Con L’occhio del novecento Francesco Casetti, uno dei massimi esponenti della filmologia italiana, segna l’inizio di una nuova fase del suo percorso di studio. Una fase che, come per altri recenti contributi, sembra distaccarsi dai paradigmi teorici della semiotica, che per molti anni hanno fortemente caratterizzato l’orizzonte degli studi sul cinema in Italia. Sarebbe il caso di argomentare in maniera più approfondita su questo distacco, ma si tratta di un argomento meritevole di un’approfondimento che il breve spazio di una recensione non può concedere.
Di Flavio Pintarelli
Il sottotitolo del volume di Casetti, Cinema, esperienza, modernità, traccia molto chiaramente i confini dell’analisi operata dalla studioso ed i campi di interesse entro cui questa si colloca. La tesi di fondo del libro è la seguente: il cinema costituirebbe un dispositivo tecnico-sociale che è stato capace di cogliere, mettere in forma e problematizzare i tratti salienti dell’esperienza della modernità. E sarebbe stato in grado di compiere questo sforzo mettendo a punto strumenti tecnico- interpretativi propri e caratterizzanti.
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...ContinuaIl XX è stato il secolo del cinema, come riconosciuto un po' da tutti. Ma per quali motivi il cinema nel secolo scorso ha avuto quel dirompente successo? Casetti fornisce una tesi convincente: la sua natura di "medium-artistico" lo ha reso capace di compiere un processo di "messa in forma negoziale". Non è facile spiegare di cosa si tratti (soprattutto per un lettore bulimico e disattento), comunque il cinema avrebbe recepito istanze, problemi, tematiche della modernità in modo non solamente passivo-rappresentativo, ma restituendole al pubblico dopo averle elaborate ed arricchite delle proprie -problematiche- soluzioni, attivando circuiti in grado a loro volta di cambiare quelle istanze ecc che aveva inizialmente recepito, e facendo tutto ciò in forma negoziale, cioè tentando di conciliare quelle tra loro che si contrapponevano. Soprattutto, il cinema ha dato al pubblico del secolo scorso - il pubblico delle sale, oggi ce ne sono più tipi - un nuovo sguardo sul mondo, che è in parte lo sguardo dello spettatore, in parte quello della cinepresa, in parte altro ancora; uno sguardo che inventa diversi modi di "inquadrare", cioè com-prendere, il mondo, e che è umano e meccanico, oggettivo e soggettivo, che emoziona e coinvolge ma al contempo non ci permette una assoluta identificazione con ciò che vediamo, che alla fine non sappiamo più di chi sia perchè l'osservatore diventa osservato e si immerge nel mondo prima visto da fuori (vd. Blow Out). Tutto questo è magistralmente spiegato da Casetti ricorrendo al cinema stesso, descrivendo cioè come lo sguardo cinematografico si sia formato e arricchito grazie ai procedimenti tecnici e linguistici usati in interi film o singole sequenze presi ad esempio, soprattutto appartenenti al cinema classico. Numerosi sono anche i collegamenti e i richiami alle scienze sociali, alla teoria del cinema, alle altre discipline artistiche.
Bellissimo!
Validissimo libro, ma odio che mi si raccontino film che non ho visto e vorrei vedere!
Con L’occhio del novecento Francesco Casetti, uno dei massimi esponenti della filmologia italiana, segna l’inizio di una nuova fase del suo percorso di studio. Una fase che, come per altri recenti contributi, sembra distaccarsi dai paradigmi teorici della semiotica, che per molti anni hanno fortemente caratterizzato l’orizzonte degli studi sul cinema in Italia. Sarebbe il caso di argomentare in maniera più approfondita su questo distacco, ma si tratta di un argomento meritevole di un’approfondimento che il breve spazio di una recensione non può concedere.
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