Vite che si smarriscono dietro sogni che sanno di non poter realizzare. Vite che inseguono frivolezze. Vite che inseguono le esistenze che il destino non ha concesso loro. Vite che desiderano sempre esser altro da ciò che sono e che, quando la consapevolezza e un pizzico di sincerità le coglie, riescono solo a contemplar un'infinita solitudine.
...ContinuaÈ il secondo libro che leggo di Némirovsky e anche questa volta è riuscita a sorprendermi. È vero, non avevo nessuna aspettativa per questo romanzo, pensavo solo che vista l’esperienza precedente probabilmente mi sarebbe piaciuto, e così è stato. Eppure leggendo mi sorprendevo, non so come altro descrivere questa esperienza di lettura. Forse mi sorprendeva di identificarmi con un personaggio che non ha nulla a che vedere con me. O mi sorprendeva sentirmi tanto coinvolta da una storia in cui in realtà non accade mai molto. Sicuramente mi sorprendeva lo stile incredibile di Némirovsky. Fatto sta che più la leggo più apprezzo questa autrice, così come più leggevo più mi piaceva questo romanzo.
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Ho resistito alla tentazione di divorare romanzi su romanzi, quelli scritti da Irène Nèmirovsky e che già compongono gli scaffali delle mie librerie, proprio mentre stavo optando l’idea di berli tutti in una volta, partecipando meno assiduamente al proposito di divorare tutto ciò che mi circondava. Letterario mi riferisco, naturalmente. Un’inaspettato >, nonché sconvolgente epidemia più grande di quel che si crede, con qualche scoppio incontenibile di anime recise, un periodo di isolamento obbligatorio mi indusse a divorare quest’ennesimo ritratto umano, politico e sociale che si presta esattamente come il suo predecessore, La preda, a guardarsi dentro e constatare come non si tratti di nient’altro che di piccoli squarci di anima che tendono la mano a chiunque. Mi compiaccio sempre immaginando questa giovane ambiziosa donna raccogliere nel palmo della sua mano piccole anime raggruppate o attanagliate da dolori o simili tormenti, senza comprendere appieno il vero significato di questo raccolto né perché previde un numero alquanto ampio di storie, e poi abbracciò me, con il cuore colmo di amore, affetto, che non potei davvero non innamorarmi di lei e di tutto ciò che si portò dentro. La situazione ritratta in David Golder, sebbene lontana dai concetti o propototipi imposti dall’amore o dall’amicizia, di cui la stessa Nèmirovsky è molto brava, era troppo seria, scrupolosa, algida ed esigeva un’attenzione in più di un semplice atto di comprensione, qualcosa di più di un semplice rapporto abituale in cui l’individuo si veste dei mali che attanagliano la sua anima fragile e debole: il raggiungimento di eroe indistruttibile, quindi Super Uomo.
La domenica in cui conobbi un uomo ricco, algido ma avaro nella cui anima sembra ardere una scintilla di cenere, mi inoltrai in un sentiero molto più insidioso di quel che credevo. Da una manciata di mesi culla di tanti deliziosi ritratti di anime appassionate ma semplici, e in una manciata di ore, prototipo di un disegno ambizioso, delicato ma importante, in cui sebbene ci si impegna a passare lo straccio sul passato, cancellare quei momenti di astio o povertà che attanagliarono il nostro fragile cuore e che lentamente trascina sempre più nel basso, non ci si sente pienamente soddisfatti nemmeno quando si raggiunge l’agognato traguardo.
Ci si può nascondere dietro una corazza di freddezza, finto perbenismo, compassione è davvero difficile dissipare il male del tempo: questa è una delle tante acute riflessioni che i romanzi nèmirovskyani propinano e da cui traggo quasi sempre ispirazione o insegnamento nel momento in cui abbraccio la vita. Senza contare le innumerevoli esperienze che devo ancora vivere, ovviamente, la quantità di esperienze a cui sarò sottoposta, ma che sono una grandissima fonte d’ispirazione da cui trarre esempio.
David Golder emerse dal passato come un immagine ben definita, con una voce rauca, aspra, uno sguardo profondo di occhi intensi, accesi ma imperscrutabili che mi trasmise un certo messaggio. Dai contorni marcati, nel suo temperamento forte e un po’ distaccato c’è stato tuttavia qualcosa di nebuloso, preoccupato, vago persino nello sguardo che involontariamente me lo aveva fatto designare come qualcuno a cui è stata strappata la felicità. Ogni rimasuglio di speranza, addirittura di vita, che vaga lungo la riva dell’assurdo. Ed infatti David Golder, non era conosciuto come la persona più altruista, gentile fra i tanti ma come qualcuno di sofferente, avaro che incorre la felicità, sebbene la clessidra del tempo si stia lentamente esaurendo. Un uomo potente, ricco, ma divorato dal rimorso, dalla cupidigia, che avanza verso nuvole evanescenti che poi fluttueranno verso il cielo.
Il congegno artificioso delle emozioni, dei ricordi, esposti quasi sempre ai venti della vita, qui sono quasi del tutto assenti, inesorabilmente predisposti sulla condizione di benessere o sopravvivenza a cui fa riferimento l’autrice. E il motivo, deduco, deriva dal fatto che talvolta il cervello produce automaticamente qualcosa di indispensabile. Ma nell’attimo in cui veniamo travolti dalla risacca disomogenea delle emozioni è davvero impossibile ignorare tutto ciò.
