Romanzo nerissimo. Jean con la sua banda compie spettacolari e sanguinose rapine che lo portano sulle pagine dei giornali come nuovo pericolo pubblico. Anarchico e rivoluzionario, oltre che criminale, inizialmente finanzia con le rapine i lavoratori in sciopero, poi visti gli eccessi di violenza viene scaricato dal gruppo clandestino con cui collabora, così continua in proprio in una sorta di lotta contro il mondo. “La vita è uno schifo” è la frase che ripete come un mantra per giustificare le sue azioni. Senza scrupoli e sleale anche nei confronti dei suoi stessi compagni, che inganna senza pensarci due volte per il proprio capriccio o tornaconto, la sua è una personale battaglia che diventa ben presto una parabola verso l'inevitabile conclusione, un lungo suicidio. Unico punto debole è Gloria, la femme fatale di cui si innamora perdutamente, protagonista dei sogni notturni: ma Gloria non fa parte del suo mondo, è sposata, non sa che è il ricercato di cui i giornali scrivono ogni giorno, perchè di fronte a lei e al marito Jean si trasforma e diventa un'altro, mansueto, quasi imbelle..
Ambientato nelle periferie parigine, spesso grige e piovigginose, tra viali semideserti, case isolate, alberghetti e locali di second'ordine, il romanzo non è solo azione, anzi sviluppa una lucida e fredda analisi introspettiva dei protagonisti a partire da Jean, e dal suo nichilismo, dal suo rifiuto della vita che però alla fine lo porterà a dire “mi sarebbe tanto piaciuto vivere”...
Scritto da Leo Malet nel 1947 e pubblicato in Italia solo nel 1992, primo di una trilogia nera (Il sole non è per noi e Nodo alle budella gli altri titoli, sempre molto “ottimistici”), La vita è uno schifo è noir con tutti i crismi del genere, che si legge rapidamente, con pochi attimi di tregua, forse non perfetto, ma consigliatissimo a tutti gli appassionati del genere e non solo. Quattro stelle.
In questo romanzo Leo Malet, classe 1909, ci porta nei vicoli della metropoli, avvolti dalla nebbia di Parigi e dalla precarietà degli incontri. Sono gli anni della banda Bonnot, e delle prime rapine organizzate in una miscela di militanza e malavita. Scompare così la precisa definizione dei ruoli, per lasciar spazio all'intreccio che l'autore sviluppa magistralmente. Ed è proprio la narrazione fredda e analitica ma anche ricca di emozioni e personalità contrastanti, a creare nel lettore prima un dubbio ed un'assenza di giudizio, e poi senz'altro, una sorta di immedesimazione con il protagonista e la sua perenne ricerca di un po' d'aria, di una possibilità che non sia la penombra dei vicoli e nemmeno le camere spoglie dei quartieri popolari.
Malet tra i primi mise in evidenza la costruzione psicologica e antropologica a scapito dell'azione che di norma prevede un poliziesco; è quindi,a far la differenza nei romanzi della "trilogia nera" l'aspetto individuale e l'analisi dell'ambiente, che fanno da elemento determinante nel costrutto dell'opera. Forse troppo spesso si ha l'impressione di una qualche forzatura, quasi che l'autore in realtà non sia mai riuscito a trovare una propria cifra espressiva che però, in lunghi periodi, lascia incantati per la poetica e le riflessioni che ne vengono fuori. Insistendo artificiosamente un po' troppo sulla "spontaneità" del linguaggio, non sempre la narrazione trae tutto il suo magnetismo, mettiamoci anche le traduzioni spesso scarse, e ne viene penalizzato per l'interezza dell'artista che in realtà ha rappresentato. Influenzato da alcuni poeti delle avanguardie e dalla corrente filosofica esistenziale, quella che precede Sartre, considerava i suoi personaggi sempre e comunque dei "fuori linea" e soprattutto delle vittime predestinate. Dalla povertà, dalla guerra, dalla violenza, e da tutte quelle imposizioni che lo stato, il potere e il buon senso comune, esercitavano sulle classi disagiate e subalterne, ed ancor di più su quella "nuova figura" che