Avevo voglia di tentare un nuovo contatto con Virginia Woolf dopo essermi trovato un po’ disorientato e non completamente soddisfatto dalla gita al faro di un anno e qualche mese fa. Eccomi dunque qui, in compagnia della signora Dalloway, dopo aver da poco concluso una giornata iniziata tra le vie di Londra e terminata con una serata in casa, tra amici ed esponenti dell’alta societa’ londinese.
Non posso nascondere che, anche questa volta, la lettura di Virginia Woolf mi ha lasciato delle sensazioni contrastanti. Se da un lato l’immergersi tra le strade della Londra primaverile e’ stata un’esperienza piena di colori, suoni e vita, cosi’ come alcuni scorci narrativi trasmettono una potenza ed una lirica che li trasforma in pura poesia, dall’altro mi sono trovato un po’ disorientato tra continui sbalzi temporali e piani di scrittura che si sovrappongono ed intrecciano tra loro, in un continuo avanzare e retrocedere nel tempo e nelle vite delle varie umanita’ che, via via, si affiancano all’esistenza di Clarissa Dalloway.
Un muoversi tra passato e presente quindi, un continuo cambio di visuale che restituisce molteplici visioni dello stesso mondo, un intreccio gioco di vite, scelte, rimpianti, amori e risentimenti, che popola e scorre sotto la pelle candida e rilassata della buona societa’ inglese.
Nulla sembra poter agitare l’ovattata placidita’ di questi salotti buoni, cosi’ come le esistenze delle donne e degli uomini che li popolano. Che si manifestino eventi funesti o curiosita’ legate a volti celati dalle tendine di un’auto, tutto sembra dover procedere con un’assoluta ed inattaccabile tranquillita’, in una tanto monotona quanto superficiale perfezione. Se pero’ ci si ferma un attimo e ci si concentra sull’ascolto, fin da subito si odono in lontananza bisbigli drammatici, dolorosi scricchiolii che fanno presagire l’avvento dela tragedia. E la sventura arriva e si manifesta, sotto varie forme e con tempi differenti, insinuandosi piano piano e scorrendo, lenta ma inarrestabile, sotto quel velo di benessere e rispettabilita’ che ammanta la scena.
Confermo che Virginia Woolf ed io ci muoviamo su piani differenti... Un libro che mi ha dato momenti di piacere, sia stilistico che letterario, alternati a passaggi dove ho percepito un profondo smarrimento ed un’incapacita’, quasi sicuramente da imputarsi ad un mio limite, ad entrare totalmente nello svolgimento delle vicende e nelle sinuose personalita’ ed umanita’ dei protagonisti e della scrittrice stessa.
...ContinuaUna cosa va detta subito: non si tratta di una lettura facile, uno di quei testi dalla trama lineare e dallo svolgimento semplice che non richiedono particolare concentrazione al lettore. Mrs. Dalloway è un romanzo altamente innovativo sul piano sia narrativo, sia stilistico, specie se collocato nel periodo in cui fu pubblicato (gli anni Venti del Novecento). Innanzitutto, non c’è il narratore onnisciente che regge le fila di tutto, ma è piuttosto simile a un collage di pensieri e di sensazioni interiori dei protagonisti, che si alternano sulla pagina come se lo scrittore spostasse un’immaginaria telecamera ora sull’uno, ora sull’altro dei protagonisti. I dialoghi sono relativamente pochi e comunque meno significativi rispetto ai pensieri, ai moti interiori dei personaggi. E’ evidente che, a una lettura distratta, il romanzo rischia di apparire come un guazzabuglio di frasi sconnesse, il cui senso complessivo sfugge completamente.
La vicenda in sé si riassume in due parole: una giornata nella vita della signora Dalloway, benestante moglie cinquantenne di un alto funzionario statale inglese, che viene seguita dal suo uscire di casa, alla mattina, fino al ricevimento serale che ha organizzato a casa sua e al quale invita un gruppo di amici e conoscenti, più o meno rappresentativi della upper class britannica dell’epoca. Tra costoro , c’è anche il suo antico fidanzato, Peter Walsh, appena tornato da un lungo periodo in India, con il suo carico di nostalgia per la gioventù e di rimpianti per la vita che avrebbe potuto essere con Clarissa (la signora Dalloway). Nelle stesse ore si consuma anche il dramma del suicidio di Septimus Warren Smith, reduce traumatizzato della Prima Guerra Mondiale, in un certo senso l’alter ego tragico di Clarissa (anche se i due non si conoscono): l’una è solare, ottimista e tutto sommato contenta della propria vita, l’altro è avvitato in una spirale di pessimismo e disperazione.
Lo stile di Virginia Woolf, che leggevo per la prima volta, mi affascina e certamente mi accosterò ancora alle sue opere, ma solo quando sentirò di poter dedicare alla lettura la notevole concentrazione che questo tipo di testi esige. Per questo, al momento, non riesco ad andare oltre le tre stelline e mezzo, non avendo potuto approfondire a sufficienza la lettura.