Ed è così che si spiega la bella storia di David Golder, che a eccezione degli altri romanzi recentemente letti, è un complesso algido che nel grande bazar della vita sprigiona la sua bellezza nella qualità anziché nella sua quantità, frammento di somiglianza con il sesso maschile con cui l’autrice fu a contatto. Dal temperamento complicato, distaccato, ma anelito ad una pace interiore mai trovata e conquistata, la sua figura evanescente deriva da un disperato patto con gli dei e le lotte inimmaginabili.
Selvaggia immersione nell’anima, tuffo di colori in un’unica tinta scura, sullo sfondo di un crepuscolo grigiastro, in una Parigi un po’ vuota e un po’ stantia, romanzo che dà la sensazione perenne di essere soli nell’universo, sfamato da una miriade di parole, scaldato da un'unica luce al mondo. Quella che tuttavia David Golder non vedrà mai. Mai più.
Duro e gelido come il marmo, spettrale, angosciante.
Nel ritmo serratissimo ed incalzante della narrazione, si snoda l'ultima parte della vita del vecchio Golder, miliardario ebreo di umili origini che ha sacrificato ogni cosa sull'altare del dio denaro e che, all'ombra dell morte e senza mai redimersi, fa i conti con il Male che ha dentro, con la solitudine e con il tradimento. Unico spiraglio di luce in questa esistenza cupa e sconfortante è l'affetto non ricambiato per Joyce, figlia viziatissima e opportunista, che pur nel suo immenso egoismo, darà una pennellata di colore e una ventata di freschezza all'esistenza torbida e grigia del vecchio. Tre cose colpiscono del romanzo:
1) Uno stile asciutto, diretto, energico, molto maschile, privo di ornamenti.
2) La mancanza di pentimento. Mai e da nessuno dei personaggi principali. Il Male barcolla, ma resiste, eccome se resite, anche di fronte alla morte.
3) La costante presenza dell'odio, il sentimento che tutto muove. Odio madre- figlia (una costante, nell'Autrice). Odio per gli avversari, per i buoni, per gli "amici", per il denaro, per la mancanza di denaro. Odio perla vita.
Insomma, un bel romanzo per cominciare l'anno all'insegna della speranza.
Mi ricollego direttamente al titolo che ho messo alla mia recensione. Immagino che descrivere molto sia un vizio degli autori russi, per quanto mi riguarda non amo descrizioni minuziose di dettagli inutili, a me lo show don't tell fa venire l'orticaria, quindi leggere i primi dieci capitoli è stato una tortura, l'ho letto da sabato pomeriggio fino a stamattina, tutto d'un fiato in due giorni, perché era un regalo e fin dall'inizio si capiscono le potenzialità del libro e dell'autrice (questo fu il suo primo romanzo), e per questi due motivi ho pensato di leggerlo tutto e finirlo il prima possibile per capire dove sarebbe andato a parare, come finiva e levarmelo di mezzo.
Dal capitolo undici migliora di botto, ci sono più dialoghi, più "azione", è più intrigante e l'autrice non ha avuto bisogno di cazzate come descrivere per ogni personaggio ogni stupidaggine riguardo all'aspetto, al volto, gli occhi, i capelli, i vestiti... Cavolo immaginate come diventa noioso un libro che ci presenta così ogni personaggio? Tuttavia è un libro con diversi pregi: primo, vorrei vedere quanti scrittori al loro primo libro riescono a parlare di questioni complicate come affari finanza, fornire un'analisi della società, farci toccare con mano varie mentalità, l'evoluzione affettiva in positivo o in negativo all'interno di gruppi sociali più o meno ampi... e accostare a tutto ciò in modo dettagliato ma senza forzature, l'evoluzione anche dei problemi di salute del protagonista.
Trama in breve: David Golder è un uomo ebreo ricco e dedito al lavoro fino al punto da sembrare un farabutto privo di sentimenti, questo è ciò che pensano di lui tutti i personaggi, l'idea che me ne sono fatta io è che lui fosse una persona comune che però ne aveva di motivi per diventare cinico e strafottente verso tutti! In questo libro, considerato l'ambiente (industriali e alta finanza) tutti vivono per i soldi e per il lusso, fino a rovinarsi la vita: chi si suicida, chi si troverà da ricco a povero, chi riuscirà a rigirare la frittata, e chi vive costantemente nella frustrazione, schiavo del denaro, anzi drogato di denaro. Tutti sforzi che non vale la pena fare!
Ciò che davvero ho amato di questo libro è la grammatica, la punteggiatura COME UNA VOLTA, QUANDO I LIBRI ERANO TUTTI QUANTI SCRITTI BENE E CON LA LETTURA SI IMPARAVA A SCRIVERE BENE, è bellissimo anche il lessico usato, mi ha insegnato parole nuove e tutto ciò senza che l'autrice si desse arie. In questo senso è un libro da conservare per farlo leggere ai figli, come esempio di scrittura fatta bene. però anche verso la fine in un paio di episodi stava tornando alla cattiva abitudine di descrivere tutto-tutto dei personaggi nuovi, fortuna che poi di nuovo si è scordata di farlo e il finale mi è piaciuto molto. Se lo rileggerò comincerò di botto dal capitolo undici, i primi non ci penso proprio!