apparirà con i reduci della prima guerra mondiale, alienati e dispersi, portatori dei loro malesseri e poco inclini ai compromessi di una comunità che li lasciò soli con i propri incubi. L'autore, anarchico militante, con competenza e mai con banalità, ci teneva a premere su queste contraddizioni." La vita è uno schifo" è quindi già dal titolo un rifiuto totale, una forma nichilista e individuale che non lascia presagire mediazioni o soluzioni facili. Come dice Bernardi, suo fedele traduttore da sempre, tutta l'opera di Malet è un richiamo alla liberazione e, seguendo la psicanalisi o l'antropologia, fin dall'ambiente originario dell'infanzia, tra i vicoli malsani da adolescente o nelle patrie galere dopo i primi reati, il giovane Jean non ha mai scelto, e mai gli è stata data l'opportunità di farlo. C'è sempre stato qualcuno o qualcosa che aveva già deciso inizialmente il suo vivere, formando il suo carattere e le sue esperienze. Crescendo lontano dal rassicurante centro cittadino, in un mescolarsi tra crimine e desolazione Jean Fraiger oltre alla sua rabbia e a i suoi intenti rivoluzionari, non ha niente, o quasi; il sentimento, la parte più in luce che è in lui, fa un tentativo per cambiare le cose...ma la seducente Gloria, femme fatale irragiungibile, è distante galassie nella diffidenza e solitudine del giovane e, quel che gli resta più vicino in definitiva, è sempre la sua lotta controversa in nome di princìpi rivoluzionari rabbiosi o velleitari, che la sua banda trasformerà in violenza incontrollata portando tutti nella via del non ritorno. Dopo un particolare dialogo tra il protagonista e uno psicologo che tiene in ostaggio(che dà l'ultima linfa lirico/irrealista alla trama)Malet offre una carrellata da cinematografo d'autore: "Mi sarebbe tanto piaciuto vivere" è uno degli ultimi pensieri-desiderio del giovane Jean, ormai braccato come un animale. Malet apre la sequenza di una vita ormai rapita dal delirio, dall'implacabile fatalismo di uno schifo di esistenza, e lo fa senza sensazionalismi né retorica. Il suo scrivere piuttosto, sembra anticipare temi e stili con mezzo secolo d'anticipo; un punto d'osservazione non solo narrativo, ma che sonda la psiche umana o le implicazioni sociologiche di ognuno...un noir di tutto punto con parti scientifico-sociali solo accennati, come la trama richiede, ma acuti e veritieri. Nella sua poetica si possono intuire sprazzi di surrealismo, da riuscire negli ultimi capitoli, a incantare il lettore con sentimenti difficili da codificare: bisogna leggerli, come bisogna ascoltare i Velvet Underground. E se fuori piove anche oggi, il sole forse non è per noi, come diceva Malet in un altro suo romanzo. E nel suo infinito, questo autore così nero o a tinte grige, lo si ritrova ancora in alcuni gruppi punk contemporanei, mi vengono a mente "Le luci della centrale elettrica", o una scritta che visse per anni sotto casa mia, e in qualche modo mi influenzò non poco. Diceva, "Uscite dalle case se volete vivere". Il talento di questo scrittore è quello di aver intuito linguaggi totalizzanti, è il rappresentare la Parigi nebulosa, spesso crudele e tutt'ora magnetica e affascinante.
“La vita è uno schifo” è una frase che il protagonista usa spesso. A volte, per giustificare i suoi stessi gesti. Convince i complici che Marcel è divenuto un impiccio e li farà arrestare. Meglio ucciderlo... “Il noir non ammette il lieto fine”, scrive Luigi Bernardi nell’introduzione, e l’intreccio di Malet porta dritto al precipizio.
La vie est déguelasse ha un ritmo frenetico, strepitose scene d’azione, psicologie ridotte all’essenziale. La scrittura è in prima persona. Il protagonista è un erede distorto di Jules Bonnot, il fuorilegge anarchico che usava le rapine e la pistola per colpire il potere. Malet destabilizza il romanzo poliziesco francese e ridefinisce il paradigma del noir.
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