Avevano poche armi, poche munizioni e niente da mangiare. Erano attoniti ed inerti, in preda alla passività plumbea che segue l'azione, e che lega lo spirito e le membra. La guerra sarebbe durata sempre; la morte, la caccia, la fuga non sarebbero finite mai, mai la neve avrebbe cessato di cadere, mai sarebbe venuto giorno.
Il primo vero romanzo di Primo Levi, romanzo-epopea dell'ebraismo orientale, la storia di un gruppo di partigiani ebrei ashkenaziti (russi, polacchi, ucraini) in viaggio dalla Russia bianca alla Palestina, passando per il Brennero e per Milano. Nel comporre il testo numerosi sono i richiami religiosi, sebbene Levi fosse dichiaramente ateo e cresciuto a Torino in un contesto cattolico; si documentò e studio la Bibbia e il Talmud, mescolando tradizione e invenzione in un pastiche poetico di antichi detti rabbinici, yiddisch e lingue della diaspora. Primo Levi scrive molteplici tipi di storie, muovendo da fatti e esperienze vissute, senza rinunciare all'impegno etico richiesto da ogni narrazione che dal reale si sposta su invenzione e fantasia, rappresentazione in un unicum umano di una materia storica e universale. Come scrive Daniele Del Giudice, la storia di Levi è multiforme e ibrida, scientifica e mitologica. Intelligenza e immaginazione sono gli elementi anfibi della parola sistematica e risolutiva di Levi, la sua straordinaria chimica verbale. Guerriglia, sabotaggi, depistaggi: per i suoi personaggi, con la loro straripante voglia di vivere, ogni scelta è rimedio e istinto al ritorno contro le brutture del mondo, contro la guerra oscura e spietata, per il prevalere della vita nella sua informe nudità sull'indecente e inappellabile morte. Vergogna di non essere morti. È l'impressione che gli altri siano morti al tuo posto; di essere vivi gratis, per un privilegio che non hai meritato, per un sopruso che hai fatto ai morti. Essere vivi non è una colpa, ma noi la sentiamo come una colpa. Levi sentiva dentro di sé il fratello muto, il sommerso, irrazionale e inconoscibile, e vi oppose il suo scriver chiaro, l'avventura ribelle e sconclusionata della sua unità di soldati fieramente atipici e anomali. Così esprime e rende esplicita la voglia di giustizia, il destino di lotta e creazione, il caos inseparabile dallo stato di libertà. Le sue donne e i suoi uomini sono costretti a rendere il colpo per evitare la catastrofe dello spirito. Testimoni: la neve e il fango, i boschi e i rottami, il cibo, il sonno, i corpi. Guerra è sempre, ma serve disciplina per mantenersi integri, per fare i partigiani, opporsi all'anarchia spirituale, alla deriva morale e storica della demolizione. Sforzarsi. La radice del racconto in Levi è una necessità indiscutibile, l'incognito e l'inaudito sottratti all'oblio. Sembra che Levi desideri vedere il lettore leggere le avventure del lettore stesso. I nostri moti d'animo, dolore, tristezza, rimpianto, rabbia, coraggio, amore, sentimenti che Levi non abbellisce mai né arrotonda, anzi gli toglie qualcosa: i personaggi sono ritratti in una istantaneità imperfetta, così un solo gesto, un tratto, un tono, ne definiscono l'essenza. Si crea una sorta di sospensione morale per lo sviluppo possibile e irreversibile del cammino umano. Non cerchiamo la salvezza, nemmeno nella sua allegra vendetta: gli ebrei combattono i nazisti, fuggono dal fronte di guerra, muoiono e si feriscono, danno alla luce un bambino in una terra liberata. Ma il giorno è pessimismo, angoscia e inquetudine; 7 agosto 1945.
I nostri fratelli sono saliti al cielo Per i camini di Sobibór e di Treblinka, Si sono scavati una tomba nell’aria. Solo noi pochi siamo sopravvissuti Per l’onore del nostro popolo sommerso Per la vendetta e la testimonianza. Se non sono io per me, chi sarà per me? Se non cosi, come? E se non ora, quando?
...Continua"Se non ora, quando?", si chiede Martin Fontasch, un ebreo che scriveva canzoni e che in questo romanzo non ha un paio di pagine dedicate. La sua storia (e la storia di questo della sua ultima canzone) viene raccontata da uno dei protagonisti... Si tratta della realizzazione del suo ultimo desiderio, scrivere una canzone, prima che le SS lo fucilassero.
