Giallo mistery alla francese abbastanza classico. Malet ha una scrittura essenziale e tratteggia bei personaggi (non è Simenon, sia chiaro) e il contesto storico in cui si svolgono i fatti (siamo in Francia durante il secondo conflitto mondiale) dona al libro ulteriore forza. Peccato che l'autore ricorra un pò troppo spesso al caso e alla fortuna per risolvere alcuni snodi narrativi della trama.
...ContinuaNestor Burma ex titolare dell'agenzia investigativa Fiat Lux mentre torna a casa da un campo di prigionia tedesco si trova invischiato, ancora sul treno in un caso alquanto intricato.
Allora sicuramente un giallo classico più vicino alla detective story americana che alla golden age inglese, ho trovato che la storia avesse qualche toppina qua e la: io non amo troppo le coincidenze fortuite e ripetute in questo genere di libri,ma penso che proseguirò con la lettura della serie per vedere se riesce a sciogliere il ghiaccio.
All’improvviso, non fui più il Kriegsgefangen sul quale i fili spinati pesavano al punto da togliergli qualsiasi originalità, ma Nestor Burma, il vero, il direttore dell’agenzia Fiat Lux, Dinamite Burma.
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«Mi ha sospettato da subito?».
«Le regole del gioco vorrebbero così, vero? Ebbene, no!».
Non capisco il dualismo a tutti i costi con Simenon che si legge sulla quarta di copertina arrivando, forse per il solo gusto di dire qualche cosa, a proclamare la supremazia di Malet sul collega belga. Come si fa a paragonare lo psicologo Maigret con Nestor Burma, eroe dell’hard-boiled alla francese? A ciascuno la sua zona d’influenza.
Burma, detective privato iper-caratterizzato (eccentrico ma non cafone), è affetto da una logorrea estranea al commissario: al lettore dice tutto – meno alla polizia, di cui si serve piuttosto che collaborarci.
Nella sua prima avventura ritorna, libero finalmente, dallo Stalag e deve rindossare in tutta fretta gli antichi panni per far quadrare l’assassinio del suo braccio destro, rivisto per pochi istanti dopo anni di separazione a causa della guerra, con la morte di uno smemorato nel campo di prigionia, accomunati dalle ultime parole pronunciate nel momento fatale: il titolo del libro.
L’homme qui mourut au Stalag doveva intitolarsi questo romanzo, uscito nel 1943, ma il titolo fu censurato dalla Francia parte occupata parte collaborazionista. Quasi un instant-book dei primi anni del conflitto, definiti la Strana guerra, e della condizione dei prigionieri francesi in Germania.
A metà circa dell’Esagono, la linea che divide in due la Francia e che i personaggi cercano di passare in un senso e nell’altro, sulla linea Lione-Parigi: Lione oscurata, povera di generi alimentari e di conforto; Parigi più viva e perfino più libera – l’occupante non viene mai evocato.
Dicevo: Burma parla troppo; il colpevole l’ho individuato per tempo, ma più per logica di lettore di polizieschi che impiegando tutti gli elementi che Malet, giallista onesto, mette a disposizione.
120, rue de la Gare è il primo romanzo di una serie di diciassette: approfondirò la conoscenza con l’autore e il suo personaggio. Magari in lingua: non sono pochi i passaggi lost-in-translation.
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Riporto due passaggi che esulano dalla serratissima e piena di sparatorie e scazzottate indagine. Il primo parla del dramma del redivivo, l’uomo che torna dalla prigionia, che Primo Levi porterà all’estremo. Dev’essere una costante: l’ex-prigioniero è una seccatura. Lo si ascolta per cortesia, ma che non la faccia troppo lunga.
Mi sedetti e, su suo invito, gli parlai della prigionia. In generale, gli interlocutori se ne fregano, ma credono cortese far vedere che compatiscono le sofferenze, come dicono.
La seconda citazione è forse il momento più ispirato di tutta la narrazione: uso sapiente delle metafore e ironia.
Eravamo a Lione, il mio orologio faceva le due e avevo la bocca impastata. Il tabacco di Zurigo, il cioccolato, le salsicce e il caffelatte di Neuchâtel, lo spumante di Bellegarde e i frutti un po’ dappertutto, costituivano un puzzle alimentare che poteva trovare soluzione solo al di fuori del mio stomaco.
...ContinuaEssendo il primo capitolo della saga, è evidentemente ancora acerba la definizione del personaggio, nonché la difficoltà nell'elaborazione della trama, non sempre comprensibile e lineare. Bella l'ambientazione parigina, come in tutti gli altri episodi del resto
...Continua