In questo piccolo (splendente) libretto della Woolf si nasconde una scintilla preziosa. Con una scrittura che segue il corso della giornata, mano a mano che quei cerchi di piombo si dissolvono nell’aria, Virginia Woolf rievoca con precisione tagliente una varietà di emozioni assolutamente toccanti.
Metafore e paragoni, gesti e pensieri che sgorgano in questo nitido flusso narrativo tra gli spazi bianchi, che fanno trattenere il fiato, che come vento passano da un personaggio all’altro senza mai sbiadirsi. Per me è stata una sorpresa completamente inaspettata. Un gusto, affondare gli occhi in questa nuova polpa bianca e nera… dal sapore straordinario.
Vergognosa ammissione: è il mio primo libro, la mia prima Virginia Woolf. Mi è piaciuto, l’ho trovato un piccolo gioiello della letteratura . Un concentrato di pensieri, di flussi di coscienza quasi ininterrotti, scanditi dagli orologi e...dall’orologio per eccellenza, il Big Ben. Il concentrato di una sola giornata di metà giugno.
Scorrevolissima e piacevole la lettura, soprattutto quando ci si abitua allo stile narrativo. Splendida l’apertura, luminosa, vitale proprio come la protagonista, la signora Clarissa Dalloway, che proprio per festeggiare la vita, ha organizzato un ricevimento a casa sua, cui ha invitato la crème della società londinese.
Eccola: è una creatura vivace ed energica, nonostante abbia superato i cinquant’anni, che si affretta per le strade di Londra a comprare i fiori per la serata. È mattina, la frizzante aria le ricorda quando viveva a Bourton e spalancava le persiane, salutando il nuovo giorno. Dalla prima pagina partono subito i ricordi e i flashback: i corteggiamenti del fidanzato, Peter Walsh che l’accusava di essere rigida e fredda, i loro litigi e la partenza di lui per l’India, dove avrebbe trovato un’esotica amante, mentre Clarissa avrebbe sposato il più pacato, ma soprattutto ricco, Richard Dalloway.
Ci troviamo immersi nel traffico di una Londra del primo Novecento, reale, concreta con le sue strade, tutte rigorosamente nominate (Bond Street, St.James Street, Piccadilly e Trafalgar Square, etc.) e la voce narrante, onnisciente ed esterna alla storia ci fa imbattere nel secondo personaggio del libro, il deuteragonista, il doppio di Clarissa Dalloway, il giovane reduce di guerra, Septimus Warren Smith (e già il nome Warren, ricorda ‘war’, la guerra), che non si è ancora ripreso dallo shock di aver visto morire il suo commilitone. Si alterneranno i flussi di coscienza di Clarissa (il cui nome richiama già la luminosità, la luce) a quelli dell’inaspettato Peter Walsh tornata dall’India, a quelli di tutti gli altri personaggi, anche secondari. Sono i flussi di coscienza a delineare le azioni e la trama.
Interessante il contrasto Clarissa/Septimus: l’una rappresenta la voglia di vivere, la luminosità, l’apertura, l’altro il suicidio/le tenebre/la chiusura verso “la natura umana”, che sotto le spoglie di psichiatri e medici vogliono tormentarlo, secondo lui, e allontanarlo dalla moglie Lucrezia, di origini italiane.
L’una troppo rigida, forse vuota, l’altro troppo folle, avranno una terribile illuminazione, terrore o estasi? Di più non dirò.
Il Tempo , la Memoria, i Ricordi involontari sono le tematiche ricorrenti di tutto il breve romanzo, che, non a caso, aveva come titolo originario “Le ore”. I rintocchi del Big Ben, a seguire altri orologi invadono letteralmente il salotto di Clarissa interrompendo il suo flusso di pensieri e talvolta sovrastano le conversazioni . Un tempo molto elastico, ora dilatato, ora sospeso, come nella scena dell’incidente di un reale inglese al centro di Londra, ora veloce. In Clarissa Dalloway la scrittrice infonde i suoi pensieri e le sue meditazioni sulla morte, sull’amore , sulla religione.
“Amore e religione! pensò Clarissa (...) che cose odiose, odiose!(..)Le cose più crudeli del mondo, e le vide, sì l’amore e la religione, due figure goffe, invasate e prepotenti, ipocrite, furtive, gelose, infinitamente crudeli e senza scrupoli (...). Aveva mai cercato di convertire qualcuno, lei? Non voleva al contrario he ognuno restasse se stesso? (...) Anche l’amore distrugge. Tutto ciò che era bello, tutto ciò che era vero, finiva”.
Da una prima lettura, la signora Dalloway può apparire, come appare in effetti a molte persone nella storia, vuota, falsa, poco profonda. Confesso di averla trovata poco simpatica, troppo leggera. Ma nel finale...
Vi consiglio l’edizione Feltrinelli per la cura del testo e l’interessante prefazione di Nadia Fusini che ripercorre la formazione del romanzo atttaverso le pagine del diario della Woolf.
Molto ben scritto, ma l'esiguità della trama lo rende leggermente noioso e poco interessante. La sua lettura non lascia niente :-(