http://www.booksblog.it/post/7215/la-liberta-ritrovata-di-frank-schirrmacher
Affascinante lettura quella del libro La libertà ritrovata. Come (continuare a) pensare nell’era digitale di Frank Schirrmacher edito da Codice Edizioni con la traduzione di Lorenzo Lilli.
...ContinuaIl testo di Schirrmacher è tutto fuorché semplice o intriso di luoghi comuni che, invece, vengono percepiti come tali proprio se la lettura avviene in modalità leggera, distesa, superficiale, "lean back": quando, cioé, siamo rilassati, letteralmente 'appoggiati all'indietro', per esempio quando ci godiamo un romanzo sulla poltrona, o guardiamo un film, concentrati sì su quanto stiamo vedendo, ma senza una elaborazione manuale o tattile dell'informazione. Se si aggredisce il testo in modalità "lean forward", quanto siamo 'letteralmente' protesi in avanti verso l'informazione, quando per esempio studiamo un libro alla scrivania, lo commentiamo, prendiamo appunti, insomma, in una faticosa 'attivazione' del ciclo di informazione-elaborazione- interpretazione-modificazione, ecco che il testo si rivela incisivo e per nulla scontato.
Intanto, perché è un libro che non parla di tecnologia. Parla di come potenzialmente l'uomo cambia ed è cambiato con e dalla tecnologia: nozione non nuova, si dirà. Del resto già Marshall McLuhan o Harold Innis avevano scritto in merito, declinando il discorso sulla comunicazione e su come questa si modificasse e modificasse le percezioni biologiche all'evolvere di nuovi strumenti. Il discorso di Frank Schirrmacher è ancora diverso: quanto stress cognitivo un cervello è in grado di assorbire, prima di modificare le proprie strategie euristiche e di gestione dell'incertezza? In altre parole, il vecchio 'adagio' dell'information overload, non sarebbe da rivisitare, alla luce delle vecchie e nuove ricerche di psicologia dell'attenzione, proponendolo in chiave prospettica, più che di analisi sincronica da giornalismo high tech? Il punto di osservazione da cui l'autore propone le proprie riflessioni è radicalmente NUOVO. Infatti, nel testo, non si cerca tanto di comprendere l'aspetto cognitivo del pensare, quanto quello del "non pensare". "La domanda da porsi non è cosa facciamo quando pensiamo, bensì quando non pensiamo" (p.66), cioé quando la nostra attenzione che, dalla psicologia cognitiva e dalle neuroscienze, sappiamo essere piuttosto scarsa, è sull'orlo di essere esaurita e, quindi, il nostro cervello attiva modalità di adeguamento all'azione che spesso si traducono in processi di delega, che 'scaricano' attenzione. La delega è un processo riduttivo dell'attenzione che, se da un lato protegge il cervello dall'esaurimento di memoria decisionale, dall'altro favorisce la penetrazione (volontaria) di decisioni pre-costituite e pre-disposte nelle strutture informative intorno a noi (non solo digitali, si intende).
Da qui l'ansia che proviene dalla percezione di assenza di controllo su tutti i flussi informativi cui siamo soggetti e la reazione di controllo conseguente, che è spesso di tipo compulsivo o ripetitivo (pensiamo all'attenzione accesa dall'ultimo sms arrivato o dalla mail che giunge in mezzo ad una discussione): occorre scegliere quale flusso di dati seguire. Il problema è che un flusso dati non contiene a priori il costo/opportunità del seguirlo, cioé il carico di attenzione che sarà necessario investire in esso. E l'homo sapiens sapiens impersona sempre più spesso un "informivoro rex", che lotta per la sopravvivenza in un mondo di stimoli.
E questo è un primo punto da cui trae origine il ragionamento dell'autore.
Il testo ha però una decina di altri punti focali, di cui ne scelgo un paio, che definisco così: 1) il rapporto cervello-computer; 2) volontà-visione e potenziamento del pensiero riflessivo.
1) Per quanto riguarda il rapporto cervello-computer, esso è stato spesso visto in una sola direzione: da Minsky a J. Laird ("il computer è la metafora definitiva"), il computer sembrava rivelarsi lo specchio della cognizione; la macchina hardware come il cervello, il software come la mente. Con adeguate evoluzioni tecno-logiche, la macchina avrebbe potuto affinarsi e far girare sw cognitivamente sempre più "umani". Sulla scia del lavoro scientifico di George Miller, l'autore del testo inverte la prospettiva: non è che sia "la psiche [...] la vera autrice dei programmi per computer"(p.100)?, con la conseguenza che il rapporto uomo-computer, trasferito al flusso informativo, fa sì che noi siamo "letti", come il linguaggio macchina è letto dall'hw del computer? Il che è alla base dei servizi di ausilio alla conoscenza che, da Amazon a Google e ai diversi aggregatori sociali nel web, rendendoci un servizio, in sostanza ci rendono 'ciò di cui siamo (in)-consapevolmente in attesa'. L'analisi di questo processo è intrigante e allucinante, e non in termini negativi, quanto in termini di mutamento cognitivo. Perché vuol dire che "Branche della psicologia moderna e della neruobiologia hanno creato la madre di tutte le nostre programmazioni. Questa, con un'energia incrollabile, ci sta educando come i figli di una rivoluzione mentale. Valuta il pensiero e il comportamento umano secondo simulazioni al computer e collega il tutto con tutto: come in una pagina web i nostri ricordi si fondono con i nostri itinerari, il nostro comportamento economico con la nostra disponibilità al rischio, la nostra salute con il nostro DNA. Le scienze si intrecciano con i codici del software al punto che, in alcuni campi delle scienze cognitive e della psicologia, i computer ormai da tempo hanno sostituito le persone come soggetti dei test. Quello che viene scoperto viene poi trasferito sulle persone. Quello che non viene scoperto, semplicemente non esiste" (p.107).
