Non ci gira tanto intorno Barnes; i suoi dubbi colpiscono al centro del problema. Un libro con diversi aneddoti, puntualizzazioni e descrizioni al limite dell'esilarante, piace perchè raffigura la maggior parte di noi alle prese con una ricetta presa da un libro e con tutto ciò che ruota intorno ad essa. Espone diversi consigli utili, frutto dell'esperienza, con un'occhio critico ma giusto, e anche benevolo, all'operato degli autori di tante opere di cucina.
...ContinuaJulian Barnes è uno scrittore che ho amato subito e senza riserve per quel libro che rimane uno dei miei preferiti (“Il senso di una fine”). Penso che leggerò altro di lui, intanto mi sono dedicato a questa divagazione di cucina, dove il mio amato scrittore si mette ai fornelli. E mentre cucina, comincia a riflettere sulla cucina e sulle sue implicazioni. In questo libretto, riproposto nell’esimia collana del Corriere facendone risalire le sorti iniziate un po’ al ribasso, sono riportati alcuni articoli che nel corso del tempo Barnes ha pubblicato sulla “Guardian Review”, l’inserto colto del Guardian. Qui esce fuori il lato ironico di Barnes, che affronta la cucina con il suo rapporto ironico con la vita, gli ingredienti, la spesa, tanto, appunto, che da pedante qual è nello svolgersi dei giorni, intitola i suoi elzeviri, per l’appunto, “Il pedante in cucina”. Ho amato l’idea di questo libro, anche se il libro in sé, non sempre è stato all’altezza delle mie aspettative. Spesso troppo infarcito di citazioni di libri e situazioni anglosassoni che non sono riuscite a penetrare la barriera dei miei interessi. Barriera invece subito bucata dalle domande fondamentali che si fa il pedante, e che mi sono spesso fatto anch’io leggendo i libri di cucina. Quant’è grande “una cipolla media”? Quant’è “uno schizzo di limone”? E “una presa di sale”? Quanta uvetta occorre per fare “qualcheduna uvetta di Corinto”? Questo perché Barnes (ed io con lui) non avendo un terreno fertile di cucina alle spalle non può fare a meno dei libri di cucina. E spulciandone le ricette, alla fine, riesce a convivere con lo scritto, soprattutto “interpretandolo”. Perché all’inizio, invece (come io continuo a fare tuttora), Barnes rileva come un manuale di cucina dovrebbe essere preciso e pratico. Come sostiene fortemente: “Perché un libro di cucina dovrebbe essere meno preciso di un manuale di chirurgia?”. Non è tramabile un tale libro, se non dandone un senso, una direzione. Per questo vi suggerisco alcuni punti salienti su come scegliere un libro di cucina, elenco che ci dà il polso della scrittura di Barnes. Ecco allora che ci consiglia di non comprare mai un libro per le sue immagini. Né tanto meno uno con le impaginazioni furbette (che ci dovrebbero consentire di fare infiniti pranzi di tre portate). Bisogna evitare libri troppo ampi (“I grandi piatti del mondo”) o troppo ristretti (“Il pesce del Mar dei Sargassi”). Non ci si deve azzardare a comprare un libro sui succhi di frutta se non si possiede una centrifuga. Bisogna infine resistere al fascino delle antologie di ricette regionali (come anche per i viaggi all’estero): i piatti migliori della Bolivia sono cucinati in Bolivia. E conclude, ed io con lui, che il miglior libro di ricette è il proprio quadernetto di ricette personali, dove si sono appuntate le nozioni verso i piatti che abbiamo appreso. E dove, anche se lo conosciamo a memoria, grati ritorniamo per aver il conforto delle nostre scelte. Infatti, non bisogna comunque vergognarsi di seguire lo scritto, per poi interpretarlo. Barnes se la prende a morte con coloro che sostengono di non seguire mai le ricette. ribattendo fulminante: “come se cucinare seguendo un libro fosse come fare l’amore con un manuale di sesso aperto sul comodino”. Riprendendo un commento che mi è molto piaciuto proprio sul ricettario personale, Barnes consiglia di incollare le ricette trovate in giro solo dopo averle provate un paio di volte, certi della buona riuscita del piatto. In tal modo il quaderno di ritagli terrà traccia, anno dopo anno, dello strano percorso della vostra cucina. E infine, proprio come un album di fotografie, vi farà rivivere alcuni momenti passati: davvero preparavo questo piatto? E questa torta di verdure? Sarete sorpresi da quanta storia emotiva e psicologica potrete immagazzinare incollando innocentemente un ritaglio di giornale con qualche macchia d’unto. Con quel pizzico di autobiografia che non manca, e con quel tanto di gratitudine verso la sua compagna (che battezza “Colei per la Quale”) è uno scritto non imperdibile, ma gradevole, e castigante per un cuoco mancato come me (cioè che avrei voluto sempre saper cucinare, senza trovare quel guizzo interiore per farlo). Per fortuna che c’è al mondo chi lo fa. E bene (vero Ale?). Un solo appunto: a pagina 92 si parla (negandola) della doppia frittura delle patatine. Ebbene io l’ho visto fare (e le ho mangiate) in Belgio.
