In questi giorni in cui non c’è casa dalle cui finestre non penda una bandiera con i colori dell’arcobaleno e la scritta “Pace” è possibile dire “Mi piace la guerra”?<br />Io credo di sì, se la guerra di cui si parla è “la guerra dei castori e dei salmoni”, il bel romanzo di Cinelli e Parisi.<br />Dopo averne letto un estratto sulle pagine web di Liberodiscrivere mi sono subito detto che quelle righe promettevano molto bene e che se l’intero romanzo riusciva a mantenersi su quel livello meritava certo d’esser letto. <br />Ho quindi ordinato subito una copia del volume e, appena possibile, l’ho letto, compiacendomi del mio intuito: si tratta infatti di un ottimo libro.<br />Per ottimo libro intendo dire che descrive con grande semplicità una bella storia. Una storia che, nella sua immediatezza, descrive il nostro mondo assai meglio di tanti saggi o di romanzi che girano e girano intorno alla sostanza delle cose senza mai colpire il bersaglio.<br />Questo non capita al romanzo breve (o racconto lungo) di Cinelli e Parisi. Ci narrano una fiaba, con tutte le caratteristiche (tranne il lieto fine) delle belle favole ma dietro a questa vicenda di salmoni, castori, aquile e vermi ci fanno intravedere una visione chiara della guerra e del terrorismo. Tutto ciò però senza disturbare con pesanti moralismi e conservando una trama leggera, così leggera che ho potuto persino raccontarla a mia figlia di cinque anni che più volte già mi ha chiesto di raccontargliela ancora. E devo dire che ben vedrei questo racconto trasformato in un cartone animato.<br />E’ questo un romanzo che metterò nella mia libreria accanto alla “Collina dei conigli”, di cui ha la capacità di descrivere un mondo animale corale e solo parzialmente umanizzato, e la “Fattoria degli animali”, di cui sembra conoscere le metafore favolistiche. Certo se i suoi due egregi autori avessero avuto la fortuna di nomi più illustri sarei stato sicuro che questo volume avrebbe presto potuto figurare in ben altre librerie accanto a questi e ad altri romanzi che, parlando di animali, descrivono l’uomo e i suoi bisogni primordiali. Non posso cioè non pensare al “Gabbiano Jonathan Livingstone” o alla “Gabbianella ed il gatto”, per citare i più moderni ma in realtà la tradizione cui questi autori si rifanno affonda assai più indietro nel tempo e c’è in loro qualcosa di Fedro, Esopo o La Fontaine.<br />Di questi autori antichi conservano uno sguardo genuino sul mondo che, nonostante tanti celebri antenati, gli permette di osservare l’umanità con occhi privi di sovrastrutture culturali (questa è la prima impressione ed il pregio dell’opera ma ben si capisce che il messaggio lanciato è assai importante e “culturalmente” profondo).<br />Ed è quindi divertente il sovrapporsi ad una simile trama di una serie di note scherzose al testo con il quale gli autori fingono di eseguire una “nuova traduzione” di un antico testo cimmerico-cimbrico in cui le metafore alludono non al nostro mondo ma agli antichi conflitti tra tali popoli.<br />Leggere queste pagine, in giorni come i nostri in cui i venti di guerra soffiano particolarmente impetuosi, non può che fare un certo effetto e fa riflettere su quanto sia giusto il dominio di certe aquile e quanto possa rivelarsi inutile e dannosa ogni guerra.<br />Non voglio dirvi di più per consentirvi di assaporare meglio la lettura di questo testo, lettura che sarebbe un peccato per chiunque procrastinare o evitare.</p><p>Firenze, 16.2.03
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