Audiolibro (Audible)
Mi piace quest’autore, è il corrispondente meridionale di Beppe Severgnini, come di lui adoro le descrizioni dissacranti e puntuali dell’Italiano all’estero. In questo caso il giro all’est e poi in Australia si trasformano in racconti esilaranti di come si vivono le situazioni estere ed estreme viste dal nostro occhio occidentale e dalla nostra cultura. Anche se di questo libro resterà leggendario il suo rapporto orale con la prostituta nigeriana, da solo vale il prezzo del biglietto. Leggero e piacevole.
Hong Kong, una mattina. Esco dalla mia sontuosa stanza d’albergo a un piano altissimo di un grattacielo
http://www.incipitmania.com/incipit-per-autore/aut-p/piccolo-francesco/allegro-occidentale-francesco-piccolo/
Non sapevo di cosa parlasse questo libro, l'ho scambiato a prezzo zero in un mercatino affidandomi all'autore. Sì, perché io adoro quest'uomo. Mi fa quasi paura quanto sembri sempre leggermi nel pensiero, notando le stesse cose che avrei notato io e ricavandone le stesse (talvolta bislacche, o crudeli, o assurde) considerazioni che in me magari erano rimaste implicite, abbozzate o inconscie. Il fatto che qui si parli di viaggi ha aumentato il mio interesse, essendo una delle mie grandi passioni.
Fa un certo effetto, innanzitutto, leggere oggi un libro che parla di viaggi, ma scritto quando il mondo non aveva ancora conosciuto i voli low cost e il fai da te selvaggio on line, che hanno portato il turismo di massa a vette mai raggiunte. E forse sarebbe già ora di scriverne le brutture versione viaggiatore squattrinato/indipendente. Va detto che il volume di Piccolo è uscito solo 6 anni dopo "Una cosa divertente che non farò mai più" di D.F.Wallace e ne segue in molti aspetti il tono e l'approccio. Raggruppa le idiosincrasie, brutte abitudini, egoismi dei quali spesso si ha coscienza ma che non si riescono ad evitare. Parte dalle anomale relazioni sociali tra passeggeri di un volo, mentre si accumulano inutili salviette rinfrescanti e ci si flashia davanti al monitor che visualizza in che punto della terra si trova l'aereo e quanto velocemente si sposti, poi passa in rassegna le reazioni di un viaggiatore economy catapultato per la prima volta in business (basta uno schiocco di dita e siamo già al "noi della business class").
Ci racconta l'ansia di sfruttare tutte le opportunità offerte gratuitamente (mangiare fino a sfondarsi, vedere più film in prima visione possibile) e l'affettata attenzione soggettiva che i servizi extralusso dedicano a ognuno, portandolo a sentirsi unico, importante, diverso dalla massa plebea che si affatica e si deve autogestire per tutto il tempo senza personale dedicato nella "dura" avventura del viaggio lontano da casa. Descrive il panico scatenato dall'assenza di segnale telefonico (oggi peggiorato e degenerato nella folle pretesa di essere connessi a Internet ovunque, anche se si tratta di una sperduta foresta del Borneo). Ci ricorda il significato di globalizzazione (la maglietta di Totti indossata dal bambino cingalese è un altro grande classico, nelle sue comunque simili varianti) e l'allucinante legge climatica che chiunque abbia viaggiato a certe latitudini ben conosce: fuori creperete di umidità, dentro congelerete per l'aria condizionata portata a livelli disumani, e starete male sempre, quando siete dentro vorreste stare fuori e quando siete fuori vorreste stare dentro (e comunque un malanno ve lo porterete a casa). Mentre chiunque sia stato in Oriente avrà già appreso l'amara (seppur ovvia, ma solo ex post) verità: "Anche per i cinesi gli occidentali sono tutti uguali". In tema di Oriente, è esilarante la parte sul misterioso e ossessivo scambio di bigliettini da visita degli abitanti di Hong Kong (che a me ha ricordato il giro organizzatissimo di biglietti da visita dei taxisti in Giordania e dei proprietari delle casas particulares a Cuba), seguita dalle poco accoglienti regole dell'immigrazione australiana (ma vogliamo parlare della dogana a Singapore?), qui raccontate prima che fossero divulgate in massa dalla TV con "Airport security".