“Gli scrittori di libri da cucina non sono diversi da tutti gli altri scrittori: molti di loro hanno dentro di sé un solo libro (e alcuni, tanto per cominciare, non avrebbero nemmeno dovuto farlo uscire).” (32)
“Ogni libro è, nelle sue intenzioni più intime, una lettera aperta agli amici di colui che scrive.” (68)
premessa: sono campionessa mondiale di pasta al burro, pertanto joan roca me spiccia casa. mi sono quindi avvicinata al pedant in the kitchen come faccio solitamente coi pedant: occhi al cielo e sbuffo facile. e invece il pedant mi ha conquistato, a cominciare dalla dedica (to she for whom): perché barnes è un pedant che sa ridere di sé e sa prendersi molto in giro, e perché cucinava per amore e con amore.
ciò non toglie che il risotto preparato da un inglese (nel modo tradizionale o secondo il new easy method, non importa, is the same) non lo mangerei manco ammazzata.
adesso che so che qualun'altro si aspetta che un libro di cucina sia come un trattato di chimica, mi sento meno sola
Che gioia poter leggere questo libro e capire che non sono la sola ad essere una pedante in cucina!
Che consolazione sapere che c'è qualcun altro che, come me, si angoscia in preda allo smarrimento di fronte alle ricette ad occhio, quelle in cui si parla di manciate, pizzichi, forni caldi, q.b. et similia senza specificare grammi, temperature, tempi.
Com'è stato confortante rendermi conto che non sono sola ma faccio parte di un gruppo, di dementi o incapaci, forse, di inesperti senz'altro, che come me hanno bisogno di esser presi per mano e portati con precisione ed esattezza, passo dopo passo, dall'inizio di una ricetta fino alla fine.
Senza dar niente per scontato.
Senza presumere previe conoscenze.
Senza aspettarsi che il lettore colmi i vuoti lasciati dall'autore e deduca gli eventuali passaggi mancanti.
Senza dimenticare che chi legge un libro di ricette non necessariamente sa cucinare.
Julian Barnes lancia le sue appassionate, sarcastiche e divertenti invettive contro quegli autori responsabili di simili orrendi crimini e intona invece dichiarazioni appassionate di devozione e gratitudine a quanti realmente mettano i loro lettori in condizione di poter riprodurre, con soddisfazione, le loro ricette, dando così prova, in primo luogo, di generosità - oltre che di onestà intellettuale.
Il mio preferito tra i tanti autori citati?
Sicuramente Edouard de Pomiane, che nel 1948 pubblicò un famoso libro intitolato La cuisine en dix minutes ou L'Adaptation au rythme moderne nel quale, tra le altre ricette, proponeva quella per il boeuf à la ficelle (fatto cioè bollire in acqua sospeso tramite un pezzo di spago).
Cito direttamente Barnes, che cita a sua volta Pomiane:
"Togliete la carne dalla pentola ed eliminate lo spago. La carne sarà grigia all'esterno e con un aspetto assai poco appetitoso. In quel momento potreste sentirvi piuttosto depressi".
Quanto può essere confortante sapere che anche il nostro avvilimento di fronte all'apparente risultato di una ricetta può essere previsto dal suo autore, perché anche a lui è capitato di esserne vittima?
E soprattutto, quanto sollievo si può provare al pensiero che, dopo tutto, esso è immotivato?
...Continua