Iacopo, il Mella, il Paride, il Dimpe, il Malpa, Sandrone, eccoli qua... poliedrico gruppo di ragazzi di provincia con un unico e fondamentale interesse in comune: la droga.
Santoni ci cala nel loro mondo nichilista e votato alla ricerca di uno sballo continuo, variegato, prioritario. Lo fa anche abbastanza bene, in modo lucido e divertente, caratterizzando i personaggi con precisione... (solo che il rimando a Trainspotting è davvero troppo forte nella mia testa.)
Sballone sesso droga e rock and roll: “Ora, caro il mio… sballone… Tu mi devi spiegare il sesso dove l’hai visto, a meno che non calcoli anche le seghe. Del rock and roll, poi, mi pare che non ce ne sia mai fregato nulla. Su una cosa però hai ragione: ci si droga. E anche parecchio”.
Colonna sonora: Acida - Prozac+
https://www.youtube.com/watch?v=EzIz5T4YltM
"Non c’è più poesia,” fa, con la mente alle nottate passate nello stesso posto anni prima, e gli altri annuiscono.
“Non è vero,” pensa però il Malpa:
“Di poesia ora ce n’è anche di più,” riflette, “se hai ancora gli occhi per vederla. Ce n’è tanta, in questa fettina temporanea di caos: solo che noi non la sappiamo più trovare,” ma preferisce non condividere il pensiero coi compagni.
Questo libro non avrei voluto commentarlo: già dai primissimi capitoli ho capito che mai e poi avrei brillato per imparzialità nello stilare le mie impressioni. E infatti così è, anche se vorrei tentare di scriverne con un pizzico di spirito critico; elemento del quale, negli ultimi tempi, mi sto sbattendo abbastanza; talvolta, anche giustamente.
Ci tengo innanzitutto a dire che ritengo Vanni Santoni una delle menti più brillanti del panorama letterario contemporaneo. Non sto dicendo che sia in assoluto tra i migliori prosatori coevi, anche perché non avrei tutti gli strumenti per farlo; ma senz'altro è uno pieno di idee, perlopiù buone, originali. E quando non lo sono, esse si rivelano comunque genuine: cosa che non guasta mai.
Cosa aggiungere su "Gli interessi in comune"?
Penso siano già state spese parecchie parole su questo libro; parole sia entusiaste sia poco lusinghiere. Le mie non appartengono né alla prima né tanto meno alla seconda schiera: nell'intraprendere il mio viaggio alla ricerca dell'obiettività perduta, mi vien da dire che sia un buon romanzo. A momenti pure ottimo. Originale e allo stesso modo derivativo; ma nel modo giusto: nessuna scimmiottatura. E soprattutto - grazie a Iddio - nessun esercizio di stile da scuola di scrittura creativa: bensì frasi sincere, buttate lì da uno che sa scrivere e che ama scrivere per il gusto di raccontare.
Ecco. Quando uno però mi racconta il mio paese, Figline Valdarno, o insomma dedica tutte 'ste (quasi) trecento pagine al Valdarno, alla sua gioventù drogata e sciupata, che va a vivere a Firenze anche se in fondo poi la città è uguale alla provincia, che esce di casa in cerca di qualcosa da fare, al solito bar e con la solita gente, con "questi ragazzi" (porca maiala, quante volte l'avrò detto "stasera ci trova fori con questi ragazzi), boh... io manca poco mi metto a piangere.
Rido, e mi diverto a riconoscere qualche strada, qualche luogo, qualche paese del Valdarno o della Valdambra di mille abitanti ma da dove si può uscire strafatti peggio che a Detroit; qualche faccia, qualche personaggio. Anche perché, nonostante l'autore abbia una decina d'anni più di me, alla fine le cose son quelle e non è poi cambiato molto.
Non è cambiato molto da quando vedevo la stazione di Figline addobbata con gli adesivi di "Gli interessi in comune", per poi scoprire che si trattava d'un romanzo di un ragazzo di queste parti. Uno di noi, ma meglio di noi. Uno che insomma, bene o male ce l'ha fatta: Feltrinelli, mica noccioline.
E non è cambiato molto dai Novanta ai Duemila, malgrado qualche tecnologia di troppo a rovinare la poesia. Ho conosciuto lo stesso più di un Paride, un Torcia, un Malpa, un Sasso o un Mella; o magari ho visto e incontrato senz'alcuna consapevolezza proprio quelli di cui si narra qui dentro.
A parte qualche canna e poco altro non ho provato gli stupefacenti (ok, anche il caffè, certo; ok, anche le sigarette, giù; ah sì, c'è anche l'alcol, dimenticavo) che danno il titolo a ogni capitolo, un po' come gli elementi chimici nei racconti del "Sistema periodico" di Levi. Di gente che ci è rimasta sotto però l'ho conosciuta, e non nego magari, in tempi ormai passati, di aver corso il rischio; un rischio che ho rivissuto in queste pagine, dove la droga sembra esser cosa di tanti e l'amore cosa di pochi; dove l'amicizia è la coltivazione di un interesse comune che in fondo non è altro quello del tenersi compagnia quando si è tutti stonati dalla medesima droga; dove "la vita è sopravvalutata", come dice uno dei personaggi.
Insomma, Vanni qui è stato sincero. Ha fatto una cosa sua; l'ha fatta bene. Poteva fare il Burroughs de noaltri: non gli è passato manco per l'anticamera del cervello. "Gli interessi in comune" è un capolavoro? No. E' un bel libro? Sì. E' fondamentale? Non lo so e non m'importa una sega, detto con franchezza. Ne rileggerò un pezzettino di tanto in tanto per il gusto di farlo o per farmi du' risate? Avoglia.
Abbraccerò il Santoni per averlo scritto alla prossima presentazione in cui lo beccherò?
Lo potete berciare forte.
ho lavorato in un Sert e so di che si parla...
all'inizio il libro diverte anche (un po' meno se pensi che questi personaggi sono realistici nella loro lesionistica megalomania) ma alla lunga diventa ripetitivo e si dilunga inutilmente senza aggiungere nuovi elementi utili.
http://www.yattaran.com/recensioni/liniziazione-permanente: [...] Alla fine è la vita a raggiungere i protagonisti: se sia passata o no per i sentieri sui quali loro la avevano inseguita, è considerazione lasciata al lettore. Ciò che pare probabile è che da quei tentativi di afferrarla, che forse per un po’ l’hanno addirittura allontanata, essa trarrà i costumi di una nuova umanità. [...]
...Continua