Romanzo immenso, solenne ed avvolgente. Scrittura semplice ma immensamente suggestiva, descrizioni di sentimenti ed azioni tramite similitudini provenienti da ogni ambito di conoscenza ad incredibilmente vivide. Vastità del panorama sia dei personaggi, molto ben caratterizzati, che delle ambientazioni. Magistrali i commenti sulla "Storia" e sul ruolo dell'uomo nel suo decorso.
...ContinuaPazienza e tempo.. e poi arriva l’ora
Ho appena letto le pagine migliori di tutto il libro, ma le ha scritte un altro Leone (Ginzburg) costretto ad asteriscarsi a causa delle leggi razziali in vigore quando le assemblò per la prefazione alla traduzione italiana del 1928.
È fondamentale, in Guerra e pace, la differenza fra personaggi storici e personaggi umani. I personaggi umani – si tratti di Natàša, di Pierre, del principe Andréj o anche dei piú insignificanti – amano, soffrono, sbagliano, si ricredono, cioè, in una parola, vivono; mentre gli altri sono condannati a recitare una parte che non è scritta da loro, anche se tutti – tranne forse Kutúzov – s’immaginano d’improvvisarla.
Trovo questa distinzione esplicativa e riconciliante, trovo che sia l’epilogo che avrebbe dovuto scrivere il Leone più famoso invece di comporne uno da 28 capitoli zeppo di ripetizioni, quello che non ti aspetteresti alla fine di un viaggio in carrozza di 2000 verste da Frittole a San Pietroburgo passando per Mosca.
La domanda che mi sono fatto più volte e che credo si ponga chiunque valuti l’approccio a Guerra e Pace è: ne vale la pena? Duemila pagine, 4 tomi ciascuno diviso in 4 parti. I capitoli sono brevi, la lettura è semplice ma son pur sempre 2000 verste in carrozza, nel pantano, al gelo dell’inverno russo (quello del racconto), alternate a soste in residenze sfarzose dove si partecipa a ricevimenti sontuosi. È peggiore la noia dei pettegolezzi di corte o la crudeltà della guerra? Entrambe riguardano solo i nobili, per i poveri in questo romanzo c’è poco spazio, non vi aspettate di leggere Hugo o Steinbeck, gli ultimi qui sono manovalanza, carne da macello di cui si fa a malapena menzione. Nel lungo epilogo finale di cui Ginzburg è riuscito a tirare le fila mirabilmente, Tolstoj scrive:
E cosí, senza dividere artificialmente i punti del cono che formano un tutto unico, cioè i gradi dell’esercito o i ranghi e le posizioni di qualsiasi amministrazione o impresa comune, dai piú bassi ai piú alti, vediamo delinearsi una legge secondo la quale gli uomini per compiere azioni congiunte si pongono sempre fra loro in un rapporto tale che, quanto piú direttamente partecipano al compimento dell’azione, tanto meno possono dare ordini e tanto maggiore è il loro numero; e quanto minore è la loro partecipazione diretta all’azione stessa, tanto piú danno ordini e tanto minore è il loro numero; finché in tal modo, salendo dagli strati inferiori, arriviamo a quell’ultimo uomo che partecipa nel modo meno diretto all’avvenimento e piú di tutti orienta la propria attività a impartire ordini. Proprio questo rapporto fra le persone che danno e quelle che ricevono gli ordini costituisce l’essenza del concetto chiamato potere.
Questo è il romanzo di coloro che danno ordini, di coloro che vengono percepiti (a torto secondo Tolstoj) i fautori della Storia. La Storia secondo Lev è un connubio di necessità, casualità e libertà nella quale i grandi condottieri recitano una parte che non hanno scritto, una parte imposta dalle condizioni esterne. A parlar di condottieri non si può omettere la stima di Tolstoj nei confronti di Napoleone
Un uomo senza convinzioni, senza abitudini, senza tradizioni, senza un nome, neppure francese, grazie ai casi apparentemente piú strani si fa strada fra tutti i partiti che agitano la Francia e, senza aderire a nessuno di essi, raggiunge una posizione di rilievo. L’ignoranza dei compagni, la debolezza e nullità degli avversari, la sincerità nella menzogna e la brillante e presuntuosa limitatezza di quest’uomo lo portano al comando dell’esercito… (questo è solo l’inizio, nel riassumere il resto della sua vita sarà ancora più duro)
Contrapposta al rispetto per il vero eroe di questo romanzo: Michail Illarionovič Goleniščev-Kutuzov
Conquistare una fortezza non è difficile, difficile è vincere una campagna. E per questo non bisogna prendere d’assalto e attaccare, ma ci vogliono pazienza e tempo. Kamenskij ha mandato soldati a Rustschuk, io invece usavo solo quelli, pazienza e tempo, e ho conquistato piú fortezze di Kamenskij, e ho costretto i turchi a mangiare carne di cavallo –. Scosse la testa. – E anche i francesi lo faranno! Credi alla mia parola, – disse Kutuzov animandosi e battendosi il petto, – mangeranno carne di cavallo! –
Sballottato in carrozza guardavo fuori sperando inutilmente di esaltarmi e invece sono arrivato a destinazione senza affezionarmi a nessuno dei personaggi del libro. Ora tornerò a casa e certamente non lo farò in carrozza.
