Intreccio di vite durante l'orario lavorativo. Paure, gelosie, aspettative, rancori, dispetti, amori... idea di base molto bella, ma non ho l'ironia tanto decantata dalle recensioni su questo libro.
Ho letto questo libro più di dieci anni fa, incuriosita da una simpatica recensione di Nick Hornby. Mi è capitato di riparlarne in altra sede recentemente e questo ha fatto venire a galla un po’ di piacevoli ricordi e qualche motivo per commentarlo in maniera più estesa, e magari chissà rileggerlo.
Anzitutto è, ancora oggi, nella mia libreria, uno dei pochissimi romanzi che parlino di lavoro, ma in particolare del lavoro di ufficio, cioè anche delle tipiche dinamiche tra colleghi di scrivania, tra capi e collaboratori ecc. Non che fossi ansiosa di leggere cose del genere (dopotutto le vivo tutti i giorni) ma mi sembra che gli scrittori non esplorino spesso questo lavoro, forse perché non lo ritengono abbastanza ispiratore, più probabilmente perché lo odiano considerandolo troppo gretto, routinario e soffocante per la creatività (magari è proprio il tipo di lavoro che molto di loro hanno lasciato per diventare scrittori - compreso probabilmente lo stesso Joshua Ferris).
Ora non dico che la vita d’ufficio nasconda chissà quali preziosissime perle sconosciute ai più. E’ vero però che un bravo scrittore può trarre molto materiale da quel microcosmo che è la vita aziendale, che non è solo fatta da burocrazia e pettegolezzi. E Joshua Ferris lo fa benissimo, catapultandoci dentro una realtà che evidentemente conosce bene, e di cui riesce ad evidenziare in modo appassionante i rapporti umani e le dinamiche psicologiche, riuscendo man mano a farci affezionare - o almeno considerare con equanimità - anche i personaggi più respingenti (peccato non sia riuscito a ripetere l’impresa nei suoi due successivi libri, per me del tutto deludenti).
Il romanzo è ambientato in una grande agenzia pubblicitaria sull’orlo della chiusura e racconta gli ultimi mesi di lavoro e le storie dei suoi dipendenti tra creativi e personale amministrativo di vari livelli, il rapporto col loro lavoro (sintetizzato nella bellissima pagina di incipit) e ovviamente la loro prospettiva di perderlo di lì a poco. Contiene inoltre una trama secondaria, completamente diversa e più intimista, il cui senso diventa chiaro solo alla fine del libro.
La cosa che mi è rimasta più impressa è la narrazione in prima persona plurale: noi. Quello che può sembrare un artificio letterario, quasi una forzatura, è invece una scelta straordinariamente efficace e realistica: perché quando si parla del lavoro (e non solo quello di ufficio, immagino) si dice sempre noi, ma non è un “noi vs il resto”, è un noi perché siamo un tutt’uno, una piccola o grande entità collettiva, anche se composta di persone diverse e spesso neanche d’accordo tra loro.
Al centro del romanzo c’è indubbiamente il lavoro di ufficio: un lavoro fatto di diligenza, ma anche caratterizzato da piccole e grandi meschinità, che l’autore evidenzia regolarmente, spesso con graffiante ironia (perché ho dimenticato di dire che il libro è anche divertente). Ma come dice il simpatico Nick Hornby sempre nella sua recensione: “The rhythms and substance of a working day are slowly revealed to have the rhythms and substance of life itself”. E così la vita di ogni personaggio emerge prepotentemente dal suo lavoro, ed è anche questa la bellezza del libro, che per parlare del lavoro, parla ovviamente di noi.
...ContinuaQuesto è il suo romanzo di esordio, che ha vinto il PEN Hemingway Award, ed è stato finalista al National Book Award. questo è uno dei libri stilisticamente più originali che abbia mai letto, perchè la caratteristica principale del romanzo è la prima persona al plurale al narratore, una roba davvero difficilissima da tenere per tutta la durata del romanzo.
L'ambientazione è quella di un ufficio di pubblicitari a Chicago. Questo gruppo di colleghi diventa quasi una sorta di famiglia, dove i singoli sembrano non avere nient' altro al di fuori dell' orario di lavoro, un vero e proprio insieme di relazioni a volte ciniche a volte affettuose. In questo libro c'è invidia, sincerità, pazzia è un grande senso di precarietà. Infatti questo gruppo di colleghi si ridurrà sempre di più . i licenziamenti prendono quì il significato della morte.