"A travel book to stand on the shelf with Graham Greene, Somerset Maugham, and Paul Theroux." --The New York Times Book Review
...ContinuaNon è un diario di viaggio (perché ci sono più ricerche storiche di personaggi che hanno abitato i luoghi visitati che sue istantanee), non è un diario personale (perché non c’è un’opinione, un commento, una riflessione su quanto vede che sia sua), non è un trattato sulla storia della Patagonia, perché è una serie di pezzi di puzzle di stralci di viaggio di Chatwin congiunte a storielle su personaggi dei luoghi visitati (vedi sopra), non è un romanzo (perché non lo è), non è una raccolta epistolare, non è un trattato scientifico, non è un esercizio di stile alla Perec. Difficile fin qui apprezzarlo perché mancano sia le chiavi interpretative che le emozioni che raggiungono il lettore e soprattutto manca un filo conduttore che sia letterario, che sia altro dal suo vagare di posto in posto a cui accompagna articoletti su personaggi dei loghi per cui passa.
Magnifiche, potenti, cariche di significati e significanti invece, le sue foto, che congiuntamente al suo scritto, aumentano ancora di più il loro potere emotivo e comunicativo. Ecco, allora, che “Patagonia” potrebbe essere (oggi) uno special da National Geographic e Chatwin sarebbe un eccezionale reporter. Ma non è nemmeno questo: le foto sono pochissime e il testo invece fin troppo. Libro cult degli anni ’70 che insieme a On The Road ha colpito un certo immaginario, una certa volontà di perdersi in chimere altrui (tutte inventate di sana pianta da chi leggeva), oggi invece ha perso molto del suo smalto: quando 50 anni fa anche solo immaginarsi un viaggio in Patagonia era un privilegio di pochi e di chi voleva pensare alternativo (includo i climbers, per i quali la Patagonia ha sempre avuto un grande fascino per le difficoltà di scalata), ora non resta che una chimera stravista, spogliata di ogni fascino. C’è tanto altro “mondo alternativo”, così come ci sono tanti altri report di viaggi molto più appassionanti. Troppa distanza tra Chatwin e quello che vede, la stessa distanza che lui ha messo a mo’ di barriera tra sé e la società, nascondendoci le sue difficoltà personali, che invece sarebbero state molto più interessanti da seguire per capire ed apprezzare sia Chatwin che il suo viaggio. Un libro quindi che vuole essere un puro capriccio della sua intelligenza e cultura che non si cura affatto di chi lo leggerà. Un libro aridino, noiosetto, senza un vero e proprio significato e che si scorda il giorno dopo che lo si è letto.
Romanzo di viaggio atipico. Una specie di alone mitologico con qualche comparsata di Chatwin ad impersonare il presente. Se si cercano descrizioni dettagliate dei paesaggi della Patagonia... la strada è decisamente sbagliata.
ancora in lettura e credo che resterà così a lungo; è spezzettato, frammentario, senza un chiaro filo conduttore, se non il viaggio. Ma proprio per questo risulta affascinante, un diario fatto di impressioni quasi solo annotate e di riflessioni su un mondo sconosciuto, bellissimo e spaventoso. E con il potere di mettere addosso la voglia di partire alla ricerca del milodonte, chè ognuno ha il suo!
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