Terza possibilità per questa autrice, e forse comincio ad ingranare con lei.
Per la prima volta, non mi dispiace la protagonista e, anche se ammantata di una moralità che la stessa autrice non crede possibile nel mondo reale, ha i suoi difetti, che la rendono umana e più simpatica.
Il finale del romanzo è stato coerente con l'intera vicenda e non mi è dispiaciuto, per quanto triste.
La versione audio era molto lenta, più della narrazione stessa, e ho dovuto velocizzare l'audio ma, a parte questo, è stata apprezzabile.
”Ma sa il cielo dove un tale sforzo potrebbe condurci, se i nostri affetti no avessero dei viticci che li attorcigliano a quelle cose un po’ deteriori, se gli amori ed i puri sentimenti della vita nostra non gettassero delle fondi radici nella memoria. La nostra gioia per una siepe di sambuco che sovrasta il confuso fogliame di un poggio d’alberi fruttiferi ci rallegra più che la vista del più bel citiso o della più bella fucsia fiorenti sulle dolci inflessioni di un prato(…). E non c’è miglior ragione di preferire quella siepe di sambuco, se non ch’essa sommuove un antico ricordo; essa non è, nella mia vita una cosa nuova che parli solo alla mia presente sensibilità della forma e del colore, bensì una diuturna compagna della mia esistenza che si mescolò con le mie gioie, al tempo che ancora le mie gioie eran vivide.” da Il Mulino sulla Floss
Ci si potrebbe risparmiare il ghiribizzo di sostituire il sambuco al “biancospino rosa”, ed ugualmente riuscirebbe di traudire le assonanze stilistiche, di misurare la sovrapposizione dei feticci, di rilevare il devoto inchino d’umile discepolanza con cui monsieur Proust profondamente omaggia Mr. Eliot/Mrs. Evans; e di comprendere come il francese, in privato carteggio, sia arrivato a scrivere:
“E’ curioso che in tutti i generi più differenti, da George Eliot ad Hardy, da Stevenson a Emerson non c’è una letteratura che abbia su di me un potere comparabile alla letteratura inglese ed americana. La Germania, l’Italia, spesso la Francia mi lasciano indifferente. Ma due pagine de ‘Il Mulino sulla Floss’ mi fanno piangere.”
Entrambi condividono la medesima visione dell’infanzia come stagione mitica, tempo fuggito di incomparabile levità, che si palesa in tutta la sua inconscia grazia solamente una volta varcate le “porte d’oro”, che l’umbratile retrospettiva eleva a ideale di felicità, cui conferisce l’amara dolcezza dell’irripetibilità e suscita conati di malinconia. Non è dato altro paradiso se non un paradiso perduto.
”Erano partiti insieme per la loro nuova vita di dolore, e mai più avrebbero veduto la luce del sole, senza un ricordo di pena che l’offuscasse. Erano entrati nell’aspro deserto, e le porte d’oro della loro infanzia erano per sempre chiuse dietro le loro spalle.”
Mentre in Alla ricerca del tempo perduto questa tragica presa di coscienza è assimilata all’autore/narratore maturo già al principio dell’opera (assimilazione andata di pari passo con la crescita), ne Il mulino sulla Floss, fedelmente romanzesco, il mondo di Maggie e Tom Tulliver rovina di colpo ad opera dell’imprudenza paterna, che si risolve nella perdita delle proprie cose (vendute all’asta), della casa poi, del prestigio sociale, della dignità, delle aspettative in un futuro ormai precario, del riposo spensierato.
L’ingresso nell’età adulta è dolorosamente drammatico, ed il passato ne guadagna in splendore. Ma non si tratta, come superficialmente si potrebbe pensare, di un vuoto attaccamento alle comodità, bensì di una sorta di materialità mistica comune alle due opere: gli oggetti, dai più banali come il servizio da tè, i libri prediletti, una scansia, uno specchio, finanche all’impiantito, alle travi del soffitto e ai verdi dintorni fuori dall’uscio, sono parimenti traslucidi, fatti della medesima materia porosa, che, per naturale processo chimico, assorbono gli umori di chi ne è proprietario, si colorano delle sue emozioni, e in guisa di testimoni di vite vissute si cristallizzano in simboli di felicità, in diffusori di divine riviviscenze. E la perdita di tali reliquie postume talvolta, sia pure per spontanea associazione, coincide con la perdita della felicità stessa; li lascia luttuosamente svuotati e imbambolati, quasi quelle cose e quelle mura partecipino delle loro identità.
