Tralascio la postfazione che lo stesso Tolstoj dovette aggiungere in seguito allo scandalo di alcune sue osservazioni sul matrimonio e sull’amore. Mi soffermo solo sul racconto che rivela il lato più tormentato di questo scrittore straordinario, tale come si è sviluppato soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Direi che , di primo acchito, il protagonista si mostra senza ombra di dubbio un ipocondriaco, geloso e sospettoso. Lo si deduce dallo scavo psicologico impietoso che Tolstoj fa sulle motivazioni che portano all’uxoricidio e prima ancora al matrimonio. Quello che ne viene fuori è una critica spietata all’istituzione del matrimonio come “contratto” mondano, una convenzione ipocrita, basata soprattutto sul sesso. E’ sorprendente che in tutto questo non si parli di amore, di sentimenti e che la figura della donna e della sua bellezza sia vista in termini negativi. Viene messa sotto accusa proprio la bellezza non solo femminile ma anche quella artistica e in questo caso proprio della musica; < < Dicono che la musica agisca sull’animo elevandolo; sciocchezze, non è vero!...La musica eccita, ma non porta a una soluzione>> . Infatti la musica non solo turba e colpisce chi la ascolta ma lo induce a coltivare impressioni, passioni che possono essere travolgenti. Lui infatti, folle di gelosia, si accorge che la moglie, di cui pensava di avere il controllo perfetto, di fronte alla musica prova delle sensazione sue, private, lontane da lui; e, ahimè, il passo verso l’uxoricidio è breve! Al di là di tutte le implicazioni polemiche che possono sorgere dalla lettura delle convinzioni di Tolstoj , l’opera comunque ha una realizzazione perfetta, con un crescendo di pathos che sia accompagna in maniera perfetta alla pazzia del protagonista .
...ContinuaLetto solo "La sonata a Kreutzer" per la serata "Librarsi" sulla letteratura russa. Scrittura davvero potente..molto difficile però orientarsi per distinguere tra il pensiero, la personalità e l'esperienza dello scrittore, la cultura dell'epoca e l'invenzione letteraria. All'inizio sembra una cosa e alla fine un'altra... ma decisamente potente, sì
...ContinuaQuesti tre racconti sono stati il mio primo incontro con Tolstoj e purtroppo non posso dire che sia stato entusiasmante. Certo leggendo le opinioni altrui già prima di iniziare la lettura non potevo aspettarmene meraviglie, ma speravo d'imbattermi almeno in delle pagine a loro modo interessanti. Invece il sentimento più costante è stato quello della noia... So che questo libro venne dopo la conversione di Tolstoj e che questo influenzò moltissimo la sua scrittura. La fede, il sentimento religioso, è una delle colonne portanti di queste più o meno brevi narrazioni e le idee esposte dai personaggi o dalle loro azioni ne sono pesantemente influenzate, rasentano il bigottismo. Il primo, La sonata a Kreutzer mi ha coinvolto talmente poco da averlo dimenticato ben presto, La morte di Ivan Il'ic iniziava con più verve ma a metà le chiacchiere dei protagonisti erano ormai insostenibili. Dopo un po' di tempo posso affermare che in realtà il personaggio che ricordo con più forza e nitidezza è proprio il Padre Serji dell'ultimo racconto: nonostante proprio qui il tema della fede raggiunga il suo apice, quest'uomo divenuto asceta è l'unico abbastanza caratterizzato da farsi ricordare.
...ContinuaAvvertenza: un po' come il racconto, anche il commento a un certo punto degenera
Durante un viaggio in treno (non l'Orient Express, più sul genere accelerato Kazan-Dnepropetrovsk), due persone iniziano a conversare. La conversazione diventa un monologo. Il passeggero racconta la sua storia di uxoricida per causa d'onore, assolto con formula piena ma piuttosto segnato dall'esperienza (la moglie, a occhio e croce, di più).
I fatti non è che siano chiarissimi.