E come ogni viaggiatore sa, più si viaggia in mete lontane, più cresce la paura di non riuscire a vedere tutto ciò che è possibile, sale l'ansia da prestazione che ci fa sentire in obbligo di fare tutte le esperienze possibili (soprattutto sapendo che "non avremo più occasione per farlo" e che qualcuno potrebbe chiederci "Ma come? Non sei stato a...? Non hai visto il...?"). Anche se poi inevitabilmente arriva la delusione per certi imperdibili luoghi "simbolici" (tipo il punto più a est/nord/sud/ovest del continente X) che dal vivo si rivelano niente più che squallide riserve di bancarelle per turisti. In ogni caso, mai sfuggire alla regola non scritta di fotografare solo quello che è socialmente accettabile fotografare (lasciando ciò che è brutto, triste, sgradevole, disturbante o comunque non consono fuori dalla cornice). Pur subendo comunque il fascino delle città degradate, sgarrupate, maltenute, che perderebbero appeal se divenissero improvvisamente pulite e organizzate (concetto strisciante, inconfessabile e pericoloso).
Ad ogni modo, il viaggiatore occidentale (anche il più alternativo, informato e consapevole) si troverà inevitabilmente coinvolto in alcuni meccanismi perversi: la visita al mercatino locale/negozio di artigianato tipico con acquisto "suggerito", dove l'autista/guida vi porterà in un modo o nell'altro, con una scusa o un'altra (fingendo di non avere alcuna percentuale sulle vendite e facendovi da un lato incazzare e dall'altro sentire in colpa perché in fondo a voi costa poco e poi quando più avrete l'occasione di comprare quell'oggetto etc etc). Ma l'elemosina tipica del turista occidentale che vuole sentirsi generoso è fatta di dolciumi e materiale scolastico, che finisce per essere un terribile boomerang sia per chi dona, sia per chi riceve. I bambini si rovineranno i denti (ma non potranno pagarsi un dentista), si scanneranno per aggiudicarsi qualcosa e alimenteranno nei turisti successivi l'idea che questo è ciò che serve loro (e che è loro dovuto). E in noi scateneranno assurdi criteri di scelta nel dirigere la cessione e perfino una malvagia delusione nel notare che non solo chi riceve non ci è riconoscente, ma un attimo dopo si è già dimenticato di noi e anzi ha dismesso quell'espressione triste e mogia che ci aveva indotto a scegliere lui o lei.
Mentre i viaggiatori meno consapevoli, traghettati in massa dai tour operator, incontreranno invariabilmente guide turistiche improvvisate, senza alcuna competenza né interesse, meri figuranti che hanno come unico vero ruolo quello di accompagnare sprovveduti turisti nei luoghi che sono loro destinati (posti ben delimitati e distanti da quelli veri, e magari pericolosi, in cui si svolge la vita reale degli abitanti locali). E assisteranno a situazioni, spettacoli, folklore fittizio creati e riprodotti a solo uso e consumo dei gruppi di turisti "organizzati", ripetuti uguali a se stessi ogni giorno, ai quali, con un automatismo implicito, ogni membro del gruppo risponderà nel solo modo istituzionalmente accettabile: scattando una foto. Senza la consapevolezza di essere di fronte non a un vero elemento di quella cultura, ma a una esibizione studiata a tavolino per accontentare l'aspettativa del turista occidentale medio. Oppure conosceranno l'accompagnatrice/residence manager ossessiva, soffocante, pedinatrice, pagata per rendere tutto perfetto (e quindi falso, fastidioso, insopportabile).
