Letto ad Aprile 2020, in piena quarantena, cercando un rifugio nel rifugio…e così è stato.
Banana Yoshimoto con L’abito di piume è come se ti concedesse la delicatezza di un tè sorseggiato su un futon, seppure i temi affrontati sono quelli della separazione, della malattia e della solitudine.
La scrittura giapponese contemporanea d’altronde, almeno quella che ho incontrato, è raffinata, elegante e il garbo, quello non artificioso, sa dare sollievo.
Era da un bel po' che non leggevo libri della Yoshimoto, all'inizio della sua carriera mi piaceva molto il suo stile, poi andando avanti con gli anni ho smesso di apprezzarla.
Questo libricino l'ho trovato davvero grazioso e non mi sono stupita quando, alla fine, l'autrice stessa dice di non riconoscere questo libro come scritto da lei.
La storia è quasi abbozzata, ambientata tra la fine di una relazione importante e l'inizio della guarigione della protagonista, tornata al paese natale per allontanarsi dal suo appartamento di Tokyo pieno di ricordi.
La narrazione è lenta ma non noiosa, i fatti descritti, a parte qualche dissertazione soprannaturale, quasi banali, ma proprio per questo trasmettono molta serenità.
«Pensai che la gentilezza disinteressata delle persone, le loro parole spassionate, fossero come un abito di piume»
L’abito di piume è stato il primissimo libro di Banana Yoshimoto ad essere finito sul mio comodino, acquistato un pomeriggio come un altro alla Feltrinelli del Duomo di Milano, quando ancora era un mezzo scantinato, impregnato dell’odore di hamburger del vicino fast food.
Ricordo come fossi stata colpita, da subito, dalla bellissima copertina e dal titolo evocativo.
Banana Yoshimoto? Uhmmm… Ma sì, proviamo.
Ed è stato subito amore.
Una storia semplice quella di Haruno, tornata dopo tanti anni nel suo paesino natale alla ricerca della perduta serenità. Un viaggio, anche introspettivo, che porterà la protagonista ad un percorso di guarigione e crescita interiore, grazie all’aiuto delle persone ed al ritorno ad una quotidianità più semplice e genuina.
Un romanzo delicato, accompagnato da uno stile di scrittura elegante ed impalpabile, dove i sentimenti emergono con discrezione, quasi in punta di piedi, ma riescono a toccare le corde dell’anima.
Leggere Banana Yoshimoto mi regala sempre un senso di pace, di tranquillità. Una boccata di ossigeno e di fiducia nel domani. Un balsamo per la mente e per il cuore.
Metto raramente due stelline, perché parto dal presupposto che tutti i libri sono frutto di sacrifici e mi sento in colpa a mettere un voto basso. Però c'è un limite a tutto. Era da tempo che volevo leggere qualcosa della Yoshimoto. Ma a fine libro posso dire che quest'esperienza non credo verrà più ripetuta. Ho letto le trame dei suoi romanzi e "L'abito di piume" è stato l'unico che mi ha incuriosita. Però mi sento presa in giro, mi ha promessa una favola e mi ritrovo un lungo piagnisteo di una tizia che è stata lasciata impastato con qualche luogo comune sul fiume che scorre. A sto punto mi leggevo Coelho. Mi aspettavo atmosfere malinconiche e oniriche come l'adorato Murakami invece ci sono solo accozzaglie di cose messe insieme sul tempo che passa e cancella le ferite del cuore, ovviamente cose mai sentite prima (sarcasmo). Eppoi quanto sono melodrammatici i giapponesi, a 25 anni sembri un vecchio saggio. Giudizio finale: decisamente no, però se volete leggerlo almeno è breve.
...ContinuaRendiamoci conto che la stessa Yoshimoto nel PS scrive “questo romanzo non è un granché”. Mi sento presa in giro.
Comunque in generale carino e piacevole, niente di speciale.