Se associamo Herbert unicamente a Dune, questo libro potrebbe stupirci molto. Al di là dello scenario apocalittico provocato da una nuova e terribile malattia, il morbo bianco, la storia narra la progressiva e terribile discesa nella pazzia di un uomo, fino alla distruzione della società umana e di se stesso. Una pazzia nata dal desiderio di vendetta, che porta lo scienziato John O'Neil a progettare un virus capace di sterminare ogni donna sulla terra. L'idea è geniale, ma Herbert non gioca più di tanto sugli scenari a effetto quanto sullo scavo psicologico dei personaggi, sulla loro possibile o impossibile redenzione, sulla tragedia di una finale e atroce consapevolezza. Una Terra dove ci sono diecimila uomini per ogni donna sopravvissuta distrugge in pochi mesi ogni parvenza di vivere civile, rivelando la natura primordiale e animalesca dell'essere umano. Speculazione rigorosamente scientifica, problematiche politico/sociali e indagine nell'anima dell'uomo accompagnano questo cupo racconto di morte, fino a una seconda alba, nella quale tutto sembra mutato ma in realtà non lo è: la corsa al potere e il desiderio di violenza sono gli stessi di prima e la donna non acquista nulla dal "valore" conseguito. Non si dimostra migliore dell'uomo, accettando con compiacimento il ruolo di mero animale da accoppiamento e riproduzione. Come era al principio e come sempre sarà, sembra volerci dire Herbert.
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