Intrigante il tema, avvincenti l'ambientazione e l'intreccio, ma ostica la scrittura e pesante la lettura nel complesso.
Testo che ha ormai più di cento anni, la prima di “il vaso di Pandora” è del 29 maggio del 1905, ma molto più moderno di mille altre pièces teatrali odierne che pensano di essere all’avanguardia, l’opera di Wedekind è un capolavoro da far girare la testa. Schegge di fuoco, frasi secche come dardi acuminati, un testo spiazzante da leggere infinite volte, possibilmente tutto di un fiato come a teatro, e ogni volta ci si trova sorpresi da particolari bellissimi che erano sfuggiti alle letture precedenti e ogni volta si rimane impressionati dalla modernità del testo.
Opera che ha entusiasmato compositori (l’incompiuta “Lulu” di Alban Berg) e infiniti registi teatrali che hanno sfidato il testo in mille scenografie diversissime, a volte bellissime a volte meno.
Un testo che ha segnato la storia del teatro come poi i capolavori di Samuel Beckett o da un altro verso le opere di Bertold Brecht.
Bellissima l’introduzione di Karl Kraus, direi fondamentale alla comprensione dell’opera
ho cominciato a leggerlo per rappresentarlo nella compagnia di teatro amatoriale di cui facevo parte poi abbandonata la compagnia, abbandonato il libro.
Era però bella, per quello che mi ricordo, infatti lo rileggerò e lo finirò!
Frank Wedenkind fu uno dei maggiori drammaturghi tedeschi della fine dell’Ottocento e “Lulu” è il testo teatrale che meglio spiega la grandezza di questo scrittore.
Divisa in due parti, “Lo spirito della terra” e “Il vaso di Pandora”, “Lulu” porta in scena la storia di una donna che durante una sessione di pittura di cui lei è la modella si lascia sedurre dal pittore che la sta ritraendo; il marito scoprendola viene colto da infarto e muore. Ma la donna non è sazia d’amore: lascerà presto anche il pittore per un altro uomo, poi per un altro ancora, e un altro ancora, fino all’infinito. Il finale, troppo cruento per essere qui scritto – forse perché ancora non l’ho digerito – è uno di quelli che lasciano l’amaro in bocca.
Se dovessi racchiudere in poche parole il fulcro dell’opera, direi che “Lulu” è in sostanza la storia di una donna che annienta tutti perché da tutti è annientata.
Causa di un lungo processo che ne provocò la distruzione prima e la salvezza (in seguito ovviamente alla modifica parziale del testo) dopo, “Lulu” è un testo teatrale sconvolgente. Innanzitutto perché riporta in auge l’antica tecnica del monologo, quasi caduto in disuso all’epoca: anche quando ci sono più personaggi sulla scena, non sempre è il dialogo a far da padrone; e così più che uno scambio di battute, lo spettatore assiste a lunghe riflessioni tra i personaggi, che conducono alla riflessione dello stesso spettatore. E la mancanza di un dialogo a livello tecnico e della trama non è un caso: Wedekind ha volutamente portato in scena il dolore di ognuno di noi, che è sempre circondato da oggetti e da persone ma rimane pur sempre completamente solo.
L’opera è sconvolgente anche per la tematica: la donna si fa oggetto per scelta personale, e non per legge imposta. Ed è proprio questo che concede alla donna quella moralità che francamente fino a qualche tempo prima gli era stata sottratta: la donna sceglie come vivere, e non tocca all’uomo giudicarla. Se il fato lo vorrà, ci sarà una giustizia divina, una giustizia superiore a giudicare.
Noi, spettatori nella vita prima ancora che a teatro, possiamo solo guardare.
prima ho visto una riduzione teatrale al Piccolo di Milano, con Mario Piave (bello come il sole!e bravissimo, allora conosciuto solo come amante di Milva -poi tragicamente morto ancora giovane)