Il primo romanzo di Carlo Menzinger, scritto tra il 1995 e il 1997 ma pubblicato solo nel 2001 (e poi successivamente rivisto per l’edizione del 2007, quella che ho letto io), presenta subito una particolarità: è scritto quasi tutto in seconda persona. Anche Italo Calvino aveva usato questa insolita persona verbale in una sua opera, Se una notte d’inverno un viaggiatore, ma nel caso di Menzinger il “tu” non è rivolto al lettore ma allo stesso illustre protagonista: Cristoforo Colombo. L’identità di questa misteriosa voce monologante è svelata solo nel finale, anche se da vari indizi il lettore può già fare delle ipotesi. La svelerò anch’io, alla fine di questo articolo, quindi chi non la vuole spoilerata salti pure l’ultima parte.
Intere biblioteche sono state scritte sul navigatore genovese e sulla sua vita; il ritratto che ne traccia Menzinger è molto dettagliato e originale e la sua ipotesi controfattuale è spiazzante e apre scenari con implicazioni di enorme portata. Cosa sarebbe accaduto se Colombo avesse seguito una rotta più meridionale rispetto a quella che l’ha portato, nel 1492 reale, a Guanahani/San Salvador, e fosse giunto quindi in contatto con la popolazione dei mexica, ossia gli aztechi, e col loro impero ancora intatto?
Prima di giungere a questo fatidico incontro, l’autore ci presenta la vita di Colombo fin dalla nascita. Figlio di un modesto cardatore genovese, fin da piccolo è attratto dal mare. Comprende presto qual è il suo destino: tracciare una nuova rotta per Cipango (così era chiamato allora il lontanissimo Giappone) e il leggendario Catai descritto da Marco Polo. Le sue, bisogna riconoscerlo, non sono intenzioni umanitarie: lasciando la Spagna con le tre caravelle che tutti conosciamo, l’ammiraglio Colombo sogna di far ritorno con un carico di oro, dopo aver sottomesso le popolazioni incontrate e aver fornito alla Chiesa Cattolica molte altre anime da convertire (con la forza, se necessario) e nuove terre per il re spagnolo. Ci sono altre motivazioni che la storia ufficiale non ci dice: Menzinger lascia intendere infatti origini ebraiche per il nostro eroe, origini che lo porteranno a sperare di trovare le leggendarie dieci tribù disperse d’Israele. In questo è sostenuto dagli amici ebrei, proprio in quell’anno espulsi dalla Spagna insieme ai mussulmani e ai moriscos. Colombo pare non essere altro che una marionetta nelle mani dei personaggi potenti che agiscono nell’ombra e sembrano saperne più di lui su quelle terre misteriose che troppo tardi scoprirà non essere l’Asia: tra questi Pietro Martire, il soldato-prete, amico di Cristoforo, che avrà un ruolo decisivo nel persuadere re Ferdinando ad acconsentire alle richieste (non certo modeste) del navigatore genovese.
La storia che conosciamo si intreccia a misteriose trame dei Cavalieri di Cristo, eredi dei Templari, e all’esoterismo. La vera divergenza però compare dopo quasi un centinaio di pagine. Nel mezzo del viaggio, mentre le caravelle procedono spedite nell’Atlantico, un segnale non còlto indica la Divergenza. Da quel momento nulla sarà più come ci raccontano i libri di scuola. Siamo entrati in un universo ucronico. Se nella nostra realtà l’incontro con gli aztechi è avvenuto quasi tre decenni dopo il primo viaggio di Colombo, durante il regno dell’indeciso e superstizioso Montezuma, nell’allostoria creata da Menzinger è lo stesso Colombo a imbattersi nella progredita ma crudele civiltà amerindia. E non c’è Montezuma sul trono ma suo zio Ahuìtzotl, o Mostro d’Acqua, ben più pericoloso e meno religioso del nipote. Le decisioni errate che Colombo prenderà da questo punto in poi avranno una portata enorme: comprende troppo tardi di essere un prigioniero mascherato da «gradito ospite» e che la richiesta del sovrano azteco, attratto a sua volta da sete di conquista per quelle terre oltre il mondo conosciuto – quelle strane terre popolate da barbari che adorano un solo debole dio che pende da una croce (le religioni monoteiste, nei romanzi di Menzinger, sono spesso viste da un punto di vista altro, con un forte senso di straneamento nel lettore), che non amano lavarsi ma che dispongono di armi avanzate e «case alate» (le caravelle) con cui “volano” attraverso l’oceano – di giungere in “visita di cortesia” in Spagna nasconde ben altri fini. Acconsente obtorto collo a mostrare ai mexica come si costruire una «casa alata», non sospettando che in realtà Ahuìtzotl ha in mente qualcosa di più ambizioso di un paio di navi su cui imbarcare la propria scorta. Viene infatti costruita una notevole flotta di caravelle azteche che parte alla volta dell’ignara Europa.
