Celeste 1872 è un lungo viaggio verso Genova, ma anche il lungo viaggio dentro al cuore di una donna. Un romanzo introspettivo attraverso cui l’autore esplora l’anima femminile con delicatezza, alternando tempeste a momenti di bonaccia, raccontando così la vicenda della Mary Celeste, che può essere considerata a tutti gli effetti la prima nave fantasma della storia.
...ContinuaHo avuto l'occasione di leggere Celeste1872 di questo autore che ho conosciuto attraverso Anobii. Ne ho iniziato la lettura con l'entusiasmo che mi spinge a conoscere la trama, lo stile di scrittura e tutto quanto ci si aspetta da un libro: lo scritto è un monologo interiore troppo ripetitivo e lento della protagonista (?), una donna devota moglie di uno dei membri dell'equipaggio dI Celeste, un monologo noioso, che si snoda in un linguaggio troppo semplice, che occupa una parte notevole del testo tanto che la trama non sembra avere risvolti: ne ho quindi abbandonato la lettura per cui mi è risultato impossibile conoscerne trama e finale: illegibile per me.
...ContinuaFinalmente ho conosciuto l'autore che mi è vicino (o amico?) qui e amico su facebook. E' sicuramente un personaggio interessante, preso al 200% da quello che fa e da quello che scrive. E' il suo secondo libro che leggo (su 8 che ha scritto). Non mi voglio fermare a questi due (l'altro è sotto un sole nero).
Premetto a tutti i lettori di questa 'rece' di non prendere per dati oggettivi quelle che in realtà sono SOLO mie opinioni.
Non è un libro facile nonostante non sia un mattone: è un lungo monologo interiore della protagonista Sarah che si trova suo malgrado su questa misteriosa imbarcazione. Ma, come disse l'autore alla presentazione del libro fatta di recente a Milano, è una storia dove il lettore deve metterci del suo per completarla, per concluderla.
Io non mi son fermato al semplice dato oggettivo delle parole offerte da Mingotti nel corso della storia: mi sono immaginato una serie di aspetti surreali, ma non solo. Mi è piaciuto immaginare che Sarah fosse schizofrenica, che fosse malata di mente e che raccontasse queste parole dal letto di un manicomio, in preda ad una visione. Mi è piaciuto immaginarla colpevole delle sparizioni-uccisioni di questi uomini e, vittima di un bipolarismo, non accettare di essere lei il motivo di questi delitti.
Insomma, non devo stare qui a spoilerare (lo so, l'ho comunque fatto) esponendo le mie sensazioni. Dico solo che la materia proposta dall'autore è buona per pensare, per interagire con il libro riga dopo riga. Lo stile però mi risulta più pesante: non è un obbligo essere scorrevoli (cfr. Saramago, vero?), però esserlo certe volte aiuta. Parlando di punti a favore del libro vorrei evidenziare l'attenzione dell'autore sulla struttura narrativa: la storia è narrata in prima persona dal punto di vista di Sarah. Quanti autori han provato a 'diventare donna' in un libro, quando in realtà non si è trattato altro che rendere al femminile aggettivi e strutture verbali. Mingotti si distingue: Sarah è Sarah, e non un uomo che ha addosso paludamenti muliebri per ingannare la vista del lettore. Il dettaglio conferma la cura dell'autore nel confezionare le sue opere: se in 'sole nero' si è preoccupato di scrivere una storia adottando un a molteplicità di registri, qui conferma di essere non solo sta attento al contenuto, ma anche alla forma (a parte qualche terribile refuso che qui non voglio citare).
Ho detto due e tre quarti, nel titolo? No, cambio idea: tre piene piene.
E che possano diventare quattro, cinque, sei, sette con i prossimi libri.
