https://alessandropedretta.wordpress.com/2019/06/26/la-citta-sostituita-di-philip-k-dick/#more-562
“La città sostituita” (The cosmic puppets) è tra i primissimi romanzi di Philip Dick. Stando alla cronologia delle pubblicazioni è il suo quinto romanzo, in stampa nel 1957, stesso anno di “Occhio nel cielo” col quale condivide oltre all’anno di uscita anche una scrittura acerba e una trama rattoppata, troppo semplicistica, a tratti adolescenziale, sicuramente non all’altezza del maestro che Dick diverrà grazie ad altre opere che non tarderanno a venire (di lì a qualche anno, tanto per dire, scriverà quel gioiello che è “La svastica del sole”) e grazie alle quali è ora consacrato come uno dei maggiori esponenti del genere fantascientifico e non solo con i suoi scritti profetici di un futuro/presente sempre più alla mercé dei sistemi di controllo, i cui protagonisti si dibattono in una estenuante lotta con la manipolazione sociale, Dick è stato pioniere del cyberpunk e filosofo psichedelico.
Sottotraccia anche in questo racconto lungo si intravede comunque l’illuminante paranoia e la concezione schizofrenica della realtà che contraddistinguerà il corpus narrativo di Dick.
In verità bisogna sottolineare che “La città sostituita” è il rimaneggiamento e l’ampliamento di un racconto pubblicato nel ’56 sulla rivista Satellite Science Fiction col titolo “A Glass of Darkness”, scritto nel 1953 e quindi antecedente anche a “Solar Lottery” del ’55. Possiamo dunque in un certo senso affermare che è in assoluto il primo romanzo di Dick.
La storia è ambientata nella tipica provincia americana degli anni ’50, tanto cara a Dick come ad altri innumerevoli romanzieri statunitensi. Ted Barton decide di passare alla fine di una vacanza nella cittadina che gli ha dato i natali e dove ha vissuto fino all’età di 8 anni. La troverà completamente cambiata: i negozi, le vie, le persone sono diverse, nessuno lo riconosce, lui non riconosce nessuno. E qua ci troviamo nel tipico topos dickiano, cioè quello stato di straniamento profondo e squassante che fa perdere ogni tipo di contatto con tutto ciò che fino a quel momento si è creduto inattaccabile e vero. Aiutato da un vecchio che sembra capire e condividere il suo turbamento Barton indagherà su quella situazione assurda, scoprendo che la cittadina è governata da due forze cosmiche opposte, il tipico dualismo bene/male che si materializza in due enormi creature che tengono sotto scacco la zona, combattendo una guerra atavica e infinita. Il compito di Barton sarà quello di riuscire a ricreare la città come era una volta, rimapparla psichicamente per ridargli forma concreta.
Un altro tema ricorrente dell’opera di Dick è la ricerca del divino (che poi sfociò più avanti in una specie di personale misticismo precognitivo, a tratti surreale). Il divino è visto in Dick come costruttore e insieme sofisticatore del reale; in “La città sostituita” attinge a piene mani nell’iranismo zoroastriano, nella fattispecie nelle due forze cosmiche opposte: (i due giganti sopracitati) quella del bene Ormazd e quella del male Ahriman.
E’ un libro che, come detto, pecca di qualche ingenuità e la cui struttura narrativa è troppo asciutta ma che fortunatamente si salva per la sua brevità e l’esuberante, e comunque intelligente, fantasia. È tuttavia un libro di Dick, e lo dico non perché si debba comunque avere una qualsivoglia sudditanza verso un Maestro ormai conclamato, ma perché comunque già nella filigrana di questa storia si possono cogliere le idee stravolgenti del Dick che sarà, ed è a mio parere anche grazie a questi libri che forse sono “prove di riscaldamento”, con questo suo tastare i tacchetti sul terreno e le prime avvisaglie di lampi all’orizzonte, che si capisce appieno l’autore, la sua complessità, il suo percorso di trasformazione.
...ContinuaDecisamente, No.
Parte bene , ma si arena quasi subito.
Uno dei peggiori letti di P.k. Dick .
Un libro molto interessante, dove Dick abbandona la fantascienza per avventurarsi più verso un thriller a metà fra il fantasy e il misticismo.
Ammetto che per tutto il romanzo la vicenda ha un buon ritmo: non annoia e riesce a mantenere la curiosità di chi legge.
Purtroppo la fine è molto veloce, quasi sbrigativa lasciando un po' spiazzati per quanto tutto si risolva in poche pagine.
Comunque un buon libro da leggere e che non tiene molto occupati.
Ps: per i fan di Dylan Dog come me sapranno riconoscere questa storia perché è stata usata per una delle avventure dell'Indagatore dell'Incubo ;P
...ContinuaOttima idea di partenza, poteva essere sviluppata di più e meglio magari. Lettura comunque piacevole e rapida, sembra un libro scritto da King, ma ridotto all'osso (il Re ne avrebbe scritte almeno 500)! Non imprescindibile, ma nemmeno da buttare, anzi. Divertente e anche appassionante. Dick avrà scritto di meglio, ok, ma in giro c'è ben di peggio (non nomino per non fare pubblicità).
...ContinuaDick ha, in tutta evidenza, un conto aperto con la realtà.
Il suo problema, la sua ossessione, ruota maniacalmente intorno ad un dubbio che tutti noi per altro ci troviamo ad affrontare: ovvero se la "realtà percepita" sia una rappresentazione attendibile della realtà, od, a farla semplice, se ciò che giudichiamo reale lo sia davvero oppure sia un inganno, una mistificazione, un sogno, un incubo.
E' un quesito concreto e la maggior parte di noi deve affrontarlo ma non sembra annoverarlo tra le preoccupazioni maggiori e, solitamente, lo risolve con un puro atto di fede e passa oltre senza apparente grande pena o turbamento.
Non così per Dick, tanto da porsi come suo tema ricorrente nei racconti; ad esempio mi viene da pensare a Do Androids Dream of Electric Sheep? (meglio noto nella sua versione cinematografica: Blade Runner), di cui costituisce il senso profondo del finale, ed ancor più ne L'uomo dei giochi a premio
( http://www.anobii.com/books/L%27uomo_dei_giochi_a_premio/01697020584168378b )
Certo l'assunzione di anfetamine non deve aver aiutato lui ad affrontare la questione con equilibrio e saggezza ma ha regalato a noi tra i migliori racconti di fantascienza mai scrittti.
Questo racconto non è dei migliori ed il finale è giocato in modo troppo scontato e "sa molto" di SF anni '50 ma la descrizione dello stato d'animo del protagonista, che scivola in una situazione irreale, incomprensibile ad ansiogena, si eleva ben al di sopra delle banalità dei pulp dell'epoca.