Colombo, compreso il pericolo, cerca di convincere lo sgradito ospite a far vela per l’Asia, promettendo ben altri bottini, ma un traditore a bordo della nave convince il sovrano a mantenere la rotta ad est. Allora, come ultima risorsa, Colombo pur di non mettere in pericolo il mondo cattolico devia la flotta verso le coste africane dove abbiamo un altro scontro di civiltà inedito per la storia reale: quello tra il mondo mussulmano e quello pagano azteco.
Colombo riesce a liberarsi e fuggire nel deserto, dove incontra una popolazione berbera amichevole presso cui troverà perfino l’amore di una principessa. Le grandi vicende storiche si mescolano a quelle private del protagonista: Menzinger ha tracciato un ritratto complesso della sfera sentimentale di Colombo, dall’amore per Felipa, la prima moglie da cui ha avuto due figli, a quello per Beatrice e infine a quello per Tin, la concubina africana con cui deve spartirsi il cuore di Colombo, il quale non si lega veramente a nessuna delle tre donne della sua vita in quanto il suo unico vero amore è il mare. Uomo passionale ma amante infedele e padre assente, Cristoforo vive una vita di contraddizioni, guidata da Ananké, la Necessità, e incontrerà il suo destino nel deserto, anziché in mare come sperava (ma cos’è il deserto se non un mare di sabbia, con le dune come onde e le carovane come navi?), sotto forma di una freccia scagliata da un anonimo soldato azteco. Solo in punto di morte comprenderà la grandezza di ciò che ha fatto, il crocevia della storia che ha rappresentato la sua esistenza:
«Solo in questo momento, mentre le tue ossa si preparano a diventare sabbia del deserto, acquisisci finalmente la consapevolezza. Afferri finalmente il significato della vita, della tua vita. Troppo tardi. Troppo tardi ma certo un attimo prima di tanti, di tanti che questa consapevolezza non l’ebbero e non l’avranno mai. Eppure, forse, occorre ringraziare quelli che come te immolano la propria vita per un sogno. È grazie a uomini che come te hanno una visione del mondo, personale fin quasi alla follia, che, talora, l’umanità progredisce o, più spesso, semplicemente muta il suo corso. Sei stato solo una pedina, una marionetta senza vita, un pupazzo che non ha saputo vivere la sua breve vita ma hai messo assieme due civiltà, due Mondi.»1
L’ultimissimo capitolo, successivo alla morte di Colombo, ci apre orizzonti ucronici desolanti. Nel XXI secolo alternativo, creato da questa divergenza storica, vedremmo un’Europa bagnata dal sangue dei sacrifici umani al Dio Sole, dopo la più grande crociata difensiva intrapresa dai popoli monoteisti – cristiani, ebrei e mussulmani insieme – purtroppo fallita (e detto da un ateo anticlericale come me fa un certo effetto…). Si prefigura quindi un futuro distopico, qui solo accennato, che ricorda un po’ un’altra serie di romanzi ucronici-distopici di Menzinger, quella dedicata a Sparta2. I particolari ci vengono risparmiati ma ce li possiamo immaginare: tutto sommato non rimpiango di trovarmi in questo ramo della storia piuttosto che nell’altro alternativo.
Nelle ultime pagine, come dicevo, viene svelata l’identità della voce narrante. Si tratta della Morte. Non la Morte con la falce e il volto d’ossa: si tratta della Morte personale del protagonista, col suo stesso volto, che lo ha seguito per tutta la sua vita ed è stata a sua volta intravista in alcuni momenti. Una figura che ama filosofeggiare ma che in fondo non pare molto sapiente («Vorresti sapere di Dio? Ma io ne so quanto te. Ancora non l’hai capito? Tu che hai navigato silenti abissi marini ed hai attraversato il desolato vuoto del deserto senza incontrare Dio, vorresti incontrarlo proprio ora?»3) e che può promettere solo una «eternità deserta e vuota d’abissi insondabili».