Quando il presente ci tradisce e il futuro ci minaccia, il passato si fa caro rifugio; e gli si tributa un culto che è insieme gioia e tormento.
Anche dal punto di vista formale si ravvisano somiglinze: oltre che nel complesso periodare, la Eliot amalgama sapientemente finzione romanzesca e saggistica. Dunque dalle pagine della Eliot Proust ha trovato spunto e diletto, la presenza in nuce (ché ogni cosa di similare si accosti alla morbosa larghezza verbale proustiana può uscirne solamente ridimensionata)dei suoi stessi nuclei tematici, persino della puntigliosa gelosia amorosa, come soprattutto questo passaggio mi ha suggerito:
”Philip sentì che avrebbe dovuto essere completamente contento di quella risposta, limpida e cristallina come sorgente di roccia. Perché dunque non lo era? Nulla basta a soddisfare la gelosia, se non una completa onniscienza capace di scoprire le più sottili pieghe del cuore.”
Se la prima buona metà del romanzo può giustificare la passione ispirata da Proust, mi ha colto impreparato l’inequivocabile affinità ritrovata con un altro gigante letterario: Tolstoj e la sua Anna Karenina (anche se già leggendo Middlemarch avevo intuito l’entità dei debiti di Tolstoj verso l’autrice).
”Per un momento, Stephen non potè nascondere il proprio stupore alla vista dell’alta ninfa dagli occhi scuri, con quella corona di capelli neri come l’ebano; poi Maggie sentì, per la prima volta nella sua vita, di stare ricevendo il tributo di un profondo rossore e di una profonda riverenza da parte d’una persona, per cui ella stessa capiva di provare della timidezza. (…). Quando si sedette, c’era nei suoi occhi una nuova luce, e sulle sue guance un rossore che le stava assai bene.”
La Maggie Tulliver adulta rimanda nel carattere, nell’indipendenza, nella passionalità, nel contrasto con la società, persino nell’aspetto irresistibile, il cui fascino s’accentra soprattutto negli espressivi occhi scuri, ad Anna Karenina. Come lei si ritrova drammaticamente presa fra diversi poli che con uguale forza minacciano di smembrarla, in bilico com’è fra l’imperio dei suoi impulsi e la morsa del suo senso del dovere; un senso del dovere non del tutto messo a fuoco, fatto di altruismo, di generosità istintiva, di estrema sensibilità verso gli altrui sentimenti, il tutto poi oscuramente venato di scrupoli non scevri di religiosità, ma che dalla religiosità prescindono per rifarsi ad un ideale morale universale più alto. Tutto ciò però riguarda il dramma personale di Maggie, non di Anna, ché quest’ultima, più spregiudicata, soverchia ben presto tali scrupoli per ingaggiare battaglia ben più violenta contro la società. Nonostante la condotta di Maggie, pur non essendo irreprensibile, sia decisamente più comprensibile, c’è da dire che la Eliot si comporta verso la sua eroina, rispetto a Tolstoj, addirittura con maggior sadismo. Ad un certo punto della storia Maggie si ritrova incastrata in un vero e proprio rovo in cui, al minimo movimento, non può far a meno di ferirsi (e per il lettore è particolarmente snervante). È come assistere ad un elefante che cautamente cerchi di danzare in una cristalleria.