Per non parlare dell'aberrante microcosmo dei villaggi vacanze, avulsi dal mondo circostante, identici anche a latitudini lontanissime nel loro ripetitivo menu di attività programmate, spettacolini demenziali, cibo in eccesso (e regolarmente sprecato), personale sfruttato che finge di non odiare tutti gli ospiti ma a un occhio allenato mostra le crepe delle giornate passate a sorridere forzatamente a gente insopportabile. Le stesse crepe che Piccolo nota nella fredda meccanicità della bellissima massaggiatrice, in un contesto teoricamente estatico poi rivelatesi glaciale per la palese assenza di emozioni di una professionista sfiancata dalla routine e (ovviamente) del tutto disinteressata alla sublime esperienza emotiva che si aspetta il cliente.
Arrivati alla fine, davanti a tutto questo orrore (spesso autoprodotto) è giusto chiedersi cosa resta della nostra umanità, se cominciamo a pretendere in qualunque situazione un servizio extralusso lamentandoci di ogni cosa, e se perfino di fronte a tutto ciò che di meglio si può immaginare (il paesaggio più splendido, il cibo migliore, le esperienze più cool) ci coglie una inaspettata e malinconica insoddisfazione. L’altra domanda in sospeso è: cosa significa oggi essere viaggiatori "indipendenti", "fai da te", ecologici, rispettosi? È davvero possibile sottrarsi a certe logiche perverse, allo sfruttamento, alla carità pelosa, all’imbarbarimento di noi stessi?
Nel suo consueto stile leggero e scanzonato, Francesco Piccolo scrive un libro dedicato ai viaggi. Viaggi molto particolari, peraltro: a quanto pare interamente spesati da una rivista, Marie Claire, per poi raccontare quello che si è trovato a incontrare e a vivere lungo il suo percorso.
Attenzione: questi viaggi sono ben altra cosa da quelli di Folco Quilici o di Walter Bonatti. Sono viaggi super-organizzati, comodi, lussuosi. E le sue impressioni, descritte benissimo, sono quelle che potrebbe avere qualsiasi vacanziero moderno con un’adeguata quantità di denaro in tasca.
Come sempre, Piccolo è molto brioso, tanto ironico quanto autoironico, non fa sconti né a quello che vede e che vive - il labile confine tra ricchezza e povertà, il piacere di vedere luoghi sconosciuti e quello di aggirarsi in mezzo al disagio con la consapevolezza di essere altro e con una degna compassione in tasca pronta all’uso - né a sé stesso, alle sue paure, ai suoi tic e alle sue fissazioni. Tutte le bellezze e le bruttezze della vacanza organizzata sono messe sotto esame: la finzione dell’allegria dei villaggi, il personale perennemente a tua disposizione con una gentilezza e una disponibilità tanto grande quanto figlia di un contratto - tu paghi quindi io son qui a occuparmi di te - le visite programmate nei luoghi dell’artigianato col fine nemmeno troppo celato di spennarti o di farti spennare. Esilaranti peraltro le ricchissime vacanze in Australia, in luoghi tanto belli e tanto “ricchi” - qui niente povertà, solo lusso e benessere - quanto micidiali per la presenza di animali pericolosi e piante velenose pronti a stroncarti non appena fai un passo falso.
Tra tutti i capitoli, curioso quello dedicato a un “viaggio” molto particolare, quello in una via periferica di Roma a farsi fare un servizio da una prostituta nigeriana. Divertente, brioso e leggero come sempre, ma anche piuttosto disturbante. Complimenti comunque per il coraggio di raccontare e raccontarsi qualcosa che ben pochi avrebbero osato.
...ContinuaSpensierato e colpevole, il protagonista dell’allegro occidentale è un ossimoro: ha voglia di viaggiare, ma per mettere una spunta sulla sua immaginaria lista dei luoghi da visitare (solo e rigorosamente una volta nella vita); ha a cuore la povertà dei paesi che visita, fino a quando non scopre il potere; si compiace di trovare tutto “proprio come lo aveva immaginato”, ma poi si trova a riflettere sulla grande macchinazione che c’è dietro ogni tour.
Il protagonista è così simile ad ognuno di noi che fa male.
Piccolo tocca delle corde che, da viaggiatrice a cui spesso è mancata la presunzione di autenticità, non solo fanno male, ma lo fanno nella maniera peggiore, quella che ti si conficca dentro per non uscirne più: con ironia.