Da dove cominciare per commentare questo libro? Da quale parte prendere il filo della narrazione per riavvolgerne il senso? Con quali parole dare conto del linguaggio esorbitante del testo?
Un io narrante unico che attraversa tre fasi apparentemente irriducibili della vita: l'adolescenza in seminario, la gioventù nella lotta politica, la prima maturità da scrittore. Religione, politica, arte: tre facce di un prisma che, attraversato da un raggio di luce, si rimescola, sfavilla particelle dall'una all'altra, colora della medesima sfumatura i lati opposti. Un io narrante, dunque, che non sa nulla, e del quale nulla sa il lettore. Non c'è scavo psicologico, tutto affiora sullo schermo del visibile ma, come diceva Wittgenstein, la profondità è tutta nella superficie, nello sguardo che porta in rilievo frammenti apparentemente superflui e incongrui ma pregni di significato. Il linguaggio è insieme visivo e costruttivo: caravaggesco. Attraverso la luce - quella viva delle fiamme, quella pallida e malata dei lampioni, quella sfolgorante delle stelle e delle comete - Moresco costruisce il suo mondo: inquadra in un istante un corpo, un oggetto, un movimento e, proprio come Caravaggio, dalla descrizione iperrealistica del particolare, approda a una verità sconcertante.
Al centro delle tre parti del libro ci sono tre luoghi inquietanti, misteriosi, che il protagonista non arriva mai ad afferrare per intero: la villa di Ducale, la sede del circolo abbandonata e la casa editrice. Luoghi di straniamento dove il lettore si perde con l'autore. La villa di Ducale è percorsa da creature sfuggenti: piccioni ubriachi, gatti in frammenti, topi volanti, deformati dalla mente febbrile del ragazzo. Nella sede si aggira l'ombra del vice, che sparge trappole e si nasconde nell'ombra. Nella casa editrice la segretaria con le sue ciabattine e la sua relazione con l'editore. Fughe di stanze, squarci di giardini, poltrone antropofaghe: il protagonista si perde nei meandri di questi luoghi nei quali è, eminentemente, solo. Sono posti dove la comunicazione sembra impedita, assorbita dalle pareti e dalla ghiaia dei viali più ancora che nel resto del testo.
L'urgenza della scrittura, che preme per aggiungere pagine alle pagine, è almeno pari alla necessità di trovare una lingua che parli non alla testa e nemmeno al cuore, ma direttamente alla pancia, alle frattaglie del lettore. Che sia un terremoto fisico, prima ancora che emotivo, ad accompagnare il protagonista nei suoi esordi, in questi tre inizi sempre nuovi ma connessi, intrecciati, necessari. E non a caso, ogni parte del romanzo si chiude con un sì, apparentemente incongruo o fuori tempo massimo, eppure un sì. Un'affermazione che è, prima di tutto, quella della scrittura, della possibilità di raccontare come mai è stato raccontato, di dire ciò che neanche è stato pensato, e di farlo con questo strumento imperfetto e potentissimo che è la lingua, capace di farsi piegare a un uso incendiario che deve nascondere dietro tanto, troppo coraggio.
C'è un personaggio, la Pesca, che è per me metafora di questo libro. Bambina e poi donna, ha due caratteristiche fondamentali: è strabica e la sua pelle mantiene traccia di ogni tocco. Ecco, come la Pesca, questo è un romanzo strabico, che mette a fuoco solo ciò che è fuori dal centro della narrazione. Ma è anche un libro che tiene traccia di ogni gesto e incontro: un livido, una ferita, un'ombra si posano sulla pagina che tutto raccoglie e che di tutto fa letteratura, anche di una chiazza di vomito gelata sull'asfalto.
Che sia una lettura sui generis é innegabile. Primo libro di una trilogia (seguono "canti del caos" e "gli increati") che l'autore ha impiegato 35 anni a scrivere. Senza alcun dubbio é impossibile esprimere un giudizio compiuto senza avere la visione d'insieme di tutta l'opera pertanto mi limiterò solo a qualche impressione che mi ha lasciato la lettura. La scrittura di Moresco si rivela molto ricca di immagini, ma senza manierismi. Potente, surreale al limite dell'allucinazione, non risponde tanto ad una logica narrativa o alla volontà di compiacere il lettore, quanto alla necessità di "partorire" il proprio big bang artistico, di far deflagrare la propria scrittura interiore. Per questo é inutile chiedersi perché succedano determinate cose.. Non é questa la chiave di lettura. Moresco é impegnativo, ma accattivante... Mi ha molto incuriosito, perché é sicuramente una personalità che spicca nel panorama letterario contemporaneo. Sono curiosa di leggere il seguito, cosa che mi propongo di fare non nell'immadiato, considerate le altre letture già programmate, ma di sicuro quanto prima.