Per tornare ai debiti di Tolstoj: negli incontri fra Maggie e Stephen Guest, nell’istantanea attrazione, nella fatuità e languidezza di lui (bellimbusto antesignano del conte Vronskij), nel corteggiamento coreografato, nelle schermaglie degli sguardi spiati dal geloso e sensibile Philip Wakem (ruolo nel testo russo recitato da Kitty), nella supplica amorosa e devota di lui, nella muta incisività di gesti oltre le parole, in cui tutto pare decidersi in un silenzio stracarico di sottintesi (persino la scena di un ballo in cui tutto precipita!), nell’attenzione alle evoluzioni e implicazioni psicologiche, c’è l’intrico, lo stile, il punto croce, quel quid che sorregge e sospinge garbatamente la narrazione di Anna Karenina.
Persino nell’espediente narrativo di inserire in via subliminale, all’ingresso della protagonista, un chiaro presagio o anticipazione sulla sorte finale che l’attende.
È incredibile constatare quanto dei giganti quali Tolstoj e Proust debbano a questa straordinaria autrice inglese (non fra i primissimi nomi citati quando si parla di letteratura vittoriana), che, a buon ragione, può definirsi loro Maestra. Grandezza che i suoi ben più famosi e apprezzati discepoli non possono in alcun modo sminuire, ma solo condividere.
...ContinuaIl mulino sulla Floss è un romanzo di George Eliot, autrice che ormai oggi conosciamo con il suo vero nome, Mary Anne Evans. Per me è il secondo approccio con l'autrice di cui ho già letto Middlemarch, romanzo che mi ha stregata completamente. Posso però ammettere senza remore che Il mulino sulla Floss ha ampiamente superato le mie aspettative, tanto che l'ho trovato addirittura migliore di quello che viene comunemente riconosciuto come il capolavoro della Evans.
Il mulino sulla Floss ha per protagonisti i fratelli Tulliver, Tom e Maggie. I due fratelli vivono insieme al padre e alla madre nel mulino di Dorlcote, sulle sponde del fiume Floss. La storia inizia quando i due fratelli sono solo bambini e prosegue poi per oltre 10 anni fino ad arrivare alla loro età adulta. Tutto ha inizio con i problemi di debiti del Signor Tulliver che, dopo aver perso una causa, si trova indebitato fino a perdere tutto quello che possiede. Per i ragazzi questo sarà solo l'inizio di un periodo di dolore e sciagure che sembrerà non avere mai fine.
Ormai adulti Tom e Maggie si trovano all'opposto per vedute del mondo e modo di pensare; la contrapposizione tra la rigidità di Tom e il desiderio di abbandonarsi ad un sentimento finora sconosciuto di Maggie, fanno da fil rouge a buona parte del romanzo. La storia dei due fratelli si svolgerà sullo sfondo di tanti altri avvenimenti e sotto gli occhi di innumerevoli personaggi che abitano il villaggio sul fiume, un luogo di estrema bellezza ma che in poco tempo può diventare quanto mai crudele.
Ho avuto modo di apprezzare lo stile della Evans già in Middlemarch, lo trovo estremamente ricercato ed elegante ma senza essere noioso. Le descrizioni sono sicuramente una parte importante del romanzo e sono anche un modo in cui la terza persona del narratore di tanto in tanto si immette nella storia e ci ricorda che è lui a tenere le fila del racconto. Le descrizioni dei luoghi sono talmente vivide che sembra quasi di vedere quei luoghi con i propri occhi.
La storia si svolge nell'arco di circa 10 anni, quindi abbiamo la possibilità di vedere l'evoluzione dei personaggi che da bambini diventano adulti. I personaggi sono molti, oltre a Maggie e Tom ci sono tutta la loro famiglia, composta da tanti zii e zie che si immischiano continuamente nella loro vita, oltre a tutti gli abitanti del villaggio. Nonostante la quantità di personaggi, la storia non confonde mai, anzi la ricchezza delle voci e dei caratteri presenti nel racconto non fa altro che arricchirlo e renderlo speciale.
La storia raccontata è molto drammatica, molto triste; non aspettatevi un lieto fine o una storia in cui l'eroina di turno viene salvata da un destino che la distrugge. Non c'è niente di tutto questo, il racconto è amaro, duro e sfora spesso nella tragedia. I personaggi della storia non possono nulla contro gli eventi funesti che uno dietro l'altro si abbattono su di loro. Nè possono fare qualcosa per assecondare il loro bisogno di amore e di stima, bisogno che però non si sposa mai con la vita che sono costretti a condurre.
