Fra i grandi di un "mondo di ieri", primo della trilogia. Al pari di Musil e altri viennesi-germanici.
Parlare di questo romanzo non è facile. Avevo infatti pensato di non farlo ma, avendolo letto con un gdl, cercherò di riordinare le idee.
Diviso in tre parti, I sonnambuli è, secondo la concezione che Broch ha della letteratura (in particolare della poesia) un percorso di conoscenza. Scritto tra le due guerre, rappresenta il disorientamento dell’individuo di fronte a una società che non riconosce e in cui non si riconosce più.
Sono tre le reazioni e tre le fasi di questo processo, incarnate dai tre protagonisti del romanzo: von Pasenow, Esch e Hugenau.
Nel primo e nel secondo libro, pur con una differenza, i sonnambuli sono coloro che si adattano a vivere in quella zona d’ombra tra un passato che non esiste più e un futuro ancora in embrione, ricorrendo a convenzioni, residui inconsistenti del passato.
Von Pasenow, figlio di un proprietario terriero, ha lasciato la famiglia e la vita della campagna per entrare nell’esercito. In città, a Berlino, vive uno sfaldamento tra le sue tradizioni e un ambiente in cui quelle stesse tradizioni sono diventate un guscio vuoto a cui egli continua ad aggrapparsi per attenuare la propria insicurezza. La tonaca è stata sostituita dall’uniforme che, indossata, diventa per lui come come una seconda pelle che, oltre a dargli un’identità precisa e separata, gli consente anche di guardare le cose dall’esterno, con un confortante distacco. Si sente sradicato e allo stesso tempo attirato dal nuovo che intravede.
Esch, pignolo e preciso contabile, vive proiettato verso un futuro che ancora non è, rifiutando per questo il passato. Il ricordo è per lui un’agonia. Il viaggio ha un senso, perché con esso ci lasciamo tutto alle spalle e guardiamo in avanti. La visione di Esch si basa sulla necessità di mettere ordine nel caos del mondo.
“Chi è sul mare non ha meta e non può giungere a compimento; è chiuso in sé. Quel che in lui è possibile, riposa. Chi lo ama, può amarlo solo per quel che promette [...] Per questo l’uomo della terra ferma ignora che cosa sia l’amore e prende per amore la propria angoscia. Ma il navigante subito lo impara, e i fili che lo univano a quelli della riva si strappano ancora prima che la costa declini.”
In questa parte il saggismo si sovrappone spesso alla narrazione. C’è un continuo cambio di registro, con incursioni nella sfera religiosa e una visione del presente che si discosta da quella del primo libro. Qui si percorre un’altra tappa del cammino che dovrebbe portare l’uomo a capire e prepararlo a una rinascita dopo la necessaria distruzione”.
In questa parte il saggismo si sovrappone spesso alla narrazione. C’è un continuo cambio di registro, con incursioni nella sfera religiosa e una visione del presente che si discosta da quella del primo libro. Per Broch la scrittura - soprattutto la poesia ma anche il romanzo - è un processo di conoscenza. Qui si percorre un’altra tappa del percorso che dovrebbe portare l’uomo a capire e prepararlo a una rinascita dopo la necessaria distruzione.
Discorso diverso e molto più complesso andrebbe fatto per la terza parte del libro, in cui la fase finale del sonnambulismo è descritta in forme diverse, dalla ballata, al saggio, al racconto in prima persona. Si frammenta la narrazione e si frammentano le storie. Ritroviamo Pasenow ed Esch, insieme allo sgradevole protagonista del terzo volume, Hugenau, affarista, disertore e omicida, uomo totalmente libero da qualsiasi valore, concentrato esclusivamente sul proprio interesse. E ancora, troviamo altri personaggi, che potremmo definire comprimari, ognuno dei quali ha in sé una forma diversa di sonnambulismo. C’è il soldato dal corpo devastato dalle ferite, inspiegabilmente vivo, distaccato dal mondo e chiuso in un’anima che a fatica si è ricostruita intorno alle membra distrutte; c’è un soldato che trova nell’alcol lo stordimento necessario per difendersi dagli orrori vissuti in guerra; c’è Hanna, una donna col marito al fronte, il cui io appare “strozzato” in rapporto a una realtà incerta.
Siamo al culmine del sonnambulismo, al momento in cui la società è polverizzata nell’individualismo e il tema di sottofondo è l’estrema solitudine.
Broch sostiene la necessità della distruzione perché dalle ceneri nasca una società nuova.
Questo, a grandi linee, il senso de I sonnambuli.
Le considerazioni da fare sarebbero ancora tante, dall’evoluzione delle figure femminili nelle tre parti, alla visione religiosa, alla convinzione che solo il Medioevo sia stato un tempo perfetto, perché la concezione della vita era teocentrica; e ancora la rappresentazione dell’amore; le idee sull’arte; il valore del tempo; la natura, protagonista di pagine splendide.
Ma non è questo il luogo.
Broch, attraverso il protagonista Esch, rende perfettamente - nel secondo capitolo de 'I sonnambuli' - quel senso, tipico per quell'epoca, di spaesamento, irresolutezza, indecisione fra luoghi, mestieri, pensieri e donne.
L'ho trovato meno interessante e incisivo del primo, più caotico e frastornato, come è naturale che sia visto il titolo, però sempre supportato dalla sua ottima scrittura: vedremo il terzo, il più voluminoso e forse impegnativo dei tre, per avere un'impressione generale finale.
Ormai entrata nel tunnel del finis Austriae/Prussiae, questo Broch, un pelo sotto Canetti, due sotto Zweig, tre sotto Kraus (per J. Roth ci vuole un'altra unità di misura), e appena un vago sentore di Proust, anche se è solo la prima parte del corpus di tre, mi ha convinta perché mi ha regalato di nuovo quella scrittura, quell'atmosfera e una risposta romantica alla disgregazione di un mondo.
...ContinuaLetto due volte a distanza di tempo. I sonnambuli per le implicazioni, per le intuizioni e l'idea complessiva è un capolavoro. Per le considerazioni che riescono a scaturire dalla lettura del testo, penso a Kundera, che si riferisce spesso a questo romanzo quando vuole inquadrare la forma romanzo in tutta la sua complessità, può valere il giudizio iniziale di capolavoro. Tuttavia I sonnambuli a mio avviso ha qualcosa di non felice nella scrittura, forse Broch era un più un talento originale nel delineare una trama complessa che avesse un fondamento filosofico e sociologico, insomma un filosofo sui generis, ma non era davvero versato - come il suo contemporaneo Musil, ad esempio - nello sviluppare i personaggi in maniera memorabile tale da renderli immortali. (Questo è il mio modesto pensiero).
...Continua