Per me questo libro, quando lo lessi anni fa, fu illuminante. La filosofia del dono, che mette il blogger al centro di un processo virtuoso di condivisione del proprio sapere e delle proprie esperienze fu alla base della mia successiva ricerca e opera nel mondo del blogging di archeologia. Un volumetto tanto breve quanto denso.
...ContinuaUn testo che offre sicuramente spunti di riflessione sulle relazioni tra gli individui, con un confronto tra quelle tradizionali e quelle virtuali. Il tutto tramite un'analisi sociologica e antropologica del concetto di dono. Però, c'è solo un accenno ai legami deboli, concetto che non è stato approfondito e trattandosi di un libro sulle relazioni forse un minimo di riferimento alla social network analysis sarebbe stato opportuno. In ogni caso è una lettura interessante per comprendere anche come e quanto sia cambiato il concetto di comunità e il nostro senso di appartenenza. Sempre interessante, a tal proposito, il punto di vista di Bauman.
...ContinuaInteressante ricordare, così come fatto dagli autori, la definizione di cultura data da Tylor nel 1871. La sintesi e la chiarezza della definizione stessa le restituiscono il suo primato anche a fronte delle accuse, di fatto decadute, di staticità e rigidità. La cultura è un misto di credenze e conoscenze, costume e arte, morale e legge (e molto altro ancora), tra quanto assimilato dall’individuo calato in una società. Condivisione e scambio, di conseguenza, come solida base di una cultura. L’antropologa americana Benedict fornirà poi, nella seconda metà del secolo successivo, una definizione più sintetica e parimenti efficace. Il tessuto sociale, di cui molto si parla oggi, è costituito da cultura e relazioni: rappresenta la capacità umana di aggregazione.
Il dono come preludio alla relazione: questo, tuttavia, nasconderebbe un’accezione economico-utilitaristica, velatamente ambigua, la quale assegna a un moto circolare le dinamiche del dono, dando per scontato che quest’ultimo si manifesti necessariamente come desiderio di reciprocità nel tempo.
Può essere compreso, il dono, attraverso l’accettazione delle sue forme più svariate. L’utilitarismo, avendo preso il sopravvento in Occidente, c’impedirebbe una visione dinamica dei vari significati del dono. Una “reciprocità generalizzata” (dove non si tenga rigoroso rendiconto del valore dei doni), tra i tre tipi identificati di reciprocità, si avvicinerebbe maggiormente all’idea di dono. Il dono inteso come redistribuzione resta vincolato a un apparato impositivo, centralizzato e di controllo. Nel sistema capitalistico in essere si sono invertiti i termini: il rapporto sociale era posto, infatti, sin quasi all’oggi, alla base del rapporto economico. Ora è l’economia, nelle sue dinamiche interne, a regolare il rapporto interpersonale. L’associazionismo, forse, è l’entità sociale che resiste maggiormente nel tempo (e,tuttavia, avanzerei qualche riserva) alle derive di tipo utilitaristico.
Si manifesta, nell’uomo, un bisogno di approvazione da parte della società nel quale è calato: questo bisogno si persegue anche tramite la condivisione. A partire dalla distinzione, proposta da Goffman negli anni Sessanta, tra “palcoscenico” (l’io sociale) e “retroscena” (se stessi), la condivisione si dedurrebbe essere viziata dall’anonimato consentito dalla rete e dal forte grado d’individualismo che permea dal tipo di comunicazione. Esistono, in ogni caso, al riguardo, posizioni meno “tranchant” della precedente. Si parla di forme innovative di socialità ma, pure, di “cyberbalcanizzazione”, e cioè di disgregazione d’istituzioni preesistenti a favore di un molto dubbio impegno civico individuale.
Siamo alla presenza di comunità immaginate dove, tuttavia, esiste uno scambio reciproco in nome di una qualche forma di appartenenza.
Il libro prosegue analizzando quel che significhi potersi avvalere di software e di hardware del tipo “open source” e di licenze “Creative Commons”, per contrastare la ferrea legge del copyright e del profitto purchessia.
Una nuova forma di utopia: i movimenti degli anni ’60-’70 proposero modelli relazionali alternativi a quelli diffusi nel sistema sociale, mentre ora si parla (soltanto) di lavoro collettivo contro lo strapotere dei “Signori del Software”. Resta il dubbio che gli odierni, valorosi contestatori, regalino ad altri i loro prodotti intellettuali con il recondito, poco etico fine di mettersi in mostra ed essere, così, integrati nelle fila dei contestati. D’altro canto, è ormai noto il fatto che il capitalismo non abbia grandi difficoltà nell’arruolare, o depotenziare, i suoi più validi avversari.