2) In merito al punto "volontà-visione e potenziamento del pensiero riflessivo", mi soffermo su una parte propositiva del testo che trovo preziosa e da condividere. E' indubbio che ogni invenzione o tecnologia cambi gli uomini che ne sono a contatto (e per effetti di composizione, anche quelli che NON ne sono a contatto): di questo la storia ci invita a prendere atto. E' un processo NORMALE; esso fa parte della co-evoluzione che instauriamo con il nostro ecosistema e con le nostre opere.
Poiché le tecnologie digitali co-evolvono, particolarmente, con la nostra struttura congitiva, non è male se si studia come co-evolvere nel senso di un miglioramento, inteso qui, idelogicamente, come un potenziamento della capacità di discernimento e di controllo dell'eccesso di informazione, di fronte al recesso dell'attenzione. Lavorare 'in senso antiorario' è una buona soluzione (si legga il capitolo: L'esperimento Counterclockwise, che qui non illustro perché è molto bello da leggere come è stato scritto). Che cosa vuol dire? Vuol dire che è utile ogni cambio di prospettiva che consenta di vedere un oggetto o una persona sotto aspetti diversi, pur perdendo in precisione informativa. La perdita di precisione informativa è un vantaggio: lascia maggiormente libera la nostra limitata attenzione al fine dell'elaborazione della prospettiva in oggetto. La perdita di precisione informativa ci rende diversi, nel ragionare, dal ragionamento algoritmico delle prime macchine elettroniche e ci avvicina a quelle fondate su euristiche e approcci alla conoscenza non massivi, ma intensivi, che, proprio per questa caratteristica, sono da noi percepiti più faticosi, perché dobbiamo attivare il ricordo, collegare le sensazioni, rintracciare i segni dei sensi, riprendere il dia-logo con il nostro sentimento. Non è utopia, è strategia "terra terra" per non dis-perdersi nel caos informativo e per essere più efficienti ed efficaci. Come ci si può aiutare a (ri)-pensare in modo euristico? Per esempio "si tratta di introdurre, nel nostro pensiero, dei ritardi per rafforzare il muscolo dell'attenzione" (p. 159): è un modo per uscire dalla (il)-logica degli automatismi e dei vincoli naturali e artificiali che ci auto-imponiamo. Ci consente di evitare di reagire agli stimoli con delle routine (che danno il senso di leggerezza della risposta e non stancano, perché NON co-involgono).
Qui mi viene in mente un metodo, quello delle mappe mentali, che mi sembra una eccellente soluzione, biologicamente anche molto adatta, per introdurre i giusti ritardi e rafforzare il muscolo dell'attenzione e, con esso, il nostro "muscolo" più ampio e valutativo, il cervello. Rimando al blog di Roberta Buzzacchino e alla sua pagina su Facebook perché è la persona ideale in grado di rendere appieno la potenza e la bellezza del metodo delle mappe mentali (http://mappementaliblog.blogspot.com/).
Concludo con un'opinione di sintesi, che vale per questo, ma anche per tanti altri testi che mi capita di leggere: se sembrano troppo superficiali o pieni di luoghi comuni, vale la pena riflettere se non siamo noi, nella lettura, a renderli tali, scagliando in superficie quanto è faticoso ricuperare dagli abissi della lettura.
...ContinuaMah... qualche stimolo interessante qua e là, qualche link utile nelle note... però direi che comunque non ci siamo: la pubblicistica sull'argomento «"ah, dove andremo a finire col web 2.0", "ci siamo già"», oltre all'aspetto irrimediabilmente ottocentesco (sul genere "Fra x anni comunicheremo col pensiero ecc.", alla Jules Verne per capirci, ma con molta meno fantasia), palesa ad ogni voltar di pagina una scontata esitazione tra l'apocalisse e l'integrazione (con una chiara, benché dissimulata, propensione per la prima) e una irritante inconcludenza: "che fare? boh..."
...ContinuaGli informatici sono gli autori di questo super-agglomerato oramai senziente e non-umano che è la Rete e le corporation che la costruiscono per i loro interessi.
Meno male che c'è questo libro che ci mette sull'avviso e ci dà una serie di confuse idee per reimpossessarci della nostra coscienza, a rischio di sottomissione digitale...
Fiuuu che culo averlo letto. 23 euro buttati via, oltre al giramento di palle ad ogni pagina letta.
EVITARE
Insisto su questo tema sul mio blog: http://shortlink.it/s/PJjj
...ContinuaL'idea di essere connessi tutti a un cervello sintetico, che si alimenta delle nostre esperienze già di per se può essere abbastanza inquietante.. e nonostante l'autore insista nel dichiarare che il suo libro non è contro i computer, è come se su ogni pagina ci fosse un pulsantone con scritto "red alarm" che lampeggia. Consapevolezza, attenzione, risveglio.. un libro che in qualche modo riecheggia la filosofia zen.
...Continua