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La recensione finisce qui, quelle di seguito sono considerazioni accessorie
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Nel 2013 ero pronto a partire per Pietroburgo, avevo individuato anche l'edizione da leggere, ma infine rinunciai. Credo che più di qualsiasi cosa, sulla volontà di leggere il libro, abbiano influito queste parole trafugate da un'intervista
La sua bestia nera è proprio Irving Shaw.
Del collega, che ha scritto un libro che ha per scenario la seconda guerra mondiale, dice:
“E’ uno che non ha mai sentito un colpo d’arma da fuoco, né ha mai sparato. Eppure si crede migliore di Tolstoj, che invece era un vero ufficiale di artiglieria, uno che aveva combattuto a Sebastopoli, speciale in qualsiasi cosa facesse: bravo a letto, gran bevitore, ma anche capace di chiudersi una stanza a pensare”.
Di se stesso, abituato com’era ai riferimenti pugilistici, Hemingway diceva:
“Per quanto mi riguarda, ho iniziato piano piano ed ho superato Turgenev, ho lavorato duro e ho superato anche Mr. de Maupassant. Per ben due volte ho affrontato Stendhal, e l’ultima volta forse l’ho battuto ai punti. Ma non entrerei mai nel ring contro Tolstoj, sarebbe una follia”.
Sono partito il 23 agosto e sono arrivato il 20 settembre, novello Balaga
Balaga rischiava la vita e la pelle… gli piacevano quei due, gli piacevano quelle corse folli a diciotto verste all’ora, gli piaceva far ribaltare una vettura di piazza e schiacciare un passante in giro per la città, e volare di gran carriera per le vie di Mosca. Gli piaceva sentire dietro di sé quel grido selvaggio di voci ubriache: «Vai! Vai!», quando era già impossibile correre piú veloci di cosí…
Niente di più distante da me dello spirito di Balaga, non mi piace assolutamente guidare, tanto meno farlo a rotta di collo, eppure in 28 giorni mi son ritrovato a Pietroburgo. Ho alternato audiolibro ed e-book; mi rimarrà impresso l'episodio della caccia al lupo ascoltato passeggiando in battigia, completamente dimentico del mare e degli altri bagnanti. Mi rimarrà impresso la mia personale caccia alla similitudine migliore, risoltasi in favore di
La nostra felicità è come l’acqua nella rete: la butti si riempie la tiri su ed è vuota
Nella mia esperienza di lettore c’è un AM e un DM, dove M sta per Miserabili. Dopo di essi ho ridimensionato tutti i classici che avevo letto prima e non ho trovato niente di altrettanto potente in seguito. Warren Peace esce anch’esso sconfitto dal confronto, pur essendo un'opera mastodontica, pur essendo un contributo storico rilevante. Nelle 1400 pagine de “I miserabili" non ne mancano di pesanti, la differenza però la fanno quelle di genio che qui sono assenti. Niente genio, niente thriller, rare sorprese, solo l'ostinazione può consentirvi di portare avanti la lettura di Guerra e Pace. Il trattato di filosofia della storia dopo 1900 pagine è una crudeltà nei confronti del lettore e devo ringraziare Leone Ginzburg per avermene spiegato il senso. È stato come se un relatore avesse inserito l’argomento che più gli stava a cuore in calce a tre ore di conferenza capaci di sfinire anche il più tenace dei suoi sostenitori. Se scrivi un epilogo del genere ad un romanzo di 2000 pagine, hai escogitato il modo per farti stare a sentire ma difficilmente qualcuno giudicherà memorabili le tue ultime parole.
Da qualche parte ho scritto che sono 3 i romanzi che una volta terminati mi hanno fatto pensare “e ora..?” Arrivato in fondo a Guerra e Pace ho pensato “era l'ora!”
