In italiano suona un po’ strano, ma rende bene il tono elegiaco e sognante di Fitzgerald.
In questo bel racconto si trovano molti temi cari a Fitzgerald, la gioventù dorata dei ruggenti anni ’20, una piccola città nel Sud degli Stati Uniti: la fanciulla è bruciata dall’avidità di vivere tutto d’un fiato, deliziosa ma scriteriata, il giovane Jelly-bean (“mollaccione”) rimasto solo al mondo trascina pigramente la sua vita lavorando il minimo per sopravvivere, finchè non incontra lei. Nell’infatuazione trova un’energia e una progettualità che non immaginava di avere e si propone di recuperare la posizione sociale che sarebbe stata sua per nascita. Purtroppo, all’alba sfuma il sogno d’amore e così le motivazioni dello sfortunato cavaliere.
Fitzgerald è molto bravo a rievocare conversazioni, incontri, feste da ballo alle quali non ho partecipato ed è particolarmente felice nel rappresentare Jelly-bean, il giovane di famiglia decaduta, rimasto progressivamente ai margini della vita, di bell’aspetto, goffo e di buona educazione che sfugge le donne perché non sa come affrontarle: direi che lo tratta con una certa pietas rispettosa.