La signora si diletta con il pianoforte. A un evento mondano conoscono un violinista, lo invitano a casa per eseguire in duetto la sonata del titolo. Galeotto (quantomeno nelle fantasie del marito) fu l' "andante" e chi lo scrisse.
Accadde il fattaccio? Con certezza, non si sa.
Per non sbagliare, il marito impugna una specie di kriss malese della sua personale collezione di lame da passeggio e amministra un divorzio unilaterale all'arma bianca (il violinista, non esattamente un Lancillotto, si scansa al primo fendente e lascia la signora al suo destino).
Fin qui, la fredda cronaca.
Premessa: é Tolstoj, è un gigante, è russo, è morto.
Dopodichè.
Il racconto è un portento di introspezione psicologica, scritto da un ossessivo indagatore dell'animo umano, in primo luogo del proprio.
Colpisce la profondità della descrizione di come una coppia dà alla luce, accudisce e fa crescere un sentimento incontrollabile di astio reciproco.
Finissima la danza sull'ambiguità del racconto, l'adulterio immaginato, forse perfino desiderato, certamente agevolato dal marito che ha bisogno di una conferma alle sue manie.
Ma la cosa che mi sbalordisce è l'analisi (attuale, attualissima) della condizione femminile, che Tolstoj diagnostica senza sconti, nemmeno alle donne peraltro.
La notazione dello scontro perdente tra la concessione di diritti formali e il loro esercizio in un mondo dominato da una mentalità maschilista e misogina non mi pare, ad oggi, del tutto mandata a mente dai nostri contemporanei, nè mandata a mente nè messa granchè a profitto (me lo si conceda, da sostenitore del matriarcato).
Poi é Tolstoj, è un gigante, è russo, è morto.
Però (grossi IMHO, peace&love, siparvalicet).
Però, il racconto bisognerebbe poterlo leggere come la descrizione di un delirio. Il che richiederebbe un controcanto.
Lasciare il delirante solo a imperversare come se fosse sul palchetto di Hyde Park manda - lo dico? Grossi IMHO etc. - manda il meccanismo drammatico a schiantarsi.
Non c'è niente di più facile che interpretare un pazzo o un ubriaco, si diceva nella vecchia Hollywood.
Il delirante può dire tutto, far quadrare tutti i cerchi, bestemmiare in chiesa, è legibus solutus (scusate il latinorum).
E infatti il delirio, se c'è, è dell'autore (abbiamo la prova documentale, Vs. Onore, la postfazione).
Così, la tirata sulla morale corrente, la conclusione sono impossibili da prendere sul serio, oggi.
Tantomeno se, a un certo punto della lettura, ti si insinua nella testa un pensiero. Oddìo, pensiero. Un pensierino. Non ti esce più dalla testa. Non si dovrebbe sorridere mentre va in scena una tragedia (e il sottoscritto, infame Franti contemporaneo, ogni tanto rideva persino).
Ti metti a pensare che tutta questa tragedia in fondo accade per un banale equivoco. Un qui pro quo.
[Post scriptum pecoreccio - continuate a vostro rischio]
Lei suona il Pianoforte.
Lui suona il Violino.
Non la Tromba.
"La sonata a Kreutzer" *****
Bellissimo questo breve racconto. La descrizione dei sentimenti, della gelosia, della freddezza con cui tutta la vicenda si svolge, è eccezionale.
Ho trovato molto interessante anche la postfazione dello stesso Tolstoj. Credo abbia un fondo di verità.
"Il diavolo" ****
Un altro bel racconto sulle relazioni tra uomo e donna anche se meno particolare del primo.
Qui vengono analizzati il senso di colpa e l'inganno come causa delle tragedie familiari.
Onestamente non ho compreso il motivo di questo titolo. Attribuire l'appellativo di "diavolo" ad una contadina consapevolmente adultera mi sembra un'esagerazione, ma forse all'epoca di Tolstoj se c'era un tradimento la colpa era della donna e non dell'uomo che cedeva alle sue lusinghe sebbene non fosse sua moglie...
"Padre Sergio" ****
Un bel racconto, ma non è il migliore tra quelli raccolti in questo libro.