Maggie è l'emblema di tutto ciò, è una giovane donna bella, intelligente e dalla sensibilità acuta. Nonostante ciò sbaglia, si pente e non riesce a riservarsi quel pizzico di felicità che potrebbe salvarla ma che pensa di non meritare. Il suo bisogno di amore, l'amore che alla fine trova nel modo più inaspettato e nel momento più sbagliato possibile, la portano sull'orlo di un baratro. In Maggie la ragione, rappresentata spesso dal fratello Tom, e il sentimento sono costantemente in lotta tra di loro.
Questo romanzo, oltre ad essere una meravigliosa cronaca della vita di un piccolo villaggio sulle sponde di un fiume, potrebbe anche essere definito come l'educazione sentimentale di una giovane donna che vorrebbe seguire il suo cuore, ma che non può farlo. Il romanzo mi ha trascinata completamente nella storia, mi sono ritrovata a macinare pagine dopo pagine presa dal bisogno di sapere che cosa sarebbe successo ai personaggi. La prosa è meravigliosa, il racconto emoziona e tiene il lettore sempre in bilico. Il finale è qualcosa che non mi aspettavo e non vi nascondo che la lettura di questo libro mi ha provocato una certa sofferenza, un groppo allo stomaco che non andava via. Vi consiglio assolutamente la lettura di questo romanzo che considero davvero imperdibile. Come ho detto a chi ha avuto la pazienza di ascoltarmi parlarne, è meravigliosamente devastante.
Traduzione antidiluviana, con parole mai lette prima d'ora, ma che tutto sommato non direi comprometta sostanza e drammaticità del romanzo e della sua sfortunata, bloccata protagonista. Da segnalare tra gli altri personaggi almeno quello, umoristico, della zia perennemente contrariante e richiamante all'umiltà e al rispetto, da collegare direttamente con figure simili austeniane.
...ContinuaI protagonisti di questa storia vivono in un posto in cui l'irruenza dell'acqua, il rimbombo di un mulino, infondono il tutto in uno stato di sognante stordimento che sembra acquisire una certa quiete al paesaggio. Come un ampio scenario sonoro, Il mulino sulla Floss mi ha colta del tutto impreparata celando al suo interno un mondo di cui non ne conoscevo nemmeno l'esistenza.
Le mie intenzioni riguardo le sorti di questo romanzo erano avvolte in una nebbia di dubbi e perplessità, e l'ennesima sfida indetta su Facebook mi aveva "costretta" a prendere consapevolezza che Il mulino sulla Floss fosse attinente alle tracce scelte mentre io mi preparavo una lista infinita di letture che sapevo non avrei potuto completare.
Avessi fatto marcia indietro avrei provocato una grande delusione. Perché se io mi trovavo qui, con la curiosità e tanta speranza di trovare qualcosa che potesse soddisfarmi del tutto, appena arrivata capii che lì il problema ero io. Io ero stata l'enorme dispiacere per l'autrice: una lettrice onnivora insicura e poco appagante ( certamente mi avrebbero presentato così alla celeberrima George Elliot ), giunta in una città di campagna nei primi anni del XIX secolo. Dovevo intuirlo che questo sarebbe stato un temibile e irrecuperabile pregiudizio. I libri sono per me il rifugio preferito nella vita, specie quando il sole non scalda con i suoi raggi luminosi; qui mi abbandono a tutti i miei malumori e ogni tanto mi sorprendo a dialogare con personaggi fatti solo di carta e inchiostro. Qui conservo sempre una piccola parte di me i cui libri contribuiscono a darmi l'impressione che ci sia un mondo a parte. Un mondo staccato dalla vita quotidiana che si svolge all'esterno.
