Che altro era una rivendita di auto usate, se non l’incarnazione della Oakland più degradata?
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«Nuovo come il domani. È parte del mondo atomico. Capisci: moderno, tutto moderno.
Non mi sembra vero di farne parte.»
Romanzo realistico contenente cifre che saranno della fantascienza di Philip K. Dick: un protagonista di basso profilo che cerca di disinnescare un sistema, impersonato dall’emissario di un potentato economico, di una concezione degli affari monopolista e onnipresente che conferisce a Chris Harman possibilità da demiurgo, nel male e nel bene di chi entra nella sua orbita.
È l’America degli anni Cinquanta, delle cartoline di Cadillac e Chevrolet coi loro azzurri vividi, un mondo che immaginiamo e la cui immagine Dick si affretta a demolire con i romanzi mainstream che gli editori rifiutarono rinviandolo nei ranghi della fantascienza dove, lo capirono gli editori? scrisse delle stesse questioni. Sono lontani il rock e la contestazione, i movimenti e gli hippy, ma germinano gli elementi che porteranno allo stravolgimento. Hanno i colori delle cartoline di Cadillac e Chevrolet ma non la corrispondente gaiezza rassicurante: finita una guerra ne è cominciata un’altra, la politica da McCarthy in poi si fa più paranoica (anche se, a onor del vero, alcune di quelle paranoie avevano fondamento nella realtà delle cose), i negri sono sempre i negri, perfino in California, perfino dove possono essere imprenditori.
Due Humpty-Dumpty si muovono nel romanzo, per quanto limitatamente possa muoversi l’uomo-uovo di Carroll.
Fergesson, reazionario, razzista, ma anche self-made man del tempo che fu, l’uomo americano capace di costruire la sua propria fortuna con il lavoro e la lotta contro le avversità. È Humpty-Dumpty, collocato dove sta, nell’unico posto in cui può stare, senza rendersi conto che la fortuna gli ha tributato il dovuto e non ha più crediti da accordargli. Cade quando vuole spostarsi verso il mondo nuovo come il domani in cui non c’è spazio per il vecchio pioniere solitario.
Al, che si dà il coraggio con le pillole e per i suoi catorci ricostruisce i battistrada (non è quindi solo Fergesson che si trascina, e cade, sul sentiero in salita, l’unico presentimento di Ma gli androidi) ed è Humpty-Dumpty, poggiato su un unico punto di equilibrio instabile e destinato a cadere in qualunque direzione provi a muoversi, a meno che non accetti di appoggiarsi, alla moglie, per quanto inaffidabile; a Harman, per quanto inquietante; alla solare signora di colore sempre pronta a dispensargli un buon consiglio e forse qualcosa di più.
Al, che non si può ritrarre meglio di quanto abbia fatto l’autore in tre passaggi:
«L’uomo che si rende stupido da solo.»
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«Tu sei così povero che sei tu stesso, il ragazzo di colore.»
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«Che cosa è bello per lei? Qualcosa che aumenta le paure? Qualcosa che rende le nostre vite un po’ più difficili da sopportare?»
Si comprende infine chi, Harman a parte, non è senz’altro Humpty-Dumpty, chi è pronta ad affrontare il nuovo come il domani muovendosi a suo piacimento senza vacillare; non solo, se Harman è il demiurgo che apparentemente fa il male, perché ne ha la possibilità, ma poi accorda a chi incontra possibilità di bene, la moglie di Fergesson apparentemente fa il bene per poi, con disinibito pragmatismo, un’etica che non è quella del marito imprenditore, rivoltarlo per ritrovare il suo proprio vantaggio.
Benvenuti nel mondo nuovo come il domani, a Oakland, CA.
Per chi come me si aspetta un fantascientifico romanzo di Dick... beh, lasciate stare.
Niente astronavi, androidi, mondi alternativi e tecnologia futuristica. Una piccola storia per rappresentare l'America degli anni '50 con i grandi sogni di piccoli uomini che vogliono inseguire il "sogno americano". Ho continuato a leggerlo sperando in una qualsiasi tipo di svolta o di sorpresa narrativa, invece... la noia più totale.
Sinceramente l'ho trovato noioso e troppo troppo lungo.
...ContinuaProbabilmente avrei dato una stella in meno se lo avessi letto in un qualsiasi momento, ma è capitato in un periodo particolare e i pensieri del protagonista mi hanno fatto riflettere, e non poco. Non consigliato per chi è alla ricerca di una lettura facile e scorrevole.
...ContinuaInseguire il sogno americano per il sig. Fergesson significa vendere la sua officina e condannare il sig. Al, che sullo stesso terreno ha una sua attività, a un futuro incerto. Il libro si dipana tra le figure dei due nemici-amici e i loro tentativi di migliorare la propria vita. Fergesson, però, finirà male. Un'America spietata e sporca, popolata da meccanici e imbonitori, si cela sotto la facciata ipocrita degli ideali diffusi da televisione e stampa; il desiderio di lasciare lavori umili o relazioni opprimenti per inseguire un sogno di libertà tipicamente made-in-USA, con risultati tragici. Dick persegue ossessivamente questi messaggi nei suoi romanzi mainstream, ma in questi due ultimi tentativi risulta poco efficace per colpa di storie, personaggi e narrazione fiacchi rispetto al passato, o forse semplicemente ripetitivi. [...]
Leggi tutta la rece: http://beatblog2.blogspot.it/2016/07/philip-k-dick-pt7-uomini-tutti-uguali-e.html
è stato un piacere leggere un Philip Dick non fantascientifico!