A questa inquietante figura se ne contrappone una seconda, originale e più difficile da individuare. È quella che parla attraverso le numerose filastrocche un po’ infantili disseminate lungo il romanzo; attraverso giochi di parole ed associazioni mentali divertenti. Si tratta della personificazione della Nascita, il giusto contraltare a quella della Morte.
È lo stesso autore a raccontarci la genesi del suo romanzo ucronico, nelle ultime pagine del suo libro, la Nota alla seconda edizione. Scopriamo così che la scelta della storia di Cristoforo Colombo è dovuta alla sua grande notorietà che permette così al lettore di comprendere il punto esatto in cui la storia ha deviato il suo corso (la bibliografia in fondo al volume è molto ampia, Menzinger dimostra d’altronde di conoscere bene l’argomento). Nella sua prima versione il romanzo era nella classica terza persona; concordo sul fatto che il passaggio alla seconda abbia giovato molto, creando un’interessante triplice simbologia («Colombo si presenta come un personaggio diviso in tre: Nascita, Vita e Morte, che sono quasi le sue tre diverse anime, tre facce dello stesso uomo. La Morte e la Nascita, ciascuna a modo suo, ci parlano della Vita. E la Vita, se vogliamo, è parte Veglia, parte Sogno»4). Il tema del Sogno ha non a caso un posto importante in questo romanzo, e direi un po’ in tutta la narrativa di Menzinger5: il sogno può essere una visione entusiasmante del mondo ma può essere anche un incubo da cui è difficile svegliarsi.
L’ipotesi ucronica ha permesso all’autore di «disegnare un nuovo Cristoforo Colombo. Un uomo che deve affrontare assai maggiori traversie, anzi un uomo sconfitto e che, proprio in quanto tale, riesce a trovare il tempo per riflettere su se stesso. Un uomo che il destino ogni volta affossa ma che sempre trova la forza per riemergere e ricominciare, per perseguire il suo progetto»6. Una figura quindi estremamente ambigua, come quella reale d’altronde: un uomo che, nella nostra linea temporale, ha aperto la strada ai massacri disumani degli indios e che, nella realtà controfattuale, la strada al massacro l’hanno aperta i non meno crudeli abitatori d’oltre oceano. Si tratta in entrambi i casi una civiltà che ne cancella un’altra, come a ricordarci che in qualsiasi bivio che possa prendere la storia questa è sempre la stessa nella sostanza, ossia una tragica vicenda di sangue. Forse ha ragione Leibniz affermando che viviamo nel migliore dei mondi possibili, forse non è così, ma a noi non resta che sperare nel futuro che – come ho ripetuto in varie occasioni – io ottimisticamente immagino molto migliore rispetto al passato e al nostro presente. L’umanità, un giorno magari lontano, romperà questo circolo vizioso di guerra e sofferenza e si incamminerà finalmente verso un paradiso in terra. O sarà così o sarà l’estinzione sicura, senza ucronia che tenga.
Firenze, 27-28 febbraio 2018
Note
1. C. MENZINGER DI PREUSSENTHAL, Il Colombo divergente, Genova, Liberodiscrivere, 2007, p. 258.
2. C. MENZINGER DI PREUSSENTHAL, Il sogno del ragno, Firenze, Porto Seguro, 2017.
3. C. MENZINGER DI PREUSSENTHAL, Il Colombo divergente, p. 263.
4. op cit., p. 269.
5. Si veda per l’appunto anche il romanzo La bambina dei sogni, che sto leggendo in questo periodo, e Il sogno del ragno, primo volume della trilogia Via da Sparta.