...ContinuaLa lettura di Gli esordi mi ha fatto sentire, fin dalle prime pagine, perfettamente stupido.
Privo di coordinate, mi sono aggirato per le tre vite del narratore, dal pensiero magico di cui sono impregnati i tempi del seminario - con l'intermezzo del soggiorno in una villa che, con i suoi strambi abitanti, mi ha ricordato l'Isola descritta da Estévez in Tuo è il regno - alla surrealtà degli anni di militanza politica, per approdare infine alla divertita (e un filo autocelebrativa) trasposizione dei primi contatti con l'industria editoriale.
Il linguaggio di Moresco non è quasi mai difficile alla lettera, ma la ricchezza delle immagini di cui capricciosamente costella la narrazione - le due teste del priore, le api che nidificano nella testa del seminarista sordomuto, i calli, i piccioni, la zampa di gatto, la macchinina gialla e i suoi assurdi passeggeri, le stelle radenti (sic), i rosoni minerali disegnati dal vomito sulle strade di città (ancora sic) - mi hanno portato, senza posa, a chiedermi quale fosse il messaggio finale, che ostinato rimane sempre a pelo d'acqua, lasciandosi soltanto intuire, come le forme di un corpo sotto le coltri, o i contorni dei mobili in una stanza poco illuminata.
Un romanzo al buio, quindi, in cui forse un significato non c'è, se non l'arte di raccontare la propria storia in un modo fuori dagli schemi, e una certa, felice fatica del lettore nel perdersi e ritrovarsi, dell'accettare la presenza necessaria del non-detto, del non-codificabile.
Per non più essere un semplice, incantato spettatore, ma lasciarsi contagiare dalla voglia di divagare, fare congetture, talvolta arrendersi.
...ContinuaNon so proprio che giudizio formulare su queste 673 pagine di apparente e fosco nulla, quindi mi limiterò a poche righe.
Ci sono momenti in cui sembra che Moresco ti venga incontro, ma poi, qualche trovata, personaggio, situazione improbabile per non dire assurda, va troppo al di là della mia capacità di abbandonarmi all'onirico e al surreale, che ogni curiosità viene meno, l'interesse si affievolisce e ti senti allontanare da quel mondo da Eternauta.
Ben poco mi ha attratta di questa storia - composta da ben tre tomi, covata da Moresco per
decenni -, se non la scrittura alla quale rimane abilmente ancorata, calma, salda e limpida, nonostante l'ottundente torbidità.
"Io invece mi trovavo a mio agio in quel silenzio".
Incipit tra i più belli della nostra narrativa contemporanea: è quello del primo libro della trilogia di Moresco, Gli Esordi, che io leggo per ultimo.
Ritengo anch'io che l'opera di Moresco, forse la più importante della letteratura nazionale nel nuovo millennio, debba essere intesa nella sua complessità, e non solo perché alcuni dei personaggi sono presenti in tutti e tre i romanzi, ma proprio perché i motivi, i grandi temi racchiusi nella trilogia si ripetono e si illustrano vicendevolmente.
In definitiva, e prima di tutto, l'opera va quindi considerata come la più ambiziosa e importante tra quelle pubblicato nell'ultimo ventennio.
La premessa è doverosa.
Poi, se vogliamo entrare nel dettaglio, accennare alle tre parti di questo primo romanzo, e così alla vita da seminarista dell'io narrante, a quella "militare" trattata nella seconda e a quella dell'autore e del Gatto editore nell'ultima, dico che un'analisi di struttura non ha molto senso e non aiuta.
Ciò che rileva è quanto ci viene trasmesso da questa scrittura, unica.
Solo una serie di aggettivi può forse aiutare a mettere in luce il romanzo.
Visionario
Onirico
Agonistico
Voyeuristico
Disegnato
Visivo
Anatomico
Disgustoso
Violento
Ipnotico
Interrogativo (Celine?)
Diminutivo
Viscido
Esclamativo
Potente
Lirico
Epico
Comico
Totale