, la devozione, la nobiltà. Le contrapposizioni sono forse la caratteristica maggiore del Re Lear: padri e figli, folli e saggi, devoti e traditori, vincitori e perdenti. Il tutto si alterna in un balletto sul filo dell'equilibrio, che inevitabilmente finisce per cadere nella tragedia finale.