Un paio di pagine per questo ricordo che dà il titolo al libro.
E basta poco, in effetti, per essere importanti. Basta essere in vita, io direi.
Quand'è il momento della dignità e della difesa della vita? Ora, dunque! In perpetuo: sempre.
E allora è fondamentale questo romanzo di Primo Levi, che narra la tragica storia dell'Olocausto da un punto di vista poco approfondito: quello dei partigiani ebrei. Pochi, affamati, disperati e di provenienze disparate; visti, a volte, con sospetto anche dagli altri partigiani ed eserciti, però, esistiti. E questo è forse uno degli elementi più rassicuranti che la grande tragedia della guerra ci ha insegnato: la vita non si rassegna e non può rassegnarsi ad essere soppressa. La vita si difende, si adatta, anche ai traumi, e cerca di andare avanti.
Lo consiglio, questo libro, è scritto bene ed è bello... e Levi sa gestire con equilibrio sia il dramma e l'orrore che atmosfere più lievi.
Sono, in vero, un lettore distratto e non poi così colto e penso che non sono tutte mie le parole che vado a scrivere ma certo le condivido: forse ho sentito descrivere Levi in questo modo chissà dove...
Comunque sia credo davvero che Levi sia un lettore e conoscitore attento dell'animo umano. Per questo mi sembra tanto attuale. Perché l'uomo sembra essere sempre uguale a se stesso. Pulsioni, paure, angosce, coraggio, amore, odio... Tutte cose che si inseguono e avvicendano nel cuore degli uomini. Anche se la storia è un’altra, in un tempo diverso, in un posto diverso.
Personalmente, alla luce di quanto vedo oggi, gli eventi narrati in "Se non ora quando?" sembrano i germi di quello che sono l'attuale situazione sociale e politica dell'Italia e dell'Europa. Forse esagero e molto probabilmente sono condizionato proprio da questa situazione sociale e politica, che mi portano a dare tale interpretazione al romanzo. Il fallimento dei pensieri forti, del comunismo e del fascismo e delle speranze partigiane in un mondo libero e migliore, ci lasciano in un presente che manca di convinzione, o meglio, ci lasciano convinzioni che mancano di radici.
Il romanzo non mi è sembrato avere la potenza coinvolgente degli altri scritti autobiografici di levi ma è comunque ricco di particolari nati evidentemente da una ricerca e dallo studio e dalla passione che ha Levi di conoscere e narrare.
Una considerazione personale: mi ha colpito la descrizione che Levi fa dell'Italia come di un paese di transito allora come oggi. In versi opposti. Allora in fuga dall'Europa oggi in fuga verso di essa. Ma non so se siamo ancora quel popolo accogliente che diceva Levi. Forse siamo rimasti solo criminali/ambigui e truffaldini.
...ContinuaUn romanzo profondo, di grande spessore e che insegna così tante cose che in una recensione proprio non si riesce a farcele stare tutte. Cinque stelle sarebbero scontate per una figura come Primo Levi, per tutto quello che lui rappresenta al cospetto della Storia, per tutto quello che lui ha patito. Ma le cinque stelle ci stanno in pieno anche per l'opera letteraria in sé, prescindendo da tutto il resto. E' un libro denso e lieve al tempo stesso, sia nei personaggi che nelle descrizioni, sia nei dialoghi che nella trama. La cultura e il carattere degli ebrei sono descritti e spiegati attraverso piccoli episodi, piccoli proverbi, qualche citazione storica e qualche citazione dalle sacre scritture, con una grande capacità di mescolare il tutto e farlo stare in una piccola tasca del racconto: tanta abilità non si trova nemmeno in Oz o Yehoshua. La scelta di raccontare l'orrore della seconda guerra mondiale senza ambientare pressoché nulla nei campi di sterminio, non sminuisce affatto il valore dell'opera, non c'è alcun senso di incompletezza come si potrebbe temere in un primo momento, e non c'è nemmeno quell'atmosfera di fiaba come invece si trova in "L'Educazione europea" di Romain Gary e che sotto un certo punto di vista può risultare fuori luogo se si parla di Resistenza. Non si perde neanche per un attimo la solidità della storia: inventata, con personaggi inventati, ma ambientata tra luoghi ed eventi assolutamente veritieri. A tratti ironico ma mai burlone, forte ma senza eccessi drammatici. Intende esprimere il significato della vita alla macchia, lo spirito della partigianeria, e ci riesce perfettamente. E si trovano ottimamente espressi anche il senso di colpa e di smarrimento dei sopravvissuti, e il tema dell'uguaglianza e della pace tra i popoli e le religioni.