Tolstoj è davvero un grande narratore. Spesso ho avuto la sensazione di “vedere” le scene descritte. Riesce a farti entrare dentro la storia, a farti vivere la storia insieme ai personaggi. Alla fine le 1500 non pesano affatto. Tuttavia a volte è un po’ prolisso nelle sue dissertazioni filosofiche sulla guerra.
Ho trovato un po’ superflua la parte finale e non ne ho capito granché il senso... descriverci le giornate della grande famiglia allargata dopo 7 anni non ha fatto altro che rendermi ancor di più insopportabile Natasa.
A dire il vero tutto l’universo femminile in questo romanzo è proprio mal rappresentato. Civette, amebe, arriviste, orsoline... non se ne salva una.
audiolibro (letto molto bene) del lockdown e oltre, come altri libri immensi lascia un vuoto da compensare pian piano.
Ancor più che in Anna Karenina, tuttavia traspaiono dagli "spiegoni" (che raggiungono livelli inacettabili nell'epilogo) i limiti di Tolstoj come narratore.
Se Guerra e Pace è la risposta russa a I Miserabili, direi che la sconfitta del primo è su tutta la linea (con buona pace di Kutuzov).
Non capisco un voto inferiore alle cinque stelle piene. E non sono un lettore di bocca buona, o pronubo agli incensi accademici.
Ho mal digerito la lettura della “Montagna incantata” (allora il titolo era tradotto così). Il “Doctor Faustus” l'ho interrotto a metà, ponendo una pietra sul mio rapporto con Mann. Parlo di lui perché durante la scoperta di questa epopea, per non so quale associazione mentale, ho preso in mano il decesso lagunare del medesimo ripromettendogli una seconda chance.
Provo imbarazzo ad affrontare le pagine di questa opera infinita. Mi sento come un intruso, un fantasma del futuro che si introduce nelle vicende descritte, che sfiora i suoi grandi protagonisti come i piccoli e miserrimi con un sentimento di partecipazione da ladro di sentimenti e idee.
Se c'è una cosa che deploro in letteratura è l'enorme spreco di parole. Non mi capacito di quegli autori, molti contemporanei, sulle cui pagine queste sbucano strisciano e infestano come lumache dopo un'acquazzone. Ho provato a mettere i libri di King, di Follett, di Jordan, di mille altri che ho desistito a scoprire, sul davanzale al sole, per vedere se si stringevano, se mille pagine diventavano 500 o 300, come sarebbe più giusto.
Ma se proprio devo trovare una giustificazione alle 5 stelle e mezzo che dedico a Tolstoj, sta proprio nella caratteristica di autentico fiume in piena che travolge il lettore ogni qualvolta si accinge ad attraversare il suo capolavoro. Non c'è prolissità, né stanchezza o noia che possa non dico affliggere ma neppure scalfire la compattezza statuaria del racconto. Certi scorci possiedono un'autonomia che travalica il concetto stesso di romanzo. A parte alcune digressioni dedicate ad Andrej Bolkonski (la prima caduta in battaglia ad Austerlitz), a Pierre Bezuchov (il duello con Dolochov), a Nikolaj Rostov (il soldato ferito durante l'avvio della campagna di Russia), strutturate nel percorso storico, altre si aprono con una forza tanto struggente quanto persuasiva (la battuta di caccia nella tenuta limitrofa dello zio meno abbiente, incarnazione dello spirito russo più puro e spontaneo, vicino alla terra e agli uomini e non sprofondato negli ozi e agi delle capitali, ché la Russia zarista due ne aveva, due !) da far invidia eterna a generazioni di scrittori.
Lavoro in edilizia come artigiano e il tempo per leggere è bilanciato sulla stanchezza di certe giornate spossanti, sui black-out del tempo mai sufficiente. A volte leggo solo quando vado al cesso, e a volte vado al cesso giusto per ritagliarmi un piccolo spaziotempo di lettura. Adesso adesso divido “Guerra e pace” con la stesura di un racconto lontano da quello come la Terra lo è dal Big Bang, che se capitasse sotto l'attenzione di Tolstoj redivivo probabilmente mi prenderebbe di mira con un fucile per impedirmi di proseguirlo. E covo un odio atavico per tutto ciò che si dilunga inutilmente. Ma non è questo il caso.
Credetemi se affermo che mai ho avuto un'esperienza di leggerezza e rapidità di lettura come quella che “Guerra e pace” offre ai lettori di tutto il mondo da un secolo e mezzo.
P.s.: reale edizione di riferimento, quella dei tipi Mursia in cofanetto, serie tutta tela rossa.
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