Da sempre ho un rapporto strano con i giapponesi. Alcuni li trovo troppo lenti e freddi, altri troppo lontani al mio modo di essere e ai miei gusti ma ultimamente sono stata fortunata. L'inizio di questo thriller è piuttosto lento, ma poi si entra nel cuore del romanzo, uno scritto particolarmente cruento, del genere definito 'hard boiled'. Lo stile è sicuramente freddo, come ci si aspetta da un giapponese, ma è anche molto preciso e dettagliato, soprattutto negli atti più macabri. Le donne ci vengono raccontate nella loro interezza mostrandocene il lato ufficiale di madri e lavoratrici, ma anche mostrandoci il loro lato più macabro e proibito.
È facile ritrovarsi a riflettere sulla condizione lavorativa e familiare nelle donne in Giappone, un particolare che l'autrice analizza e fa emergere molto, permettendo anche al lettore più lontano dalla situazione di rendersi conto di quanto la donna sia sminuita. L'ho letto avidamente, perchè volevo capire sino a dove le quattro donne si sarebbero spinte e per capire dove il romanzo sarebbe andato a parare.
Il thriller c'è - magari non è proprio un thriller canonico, anche se devo ammettere che questo è il primo thriller giapponese che leggo - ha una trama sicuramente ben sviluppata e con tutte le cose al posto giusto. È un libro che mette addosso al lettore la giusta adrenalina - nonostante sia un thriller assolutamente statico - e che non lascia niente di non detto anzi, per gli amanti dei thriller un po' crudi e ricchi di spiegazioni macabre, sicuramente con questa lettura troverete pane per i vostri denti!
Ecco, forse non lo consiglierei a chi non ama il sangue e i dettagli macabri!
Ancora una volta sono grato ai consigli degli amici di Anobii. Non conoscevo Natsuo Kirino e sono rimasto folgorato dalla lettura del suo primo romanzo del 1997 “Out”, pubblicato per la prima volta in Italia da Neri Pozza nel 2003 ed ora da BEAT con il fuorviante titolo di “Le quattro casalinghe di Tokyo”. Si tratta di un romanzo noir dalla tipica narrazione giapponese intrisa di sangue e tragedia. Nella quotidianità, nel lavoro notturno in fabbrica, nelle delusioni dei rapporti affettivi e familiari, nei meandri della disperazione sessuale. Non a caso l’autrice fa riferimento (pag. 398) al romanzo di Ryu Murakami “Love and Pop” pubblicato nel 1996 con il sottotitolo “Topaz 2”. Dal precedente romanzo “Topaz” del 1988 è stato tratto, nel 1991, l’interessantissimo film “Tokyo Decadence – Topaz” scorrettamente descritto come erotico, sottovalutando la dimensione della disperazione esistenziale. Ecco quindi che questo “Out” mi pare una sorta di “Tokyo Decadence” corale, ancor più disperato ed esasperato dove, nel finale, sesso e sangue esaltano i temi della cultura e della narrazione giapponese. Mentre negli U.S.A. imperversano (e ritornano) le “Desperate Housewives” - “Sex and the City” della upper class qui ci troviamo nel proletariato e nella dura realtà del lavoro – turno notturno - in una sorta di catena di montaggio di cibi precucinati, dove si incrociano le storie di quattro donne: Masako, Yoshie, Yayoi e Kuniko. Yayoi – più giovane e bella – non tollera più il marito che frequenta locali equivoci e sperpera tutti i risparmi nelle case da gioco. In un momento di lucida follia lo strangola e poi chiede alle tre amiche di aiutarla. Sarà Masako, certamente la più matura e distaccata, ad organizzare la sparizione del cadavere in modo decisamente truculento, ma efficace. Le atre due saranno complici attratte dalla ricompensa in denaro più che dalla solidarietà. Kuniko, la più debole psicologicamente, sciocca, consumista e vanesia, commetterà un grave errore che metterà a rischio non solo la copertura delle amiche ma la loro stessa incolumità. E qui entrano in scena due personaggi maschili molto importanti: Jumonji e Satake. Il primo, assicuratore con torbido passato, raggirerà Kuniko, lusingandola, fino a farle confessare ciò che le quattro donne hanno ordito, per proporre poi a Masako una strat up ispirata al delitto (geniale l’abbinata catena di montaggio e smontaggio!). Il secondo, proprietario dei locali frequentati dal marito di Yayoi verrà accusato dell’omicidio e della “dispersione” del cadavere. Verrà poi rilasciato ma, ormai rovinato, cercherà in tutti i modi la vendetta verso il gruppo delle quattro amiche. Ciò che lo tormenta è un episodio del suo passato in cui ha ucciso una donna al culmine di un violento rapporto sessuale che lo ha segnato per tutta la vita. Nella ricerca di riprovare quella sensazione individua in Masako la reincarnazione, possibile e assurda, di quel trascorso. E Masako riuscirà solo alla fine a ritrovare il senso della sua vita.
Altri due personaggi interessanti sono rappresentati da Anna (accompagnatrice di night club di origine cinese) e Kazuo (operaio sangue misto brasiliano giapponese). Entrambi sono innamorati di Stake e Masako e potrebbero, forse, rappresentare la loro salvezza psicologica, ma verranno respinti. Senza entrare in ulteriori spoileraggi della trama mi soffermo sullo stile di narrazione. Lento e inesorabile (652 pagine!) mi ha trascinato nel clima della tragedia giapponese. La quotidianità, il disagio economico, la precarietà affettiva, la solitudine di coppia. La tradizione e la liturgia della cultura del paese dei samurai. Affascinante anche se impegantivo, ma mai disturbante anche in situazioni limite. Una esperienza di lettura affascinante e da ripetere.
Blue Tango
In generale non amo particolarmente gli autori giapponesi perché fatico ad entrare nell’atmosfera e nei personaggi. Ed è stato così anche questa volta sebbene questo romanzo avrebbe potuto facilmente ambientarsi in una periferia delle nostre città, quattro donne che lavorano al turno di notte di uno stabilimento ognuna con I propri problemi familiari e finanziari che si trovano coinvolte in una situazione criminale. Molte descrizioni sono davvero cruente, troppo per i miei gusti. E il finale non mi ha convinto. Il fatto che ci abbia messo ben 10 giorni a finirlo indica che non mi ha entusiasmato.
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