Un libro meraviglioso, nonostante questo non lo consiglio a coloro che non hanno mai approcciato la Ortese.
pur riconoscendo la maestria della scrittura non l'ho capito, anche se il ritmo ipnotico obbliga alla lettura
- Anna Maria Ortese, per lei c'è qualche cosa di più importante della letteratura, e dell'arte in genere?
- Di più importante no, di più necessario, sì: la compassione, il soccorso della vita quando sta male.
Quando mi capita di leggere Anna Maria Ortese un po' mi spavento. Il pensiero che ripete più spesso è che un insetto, un uomo, la terra sono granelli e se non si capisce questo non si capisce la compassione; talvolta Anna Maria Ortese scatta con terrore tra sonno e veglia perché non riesce a capire dove siamo. "Non so dove mi trovo. Sì, Italia, Europa, Terra. E la Via Lattea. E le miriadi di soli, di pianeti. E gli universi? E quanti gli universi e dove sono diretti (si dice che viaggino)". E il suo sgomento, però, non è quasi mai inutile, perché poco più avanti si dice "ma cosa vado pensando di notte", e l'ansietà le passa. Questo senso, di vedersi come minuteria dell'immane cosmo, vorrebbe fosse insegnato come sapere fondamentale da cui discendono tutti gli altri. Anzi la cultura per lei consiste principalmente in questa comune consapevolezza. Non crede molto nella scuola come insegnamento di nozioni. A un bambino va detto, siamo sopra una palla sospesa nello spazio come un sassolino perso in un universo a sua volta perso in altri universi, avvertirlo che anche se l'uomo dovesse disporre di mezzi portentosi difficilmente si saprà cosa sono questi universi, spiegare al bambino il concetto di infinito e di segreto che ci sovrasta. "Dire nello stesso tempo che ogni uomo, il padre, il nonno, la madre, il bimbo, lo straniero sono esseri appartenenti alla grande famiglia Vita, l'unica che conosciamo, e della quale fanno parte tutte le bestie e perfino gli insetti. E ogni colpo che si tira alla vita, si ripercuote quindi su noi stessi". Poi passa a raccontare di eventi minimi, l'infinitamente piccolo che è più facile da immaginare, racconta di quel giorno in cui vide un uomo fermo davanti a un cavallo, guardarlo con rabbia e sputargli in un occhio. Era bambina e pur avendo vissuto - dopo - le atrocità della guerra, per lei quello fu il male. Quello sputo.
Se vi fosse appena una cancellata, in questo muro, a interromperne, più che la uniformità, la Cecità, io potrei dirmi felice
-La casa del bosco-
Quale salvezza esiste per la bestiolina che, non sufficientemente vessata dalla maleducazione, dalla violenza, dai soprusi e dalle sopraffazioni del mondo (il mondo sociale, degli altri, quel mondo che ci ostiniamo a chiamare civile), punisce ulteriormente se stessa rendendosi ostaggio di cattivi pensieri, di dolorosi ricordi? Quale pace esiste (e se una pace esiste, che forma prende? Qual è il suo colore?) per chi non si usa alcuna pietà e, anzi, tormenta senza sosta la propria mente ed il proprio cuore con l'idea che vivere sia un'eterna sequela di spaventi ed orrori (la Ortese arriva al punto di paragonare la Vita ad una terribile malattia)? Quale aiuto riuscirà ad offrire agli altri (ai debolissimi, agli inermi), chi non riesce a salvare nemmeno se stesso?
Non so. Il dolore degli altri mi turba, i drammi mi infastidiscono, mentre la quiete e la serenità mi sembrano sempre più desiderabili.