6. C. MENZINGER DI PREUSSENTHAL, op. cit, p. 268.
Bibliografia
C. MENZINGER DI PREUSSENTHAL, Il Colombo divergente, Genova, Liberodiscrivere, 2007.
Questa lettura per me è andati avanti in lentezza, con troppa lentezza. La prima parte del libro è frutto di una salda cultura storica e la vicenda di Colombo è rivisitata inquadrando le ragioni della sua impresa alla luce sia della formazione dell'uomo come navigatore e come esploratore, sia seguendo i desiderata e gli interessi di coloro che a vario titolo la finanziarono.L'erudizione non impedisce che vi siano momenti di leggerezza accompagnati da una prosa cristallina in cui si succedono le voci dei vari personaggi . Bellissimo il monologo della madre in attesa del figlio. Tutto sommato però questa prima parte è pesantuccia. Ho preferito la seconda parte del romanzo in cui prende l'avvento l'ucronia, poiché il nostro eroe viene catapultato nell'universo 'divergente' e incontra la popolazione atzeca , Anche qui però i miti che vi si descrivono sono molto lontani dal mio immaginario. Finalmente quando Colombo viene descritto sulla via del ritorno, ho trovato maggiore sintonia con il racconto che si evolve in ritmi più lenti e intimisti, con riflessioni toccanti sull'importanza degli affetti, sul come il sentimento della sconfitta può tramutarsi in un'occasione di forte cambiamento nell'uomo e di avvicinamento al proprio io superiore. Ho anche molto apprezzato la scelta della voce narrante che si rivolge al protagonista con l'uso della seconda persona singolare, facendo scorrere sotto gli occhi del lettore una serie di fotogrammi che inquadrano vicende e personaggio. In realtà le voci narranti sono almeno due e la più bella è quella che parla in versi , recitando quasi filastrocche che cullano l'uomo e lo avvicinano al suo destino finale.Non aggiungo altro già ho spoilerato abbastanza!
...ContinuaLetto il quarto romanzo di questo autore che produce opere piene di fantasia. Questo era il suo romanzo di apertura e lo si nota, anche se dimostra una grande capacità di scrittura. L'inizio ingrana poco ma poi migliora, anche se ci sono battute a vuoto che interrompono il ritmo narrativo. Quello che secondo me nuoce un po' alla storia sono le riflessioni a livello filosofico, che appesantiscono la lettura.
In sintesi una rivisitazione della storia di Cristoforo Colombo in chiave 'se invece di ..., fosse approdato a ...'.
Ho faticato non poco a leggere questo libro. Ma non per la storia in sé, che risulta anche godibile, anche se non rientra nei miei generi preferiti.
Il colombo divergente fa parte del genere ucronico, o meglio allostorico, una particolare sottospecie del romanzo storico, in cui si immagina che un determinato evento storico non sia accaduto come ci narrano gli storici, ma in modo completamente diverso, fuori gli schemi.
Il libro di Carlo Menzinger pone all’attenzione una figura chiave del percorso evolutivo, e storico, e geopolitico del nostro pianeta, la figura di Cristoforo Colombo che come tutti sanno – o almeno si spera – nel 1492 scoprì l’America attraverso i passaggi commerciali Orientali, e che convenzionalmente nella datazione storica segna la fine dell’età antica e l’inizio del Medioevo.
Ma fin qui sarebbe tutto normale, e nulla si discosterebbe dalla storia ordinaria, ma l’autore non pone di certo questo scenario davanti gli occhi del lettore, ma un altro – forse possibile? Rivoluzionario? -, in cui Colombo avrebbe sempre intrapreso questo epocale viaggio, ma non passando per l’Oriente, ma scontrandosi con l’Oceano, andando incontro al buio, alla precarietà, all’incertezza, di un viaggio che già per essere organizzato e finanziato ebbe non poche grane da dover affrontare.
Lo sbarco anche si discosta dalla storia ordinaria, si arriva non nel paese che Colombo intimamente immaginava, ma in luogo totalmente diverso, abitato da un popolo meno docile, come gli aztechi, che di questo viaggio di scoperta ed esplorazione per conto della corona spagnola faranno un disastro senza precedenti, - pensate se fosse veramente successo?-.
I punti di vista si mescolano nel libro, così come la prosa e la poesia, e questi elementi aggiungono difficoltà al lettore – per chi come me al principio non è amante del genere ucronico –, ma nonostante tutto apprezza questa evasione, questo livello immaginifico, questo porre sé e ma, davanti a qualunque evento storico, che qui è circoscritto a Colombo, ma che potrebbe benissimo essere rivolto a qualsiasi scoperta/evento storico.
P.s. il carattere del testo è veramente troppo piccolo, consiglio all’autore di aumentarlo.
...ContinuaDivertente questo romanzo ucronico in cui l'autore si serve di Colombo, non solo per fargli intraprendere la sua famosa spedizione con esito e conseguenze divergenti, ma lo usa anche per un'altro tipo di viaggio. Un viaggio introspettivo e solitario che diventa una riflessione sull'essere umano, sulle sue paure, le sue illusioni, i suoi sogni e le sue speranze.
La nota alla seconda edizione, io l'avrei vista meglio come prefazione, mi avrebbe aiutata a comprendere prima l'intento dello scrittore nell'uso del corsivo e nella scelta della seconda persona narrante.