Ammetto di essere un lettore poco incline a seguire le mode e a buttarmi a pesce sui best-sellers del momento, e le poche volte che mi capita in genere me ne pento. Mi è venuta la curiosità di leggere questo libro solo dopo che, in un testo di argomento scientifico pubblicato di recente, se ne diceva un gran bene. Per chi non avesse avuto ancora l’opportunità di affrontare un “corpo a corpo” con il discusso (talvolta apertamente contestato) romanziere francese, valga un amichevole consiglio: dimenticate lo stile elegante, le vicende commoventi, le belle perifrasi cui i grandi narratori d’oltralpe ci hanno abituato fin dall’Ottocento. Houellebecq fa a pezzi tutti i modelli letterari consueti e gode nel rifilare ai lettori novizi una quantità abnorme di dolorosissimi pugni allo stomaco. Riapre ferite mai rimarginate del tutto nella disastrata società contemporanea, mette a nudo i legami familiari improntati al puro edonismo, e attraverso le vite scombinate di due fratellastri, Bruno e Michel, dediti unicamente alle loro rispettive e antitetiche ossessioni, disegna un percorso di insopportabile sofferenza cui nessun essere umano sembra potersi sottrarre. La legge entropica dei sentimenti – è l’avvertimento implicito dell’autore – dice che l’infelicità dell’uomo aumenta con l’aumentare della conoscenza. Il processo è irreversibile ed il carico (crescente) della sofferenza universale ci dà la misura del trascorrere del tempo. Ma non c’è proprio una via d’uscita?
Ironico e crudele al tempo stesso, Houellebecq alterna momenti di esilarante descrizione di manie e modi d’essere di una certa élite intellettualoide, ormai ridotta a caricatura di se stessa, a scorribande minuziose – e volutamente sgradevoli – nei labirinti della sessualità distorta e sempre eccessiva di alcuni dei protagonisti, l’erotomane Bruno in primis. Ma la pornografia – di cui l’autore è stato accusato per il linguaggio esplicito che è solito utilizzare nei suoi scritti – non c’entra nulla. Qui la partita si gioca tra la possibilità del riscatto (sempre attraverso il dolore) e il rischio della disumanizzazione della specie, perfino della sua eventuale estinzione. E inquieta e diverte al tempo stesso che nell’epilogo, evocando il ‘Mondo Nuovo’ di Huxley, si auspichi una nuova strategia riproduttiva che faccia a meno dei complicati risvolti sentimentali. Il “Superuomo” asessuato e privo dei fastidiosi conflitti psicologici, trova la sua piena realizzazione nelle intuizioni di Michel, il “razionalista” che non ha mai conosciuto l’amore. Una conclusione davvero entusiasmante per tutti coloro che stigmatizzano il lato disumano della scienza.
E allora, evviva Bruno?
Non l'ho proprio capito. Mi sembrano tutti pazzi.
Anni che non mi capitava di leggere un capolavoro del genere. Splendido!! 5 stelle. Consigliato: decisamente sì
Come sempre quando leggo Hoellebecq sono in crisi. Non posso negare che sia uno degli scrittori contemporanei più “vivi”nonostante tutto, cioè nonostante il suo nichilismo. Per questo sono spinta a leggerlo. Ogni suo libro è una masturbazione intellettuale, questo appena letto lo è al massimo: l’effetto nell’immediato è fastidioso. Nelle vicende dei due fratellastri Bruno, con un disturbo ossessivo della sessualità, e Michel, emotivamente vuoto e indifferente a qualsiasi emozione o sentimento, ciascuno una particella elementare studiata al microscopio dallo scrittore, c’è emblematicamente riassunta l’evoluzione nichilistica della società consumistica erotico-centrica e ipermaterialistica del ventesimo secolo. Questo è il grande merito dello scrittore, che come uno scienziato disseziona le sue vittime –i protagonisti dei romanzi-e le studia al microscopio, fornendo al lettore una visione cinica, fosca e alla fine annichilente del destino della specie umana (con un filo di fantascienza che sinceramente non ho gradito).
Però il romanzo non è solo questo, è soprattutto una sequela di masturbazioni, di scopate, di pompini, su cui lo scrittore si sofferma compiaciuto, in un crescendo di volgarità per arrivare a picchi di orrore da serial killer, mi viene da dire, in cui non è più sesso, è violenza allo stato puro, è disumanità, è qualcosa che va oltre l’immaginazione più nera, è morte (mi riferisco alla parte sulle sette sataniche, sono stata male tutta la notte dopo avere letto quelle pagine). Questo per dire che ci sono pagine che non sono necessarie per la storia, ricolme di sesso fine a sé stesso, sulle quali lo scrittore si dilunga eccitato e che a me hanno soltanto irritato e in alcuni casi fatto orrore (mi riferisco, ad esempio, alla parte centrale su il Luogo del Cambiamento, o alla parte sulle sette sataniche che mi ha lasciato sconvolta).
Per questo il mio giudizio su Hoellebecq continua a oscillare, ho voluto riprovare a leggerlo, ma credo che ora basta, è troppo.
Houellebecq è un caro amico.
Me l'ha consigliato un MIO caro amico presentandomelo a questo modo.
"Per me è un classico moderno, ma in fin dei conti, quando vi ritorno, ritrovo sempre un caro amico".
- e se vale la massima per la quale gli amici dei miei amici sono miei amici...
