"Ciò che accade sempre più velocemente viene percepito sempre meno nettamente" (Paul Virilio)
Sociologo d'assalto, urbanista esplosivo, filosofo catastrofista, intellettuale disincantato, analista tracotante del crollo del mito moderno di progresso. L'impatto con il pensiero di Virilio può essere irritante oppure respingente, tanto è coeso, tellurico e assertivo. Difficile condividere nella loro totalità le riflessioni del filosofo francese. Più che lo stile, corrobora in Virilio l'enucleazione delle idee, quanto mai originali e audaci. Per non dare di Virilio una rappresentazione troppo scoppiettante, possiamo affermare senza dubbio che non siamo di fronte a un Marinetti del Pensiero Negativo; anzi la visionarietà delle sue tesi trova, nella rigida contingenza degli ultimi lustri, una amarissima conferma. Semmai ci troviamo di fronte a un Von Clausewitz ipermediatizzato o a un Sun Tzu dell'era dromoscopica. Gli accadimenti storici più assordanti, gli eventi più inusuali e imprevedibili, hanno localizzato il filosofo francese nella scomoda posizione del profeta inascoltato. Certo le riflessioni viriliane non conoscono il dubbio di certe consorterie derridiane-butleriane, ma è proprio quando la realtà piega in modo atroce che il pensiero di Virilio diventa d'aiuto ed estremamente efficace. Valga come esempio definitivo l'attentato alle due torri gemelle, il famigerato 9-11. Ritengo che Virilio sia stato l'unico intellettuale, forse con Rem Koolhaas e Mike Davis, all'altezza della situazione venutasi a creare nel clima allucinato post-2001, grazie al plesso delle proprie competenze in ambito di crimine, terrorismo, arte della guerra, filosofia, architettura, estetica, spazialità, politica e pensiero della velocità. Virilio fu infatti l'unico che si occupò seriamente, nel libro "Un paesaggio d'eventi" del 1993, del primo attentato, mancato, al palazzo del World Trade Center (New York délire, anche qui aleggia il fantasma di Koolhaas…).
Il tema della sparizione, di cui si occupa questo brillante saggio del 1989, è infatti profetico anche per la figura dell'attentatore-terrorista-soldato ideale. Quale migliore strategia di sparizione può permeare il soldato religioso, spiritualmente motivato, anonimamente forgiato nell'invisibilità totale della propria auto-disciplina, che si immola al di fuori delle strategie militari usuali e delle gerarchie d'inquadramento, e che compare e scompare nel corso dell'azione stessa? Siamo oltre il carattere secolare e spaziale del guerriero localizzato sul territorio; siamo infatti all'interno di logiche di disintegrazione, di nuove dimensioni strategiche che situano "il movente nel movente", mobilis in mobili, e che utilizzano la violenza della velocità e l'astuzia dell'imprevisto come armi di deterrenza assoluta. I fenomeni di auto-immolazione, da allora, sono divenuti sempre più frequenti e affatto dirompenti; necessitano quindi di analisi adeguate e di un pensiero nuovo, che si faccia carico di "volare nell'ignoto"…
Un'altro tema che risulta sinistro, ma che nella logica della sparizione guadagna una propria scellerata sinfonizzazione, è quello della sparizione che induce altra sparizione, in una sorta di doppia nemesi: si tratta del famigerato Telegramma 71, il telegramma che Hitler fece spedire al crepuscolo della propria traiettoria imperiale - "Se la guerra è perduta, che la nazione perisca!" - e che sommava alla propria volontà iniziale di annientamento di intere popolazioni ad est della Germania, la volontà di vendetta verso il proprio popolo perdente, colpevole di non sapere reagire all'offensiva dell'Armata Rossa e delle truppe alleate e quindi meritorio di sterminio totale. Esempio limite, ma che Virilio utilizza al fine di teorizzare il mondo contemporaneo come un mondo di fatalità assoluta, "dove nulla ha più senso, nè il bene, nè il male, nè il tempo, nè lo spazio".
Velocità, visibilità, abbandono del "diritto alla bellezza", fatalità dell'oggetto tecnico, guerra come avanguardia della sperimentazione scientifica e tecnologica, abdicazione dell'elemento ornamentale, cinema come arte totale: in tutte queste determinazioni Paul Virilio rintraccia elementi di spoliazione e annullamento ed individua il sorgere di una vera e propria estetica della sparizione nei più svariati campi di applicazione, dalle uniformi dell'esercito ("il termine indostano khaki - il colore delle divise dell'esercito inglese - significa color della polvere") al Movimento di Liberazione della Donna, dalle strategie architettoniche di Adolf Loos all'utilizzo delle immagini-movimento nel cinema (ricordiamo infatti che un altro libro di Virilio s'intitola "Guerra e Cinema. Logistica della percezione") per finire con lo "sleeper", la spia-dormiente che per tutta la vita vive in una logica di sparizione e metamorfosi con l'ambiente nemico ma che può riattivarsi anche dopo decenni di catatonia tattica.
Non è più il tempo del "Vincere è avanzare" di Federico II e ne sono ben consapevoli gli eserciti "democratici" - o meglio sarebbe scrivere "dromocratici" - impantanati nelle vecchie guerre inerziali sul territorio asiatico. Superato il concetto di guerra totale del XX secolo, ancora non abbiamo introiettato - ci suggerisce Virilio - che il conflitto oggi è delocalizzato e che non esistono più tempi assoluti ma esclusivamente ed einstenianamente multipli.
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