E' la storia del viaggio, attraverso l'Europa e attraverso la distruzione della guerra, dal Luglio '43 all'Agosto '45, di una banda di ebrei russi e polacchi, uomini e donne, che nasce come "repubblica delle paludi" e si trasforma in una spedizione diretta in Palestina. Si notano da subito alcuni punti di contatto con "La chiave a stella": quando parla il protagonista Mendel, oltre a sentirlo un po' alter ego dell'autore, sembra proprio di vedere e sentire Faussone. Nelle ambientazioni ci sono comunque alcune somiglianze anche con il già citato "L'educazione europea": la vita nei boschi, con i rifugi sottoterra e le capanne di legno, le azioni di sabotaggio e le serate intorno al fuoco a parlare, a riflettere, a cercare di abbracciare tutta l'Europa in uno sguardo. Levi dimostra qui capacità di comporre atmosfere con una ricchezza e un'espressività tali che non si trovano in "La chiave a stella" e, per quel che mi ricordo, nemmeno in "Se questo è un uomo" o "La tregua". Il cast di personaggi che viene componendosi di man in mano che il viaggio procede, è a dir poco brillante, avvincente e coinvolgente. Quasi viene da rifiutarsi di credere che dei bei personaggi come questi abbiano potuto, nella realtà, approdare in Palestina e mettersi a fare dei rastrellamenti.
Ricopio qualche citazione perché ci sono passaggi di struggente poesia, passaggi delicati come un quadro di Chagall, pagine dal sapore epico con masse di genti, intere popolazioni in movimento come in una grandiosa scena in un film kolossal, e un finale magistrale che racchiude insieme nella stessa stanza - anzi, nello stesso corridoio - nascita e morte, speranza e disperazione. Questo libro è un vero spartiacque, in tutti i sensi e le accezioni possibili.
"L'aria che entrava dalle finestre aperte, insieme con il fiato umido delle paludi e del bosco, trascinava altri sentori aspri ed inconsueti, di drogheria, di bruciaticcio, di retrobottega e di miseria."
"…la canzone è sciocca, ma insieme è penetrata da una tenerezza strana, come di un sogno stralunato e tiepido fiorito nel tepore di una casetta di legno, accanto alla grande stufa di maiolica, sotto i travi affumicati del soffitto; e sopra il soffitto indovini un cielo buio e nevoso, in cui magari nuotano un gran pesce d'argento, una sposa vestita di veli bianchi, e un caprone verde a testa in giù."
"Un gruppo, uno strano gruppo; profughi diversi dai soliti, diversi dai rottami umani che da giorni e giorni le sfilavano davanti in quell'ufficio. Sporchi e stanchi, ma diritti; diversi negli occhi, nella parlata, nel portamento."
"Non sembrava che entro la banda ci fossero tensioni o disaccordi permanenti. I componenti si proclamavano sionisti, ma di tendenze svariate, con tutte le sfumature che si possono inserire fra il nazionalismo ebraico, l'ortodossia marxista, l'ortodossia religiosa, l'egualitarismo anarchico e il ritorno tolstoiano alla terra, che ti redimerà se tu la redimi."
"Ognuno di loro, uomo o donna, aveva sulle spalle una storia diversa, ma rovente e pesante come il piombo fuso; ognuno avrebbe dovuto piangere cento morti se la guerra e tre inverni terribili gliene avessero lasciato il tempo e il respiro. Erano stanchi, poveri e sporchi, ma non sconfitti; figli di mercanti, sarti, rabbini e cantori, si erano armati con le armi tolte ai tedeschi, si erano conquistato il diritto ad indossare quelle uniformi lacere e senza gradi, ed avevano assaporato più volte il cibo aspro dell'uccidere."
...ContinuaSe non io per me,chi per me? Se non così,come? Se non ora,quando?