Tempo fa, Ivano Mingotti, un giovane autore lombardo, mi ha inviato il suo romanzo distopico intitolato Il paese dei poveri [Edizioni R.E.I., 130 pagine] chiedendomi un parere. Onestamente, non sono riuscito ad andare oltre pagina 10 (e dire che il genere distopico è la mia passione); le continue, ossessive, ripetizioni, oltre a indurre una fastidiosa stagnazione del flusso narrativo, risultavano indici di un’autoreferenzialità a mio giudizio deleteria nei confronti della storia - che poteva essere valida - e assai poco rispettosa del lettore.
Dopo che gli ho esposto ciò che pensavo, Ivano Mingotti mi ha chiesto un altro parere, questa volta sul suo romanzo Celeste 1872 [Alter Ego Edizioni, 162 pagine]. Mi sono allora imposto di leggerlo fino in fondo.
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Un racconto che sin dalle prime righe si presenta unico e diverso da ogni altra storia narrata.
La scelta della voce in prima persona crea un'atmosfera ancora più incisiva, da tragedia shakespeariana, con un effetto drammaturgico della vicenda che lega tutti gli elementi che la compongono.
Ivano Mingotti usa la scrittura come mezzo capace di riportare ognuno di noi dentro se stessi, nel processo subito dalla protagonista col trascorrere delle ore e giorni sulla nave Mary Celeste, in viaggio verso Genova.
Prevale una forza figurativa determinata dall'espressione linguistica che mette a luce gli atteggiamenti più incerti, pieni di ansie, di dubbi e legati a una profonda fede: martellante e ricorrente in ogni sua voce.
Come l'oceano si perde e fonde con l'orizzonte, così Sarah Briggs moglie, madre e donna devota s'inoltra nella propria coscienza scoprendo emozioni forti scaturite dalle circostanze.
A bordo della nave, si svolge l'intero scenario, che diviene luogo tumultuoso, dove la protagonista cerca di trovare un proprio centro significante, ordinatore nel caotico insieme di segni e valori propri che il flusso del mare in tempesta e fenomeni estranei cercano di scompigliare.
È un luogo teatrale in cui le figure dell'equipaggio vengono delineate dall'autore attraverso gli occhi della donna, con tutte le sensazioni che possono scaturire dalla sensibilità e riluttanza, in un periodo storico in cui la figura femminile veniva rilegata ad un ruolo ben preciso, con etica, religione e morale delineati su un unico binario da rispettare.
Sarah Briggs, strettamente legata e aggrappata alla sua creatura, la piccola figlia Sophia Matilda Briggs, oscilla tra i dubbi più dolorosi. La piccola, sfuma i colori, attenua e fonde le visioni della madre, che lascia in piena luce un Dio creatore e in piena oscurità il demone con le sue tentazioni.
Una figura che non si identifica solo con la virtù o della cura emotiva di sé, ma anche nella propria discendenza, in un destino designato dal fato.
Il processo in cui s'inoltra non è di salvezza, ma di raggiungimento consapevole di rigenerazione nella luce.
L'abilità di Mingotti mette allo scoperto «nervi» sensibili nell'animo del lettore. Impossibile desimersi dalle sensazioni forti: ho provato, la classica percezione della goccia costante che col suo insistente ticchettare buca la roccia.
Mi sono percepita, con i polmoni contratti, oppressi dagli aggettivi scaturiti dalla penna dello scrittore: angoscia, paura, rassegnazione, tristezza e ansia pura.
Un incredibile scenario adatto a una rappresentazione teatrale, che calza perfettamente con l'arte scenografica, in cui il personaggio di Sarah potrebbe diventare grande invenzione di questo testo, con una parte tragica e la seconda romanzata.
Concludo dicendo che il linguaggio che contraddistingue questo scritto è lo strumento intimamente connesso a uno stile che travalica le convenzioni contemporanee.
Una lettura un po' lenta iniziale che concede spazio e riflessione al dramma; per poi volare come un velo nel vento verso il finale.
Giuliana Guzzon
...Continua