Each one of the books in this series allows the reader more depth and insight into the characters making for the reader to become invested and care. This book as well as the others is a hard one to put down and often times your saying WHY!!!!!
...ContinuaCoinvolgente si, ma si focalizza troppo sui personaggi che mi piacciono meno. Aspetto il 5' volume.
"A Feast for Crows" (o "Il dominio della regina"/"L'ombra della profezia" o "Il banchetto dei corvi" o "Il trono di spade 4", a seconda dell'edizione italiana che vi capiterà tra le mani) è sicuramente il più controverso tra i libri della saga. Giunto al quarto romanzo delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, George Martin si accorge che la mole del materiale scritto e il numero delle story-lines avviate non bastano più per un romanzo solo. Giunge quindi alla decisione di distribuire le story-lines dei diversi personaggi tra il quarto e il quinto libro, costringendo i lettori ad attendere in tutto ben undici anni prima di scoprire cosa sia successo a Jon, Tyrion, Daenerys, Bran e Davos, decisione che quindi non risulta essere del tutto felice.
Altra novità rispetto ai romanzi precedenti è l'introduzione dei punti di vista di diversi personaggi secondari di Dorne e delle Isole di Ferro, importanti per il prosieguo della trama, ma in sostanza non progettati, almeno all'inizio, per guadagnarsi l'affetto del lettore. Sebbene infatti Martin tracci con accuratezza l'indole e la personalità di ciascuno di questi personaggi, essi (complice anche la scarsità dei capitoli a loro dedicati) appaiono molto lontani dall'avere il carisma dei protagonisti della saga.
Molto più interessanti i POV principali. Dopo tre libri come personaggio di supporto, stavolta la protagonista assoluta del romanzo è Cersei, di cui Martin ne esplora la psiche tormentata, le paure e il dolore di una donna che ha recentemente perso il figlio maggiore, senza però mai perdere la perfidia e la spregiudicatezza che l'hanno sempre caratterizzata.
Molto spazio viene riservato anche all'evoluzione degli altri protagonisti, in primis Jaime, sempre più lontano dal villain del primo romanzo, ma anche Sam, ancora in lotta con le paure e la scarsa autostima che da sempre lo perseguitano. Merita un plauso la surreale story-line di Arya, meno tediosa delle interminabili peregrinazioni dei libri precedenti.
Noiosissimi invece i capitoli dedicati a Brienne, spersa nelle Terre dei Fiumi, alla ricerca di Sansa. A quest'ultima vengono dedicati pochi capitoli, non particolarmente interessanti, di cui comunque si apprezza il cambiamento del personaggio, ormai privo dell'ingenuità e delle illusioni che lo caratterizzavano all'inizio della saga.
Complessivamente "A Feast for Crows" è un romanzo che riesce a catturare l'attenzione del lettore grazie alla proverbiale accuratezza di Martin nella caratterizzazione e nella dinamicità dei personaggi, ma che risente dell'assenza di gran parte dei protagonisti più amati dai lettori, nonché di una trama che, a differenza dei volumi precedenti, si limita a proseguire senza sfociare in un vero e proprio climax finale.
...ContinuaLibro quarto.
Copincollo:
Lasciatemelo dire, a un certo punto ho avuto il dubbio che non fosse così necessario, dal punto di vista della funzione-che-i-romanzi-svolgono-nel-mondo dico, scrivere una versione Brutta Sporca & Cattiva dei classici fantasy.
(A parte che esiste Howard, che sapeva dire tutto con più stile e in meno tempo, anche se peccava in una certa esaltazione dell'eroe omone-forzuto-strafuttente. Sempre secondo me, eh!)
Quello che voglio dire è che, leggendo questo fiume di parole e nomi propri e case e popoli e gente e città, ho avuto come l'impressione che Martin stesse facendo un'opera di certosina distruzione, di svuotamento del mito, e di certi ideali, di riduzione a mero gioco di potere tra pochi della politica e delle ideologie, con il solo ausilio di una "spietata verosimiglianza" (per dirla alla Ellroy), e della predilezione per "Cripples, Bastards, and Broken Things".
Non che ciò non me lo renda automaticamente simpatico. Martin si va ad aggiungere a quella schiera di "veristi del romanzo di genere" già popolata dai vari Evangelisti, Ellroy, Gibson, Lansdale, eccetera, che adoro.
Quello che mi è capitato leggendo, annoiato spesso dalla inutile verbosità dei paragrafi e paragrafi di descrizioni cretosine (e va bene, ci stà), dei pensieri dei personaggi in terza persona (e proprio no, non lo sopporto), di rievocazione continua di fatti precedentemente accaduti inserite nelle (inevitabili) descrizioni e negli (evitabili) pensieri di cui sopra (cosa che poteva tranquillamente prendersi la briga di fare in capitoli a parte, flashback magari, che ne sò, ma non così, cheppalle)...
Dicevo, quello che mi è capitato, è che mi sembrava che tutto quel casino fosse messo in piedi solo per quell'opera di distruzione di valori e idee che secondo la vulgata comune fanno parte dell'immaginatio fantasy come il prosciutto crudo si accompagna sempre al melone, e che invece fa figo fare vedere che stavolta no - chetticredi! - non è affatto così.
Capisco la necessità di farlo per quanto riguarda determinati periodi storici. Per quanto riguarda la storia vera, dico. E capisco pure - che vi credete? - che sia importante farlo per quanto riguarda l'immaginario colettivo. E quindi anche il fantasy. E quindi anche cavalieri e magia e antiche tradizioni e il concetto di bene & male e quello di onore pure.
Solo che sorge il dubbio che non fossero necessari quattro romanzi (nove in italia) e altri tre a venire e questa spropositata quantità di trame e sottotrame. Che alla fine quello che vuole dire Martin (il bene e il male non esiste, è tutta una questione di potere, quelli belli e amati non sempre sono i buoni e quelli brutti e disprezzati eccetera...) si poteva dire, appunto, in due parole.
Anche se a un certo punto, sembra, ma dico sembra, che la noia e la prevedibilità di qualcosa che a un certo punto inizi a chiederti che senso abbia leggere (o scrivere), venga quasi fregata da un twist narrativo che coinvolge una (scontata) profezia, il ghiaccio e il fuoco del titolo, e i misteri ancora insoluti della saga (quello che c'è oltre la barriera, quello che c'è al di là del mare, Melisandre). Ma è solo un pucurillo di fiducia che ci sentiamo di concedere al bravo Martin, niente di più.
Resta da apprezare la complessità dello scenario, curato nei minimi dettagli (che per uno che scrive fantasy è una cosa buona, condizione necessaria ma non sufficiente), certi momenti veramente veramente ma veramente forti emotivamente, in cui sa come gestire e come tradire ritmi aspettative e sentimentalismi del lettore più sgamato.
E poi l'affetto per certi personaggi (il nano, il mastino), un bel modo per trattare le varie religioni inventate (animista, politeista, monoteista e ehm... lovecraftiana?), la magia parente dell'horror (i morti viventi, i white walkers, la sacerdotessa di R'hllor), e la curiosità per come va a finire.
In definitiva:
Scrive mediocre. Racconta bene. Parla assai.
Reinventa un genere adeguandolo al ventunesimo secolo, e non è poco.
E' uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare.
(Complimenti se sei arrivato fino a qui, hai vinto la saga completa in PDF)
...Continua