La storia raccontata in Il mulino sulla Floss ha equivalso la medesima cosa, ed è stata piuttosto semplice. Spesso mi faccio condizionare dall'istinto, ma anche a questo sono preparata e la soluzione arrivò presto a bordo di una nave che aveva appena dispiegato le sue vele. Il suo è stato un viaggio che mi ha lasciato addosso una strisciante malinconia. Il propagarsi di tanta insoddisfazione, con tutte le conseguenze implicite, coincidenze miracolose, avvenimenti e persone che ritornano e poi svaniscono, è stato talmente contagioso che gli oggetti inanimati sembravano dotati di una qualche magia. Poiché non esiste alcuna magia o differenza fra ciò che è e ciò che potrebbe essere, e chi legge si sente legato ai protagonisti. Soprattutto per la viziosa Maggie, priva di colore, amante dei libri e della buona letteratura, sofferente per tutto e per tutti, dalla natura contorta e opprimente per emozioni gettate sul suo cuore da qualche crudele legge della natura: qualcosa che forse non arriverà mai.
Solenne e superstiziosa fantasia architettonica, caso fantasmagorico dell'amore forte, indomito e incondizionato di due fratelli, Il mulino sulla Floss è stata una delle migliori letture inglesi di questo 2018 in cui la protagonista principale dell'intero romanzo è la natura come Paradiso mancato.
Realtà e fantasia si sfiorano anche mentre il sole illumina le sue figure contro il verde delle siepi e le facciate delle case, paesaggi nettamente realistici in quanto ciò che è narrato è narrato attraverso gli elementi della produzione elliotiana. Il cui mondo che la circonda è zeppo di meschinità, ipocrisia, cattiveria, che rivelano l'intento dell'autrice di esaminare, con profondità e un certo distacco, un tema piuttosto importante nella produzione dell'autrice: il senso della vita.
Ritratto umano terribilmente realistico e coinvolgente di protagonisti intrappolati nel lungo limbo delle convenzioni sociali, che incorrono esclusivamente l'ideale dell'uomo intrappolato nella mentalità del secolo, incapace di vedere la netta differenza fra verità locale e verità universale, quella della Elliot è una complicata emozione che custodisce gelosamente due fratelli nella sfera insondabile dell'amore. Unico moto perpetuo dell'universo, unica ragione accidentalmente intrufolabile, creata apposta per impedire ai due fratelli di non consolidare la loro separazione. Unica dimensione in cui è semplicissimo riconoscersi, assistendo alla crescita di qualcosa di bellissimo, tattile e profondo, devastati nell'anima e nel corpo. Creature piene di poesia, tradizioni tradotte nella realtà, i cui cuori ardenti lottano contro una sola povera coscienza, inteneriti e un po' folli che vegliano sulle sorti dell'uno e dell'altro.
Una storia che è stata raccontata con la consapevolezza di recare sofferenza, capace di logorare dall'interno lo spirito di chiunque. Suscita un empatia naturale, risvegliando zone assopite nel fondo della coscienza, e che ci parla di due fratelli e del loro affacciarsi sul mondo.
Il mulino sulla Floss è un dramma sentimentale, realistico e profondo che mi ha resa prigioniera delle stesse colpe, degli stessi peccati di Maggie. Un opera raffinata, delicata come un tulipano, che non lo fa sembrare un romanzo, piuttosto una proiezione in cui si provano più sofferenze che gioie. Sciorina continuamente descrizioni dettagliate, e cattura l'attenzione per il toccante e sano sentimento di fratellanza che si respira fra le sue pagine e in cui diviene sempre più forte l'esigenza dell'autrice di esplorare la zona dei sentimenti e la natura circostante.
Una storia che, in una notte di fine luglio dall'aria torrida ma pulita, è emersa dal passato come un'immagine definita nell'immediato. Con una voce apprezzabile, matura, profonda, e i contorni simili a quelli degli antichi poemi cristiani.
E' cosa tanto profondamente radicata in questa nostra vita, che gli uomini debbono soffrire a vicenda per i loro peccati, e tanto inevitabilmente diffusiva è la sofferenza umana, che persino la giustizia miete le proprie vittime, e non è concepibile un castigo che non si propaghi oltre il suo affetto con pulsazioni di dolore immeritato.
...Continua