Ma in ogni modo ero scettico, per la mia ormai radicata avversione verso i contemporanei - più ancora verso quelli considerati "controversi" o che si portano dietro la nomea di volgari, non allineati, radicali e via così.
Leggo anche nei commenti a questo libro le solite sparate "cinico e snob" "scrittorucolo moderno" "il trionfo del narcisismo e del nichilismo senza contenuti"...
Uffa...
La verità - che dovrei poi limitarmi a definirla "la mia", ma con Houellebecq non mi va di essere democratico oggi - è però un'altra, e leggerlo è rincuorante. E non è nemmeno così difficile farsi rincuorare dal suo pessimismo e dalla sua disamina dolente dei rottami di questa nostra società post-cattolica - cose che egli tira lungo tutto il libro (vedendoci giusto e non poco, aggiungerei).
Lo snobismo che gli si imputa non è altro che disincanto; un disincanto che fa il ritmo della narrazione compassato e gli evita d'incagliarsi nel lirismo sensazionalistico che tanto piace oggi. Il racconto placidamente scorre, stoicamente, attraverso le vicende con l'incedere lucido e preciso (scientifico sapendo i suoi studi) di uno storico, non di un aristocratico.
(VIVADIO, e lo faccio senza spoilerare, ma a criticare questo tipo di narrazione, l'avete compreso il finale? Oppure vi siete fermati alle descrizioni delle ammucchiate al Luogo?).
Maledetti voi!
Ad ogni modo, ci sono tre aspetti che mi sono particolarmente cari, e che fanno di questo volume, a mio avviso, uno di quelli che rimarrà - o che, tristemente, dovremmo combattere per far rimanere.
Il primo è l'analisi di base sulla quale si regge tutto il romanzo - finalmente espressa con uno stile che non cerca d'arruffianarsi il lettore, che non s'appiattisce mai, che non si lascia alla faciloneria. Houellebecq discute e indaga i rapporti umani, l'individuo e le sue relazioni con la società che lo circonda, la sua libertà, la portata di questa libertà e il senso intimo della stessa.
È un'analisi sociale dentro e fuori l'uomo, di com'esso possa o non possa fare altrimenti, di come l'ambiente lo influenzi, di come l'ambiente e gli altri uomini ne obblighino le scelte. Un ragionamento sullo spazio d'azione in bilico fra determinismo e caos, fisica e metafisica.
Per usare le parole sue, è la descrizione di una rivoluzione metafisica, e a ben leggerla, si può riflettere meglio su dove siamo venuti. È il moto innescato dalla caduta del cristianeismo le cui onde sono arrivate fino ad oggi; dei risultati della liberazione morale e sessuale, dell'approdo a un materialismo sadiano (da De Sade ndr) senza più alcun tipo d'inibizione, senza più alcuno scopo.
I rottami d'una nuova speranza naufragata per quella che Huxley ne la sua "l'isola" non aveva considerato: l'avidità di individualismo dell'uomo.
Bellissimo, dai... eh su! Quel grasso senso di disastro imminente che ci pervade tutti sfamato così magnificamente? A me dà un senso di maestà, come stare a guardare da un'altura la fragorosa e inarrestabile onda di tsunami abbattersi sulla costa...
... va beh.
Il secondo aspetto che mi ha colpito è come viene trattato il sesso e il ruolo che ricopre nelle relazioni fra i personaggi. In questo romanzo ce n'è molto, ed è descritto senza trasporto e con terminologia "tecnica". Ben, signori, la dolente indifferenza con la quale i personaggi si trovano coinvolti in questi atti di "violenza" è così limpida e così pura da far spavento. Il cinismo e la disperazione con le quali la gente qua dentro fa sesso è di una umanità che fa tremare i polsi. E se il vostro spirito borghese riesce ad andare oltre qualche leziosa volgarità, vi sarà facile trovarla.
- Per entrare nella narrazione. La scena dell'incontro nella vasca fra Bruno e Christine, quando questa, prima lo porta a galleggiare sulla superficie dell'acqua e poi gli pratica sesso orale, è descritta così bene e con una leggerezza tale, da sembrare una pagina d'un sudamericano.
Il terzo è la storia in sé. Drammatica e contemporanea senza essere volgare (giuro) o meschina. Senza risultare stonata, senza eccessi tipici della letteratura d'oggi, perduta fra facili sensazionalismi (come detto) e premure verso gli analfabeti funzionali. Ogni riferimento è sia iper-letterario che iper-realista, la semplicità che s'adocchia nel cambio di registro è magistrale, ogni atto umano è perfetto nella cornice della storia d'ogni personaggio. Il dolore di Michel e di Bruno e di Annabelle e di Christine, delle madri e delle nonne, dei padri, dei figli e dei nipoti, è il dolore di una generazione abbandonata da ogni cardinale, consapevole della propria finitezza, della propria nevrosi, della propria enorme e gelida solitudine - dell'incapacità di legarsi, di uscire dalla propria individualità o dal proprio bisogno di moltitudine - o semplicemente da un desiderio che con gli anni si straccia e s'insozza con la nostalgia della giovinezza.
È anche - come si troverebbe in un romanzo di Elsa Morante - la maledizione del sangue, della famiglia, di una storia disperata che si ripercuote sopra ogni generazione, con vigore e crudeltà, senza lasciare scampo.
È un caro amico Houellebecq.
Un caro, caro amico.
Che sa di noi più di quanto ci saremmo aspettati sapesse.