Sulla questione “social networks”, beh, manco a dirlo, tutto è in veloce divenire. La scelta relazionale è ampia. Simulazione, dissimulazione, anonimato. Personalmente ritengo non sia poi così sostanzialmente diversa da quella praticata nella realtà: una vita vissuta nella conscia o inconscia realtà di un palcoscenico attoriale, non credo abbia nulla da insegnare, sempre in termini etici, alle fumose personalità che s’incontrano in rete. Un’altra personale considerazione sugli scambi relazionali on line è che la qualità degli stessi dipenda dai singoli, e non già dalla rete. In una relativamente recente ricerca internazionale sull’uso dei telefoni cellulari, era emerso che gli italiani, di gran lunga più di altri, li utilizzassero per falsificare scenari o per nascondersi, anziché “solamente” per comunicare con maggiore facilità.
In questo libro non poteva mancare l’edulcorante aforisma del personaggio universalmente stimato a priori: ecco, dunque, Einstein tirato in ballo per suggerirci che l’intelligenza è prima di tutto immaginazione, e soltanto in un secondo tempo conoscenza.
Pure non poteva mancare il rimando alla “Gemeinschaft” (propria del passato) e alla “Gesellschaft” (propria dell’era industriale), secondo l’accezione proposta da Tönnies a fine-Ottocento. Una sorta di rimpianto per quell’ordine sociale stabile che fu (…), da contrapporre all’impersonalità delle relazioni successiva.
Mi ritrovo d’accordo con gli autori sulla progressiva frammentazione culturale, in atto da tempo, che io credo riflettersi negativamente sulla cosiddetta coesione sociale. Secondo una mia interpretazione di Bauman, il moderno flusso d’informazioni si arrotola, deformandosi in reciprocità con il differente modo di muoversi dei corpi fisici. Ineludibile, in effetti, il fatto che, nella “società liquida”, si cerchino legami stabili, da una parte, e legami privi di vincoli, dall’altra: primo cortocircuito. Il secondo cortocircuito si concretizza nella considerazione che sono anche i gesti e i movimenti del corpo a comporre l’insieme-linguaggio.
Certi termini propri dei “social”, come “tribù” o “comunità”, in ogni caso, sembrano più il mellifluo risultato di un’operazione d’immagine, piuttosto che realmente ispirati ai modelli del passato. Certe idee economicistiche tengono in buon conto (forse eccessivamente e arbitrariamente) l’ipotesi che continui a prevalere un senso di nostalgia diffuso per il passato. Di fatto, ciò che manca è la condivisione dell’esperienza. Il rischio attuale più grande è quello di perdere, dopo tutto il resto (in ambito micro- e macro-relazionale), anche un’immagine reale di se stessi.
Le sciocchezze che si trovano in rete dovrebbero, per gli autori, funzionare da stimolo, nei fruitori, per ampliare le ricerche e non fermarsi alla prima “verità”: per quanto autorevole questa possa apparire.
"Una delle caratteristiche della Rete è quella di dare vita a comunità immaginate, che non sempre necessitano di relazioni tra gli individui."
Un breve saggio sull'atto del donare, e la sua valenza al giorno d'oggi. Interessante analisi delle dinamiche sociali, sempre più influenzate dalla dimensione internettiana dei rapporti interpersonali.
...ContinuaUno dei concetti più studiati da antropologi e sociologi, quello del dono, dovrebbe essere il concetto cardine del volumetto in questione.
Questo breve saggio si compone di tre capitoli.
Il primo prende in esame le diverse teorie e riflessioni sul dono. Ci stordisce con il riferimento continuo a citazioni di nomi importanti quali Derrida, Durkheim, Levinas, e soprattutto Mauss (il primo paragrafo si intitola “Da Mauss al mouse”) e via così …noiosamente.
Lo ritengo blandamente utile per chi come me si interessa di sociologia senza una formazione universitaria.
Il secondo capitolo si presenta come una aggregazione confusa di dati su social network, file sharing, blog, con l’aggiunta di una microstoria e microanalisi sul fenomeno Wikipedia. Il parere su questo capitolo è assolutamente negativo. E’ questa la sezione che denuncia una maggiore superficialità e mancanza di approfondimento. Tutte le informazioni possono essere rintracciate in rete in maniera, spesso, molto meno dispersiva. Ritengo che da un saggio ci si attenda un valore aggiunto che giustifichi, quanto meno, la pubblicazione.
Infine il terzo capitolo vorrebbe “tirare le somme”. Io, che pure sono una lettrice molto paziente, ho faticato ad arrivare alla fine senza avvertire il peso di un discorso scontato.
Dal momento che uno dei due autori ha affermato proprio qui su anobii, che la casa editrice ha praticamente imposto dei tagli al materiale presentato, in modo da poter inserire il testo in questa collana, che si contraddistingue anche per la brevità, viene spontaneo domandare se non sarebbe stato preferibile pubblicare con una casa editrice diversa rispetto al gigante Einaudi, evitando i tagli e dando alle stampe un saggio dalla corporatura meno esile e claudicante.
...Continua