Sennett parte dal presupposto che i sistemi di lavoro che connotano il nostro sistema produttivo, e la considerazione che si ha del lavoro in se stesso, soprattutto manuale, non favoriscono il benessere e il diritto degli individui ad esprimere il proprio potenziale. Rifiutare il depauperamento a cui l'idea di lavoro è stata sottoposta significa rimettere al centro il tema del lavoro ben fatto, portato ai limiti della propria perizia tecnica e quale occasione di continuo miglioramento della stessa. La bravura di Sennett, oltre che alla ricchezza di temi e riferimenti portata a sostegno della propria argomentazione, è dovuta al non cadere in una nostalgia per l'epoca preindustriale: per Sennett non è necessario tornare alle corporazioni artigiane, solamente recuperare lo spirito che le connotava. Il testo si suddivide in tre parti: la prima dedicata alla descrizione di come funzionavano le botteghe artigiane ed ai rapporti sociali che ne derivavano; la seconda dedicata al mestiere e alla difficoltà di comunicarlo, di insegnarlo e di come l'innovazione sia spesso frutto del confrontarsi con una resistenza e della capacità di sfruttare un'ambiguità; la terza dedicata alla perizia dell'artigiano, alla sua capacità di essere socievole e non antisociale, all'importanza del gioco nell'apprendimento e del superare una misurazione della capacità che sia meramente quantitativa, i test del QI per schematizzare, a favore di un approccio pragmatico che comporti un investimento in cultura. Sennett auspica una direzione più o meno contraria a quella che va per la maggiore attualmente, in pratica. Del resto il nostro sistema economico, basandosi sulle grandi quantità, non può permettersi l'eccellenza, malgrado la retorica sul merito che ci viene propinata ogni giorno. Al tempo stesso capisco sia difficile, il testo di Sennett scorre veloce, ma è impegnativo per la densità di informazioni che fornisce in ogni singola riga, non è forse più comodo affidarsi ad analisi puramente quantitative, che illudono di una certezza matematica dimenticando le caratteristiche della statistica, che fanno risalire tutto a un sistema neurologico di causa ed effetto assolvendoci da qualsiasi dovere, etico o morale che dir si voglia? Tra un Kant che parla di il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me, e uno studio dell'università vattelappesca che ti dice che non è colpa tua se sei così, ci sei nato, tanto c'è il prodotto xy che ti aiuterà a vita e che è già ad aspettarti in farmacia, la maggior parte delle volte a quale si sarebbe più tentati di affidarsi? Ché, alla fine, è questa la scelta che si fa quasi ogni giorno.
...ContinuaCon il suo L'uomo artigiano Richard Sennett tesse insieme fili storici, artistici, filosofici, sociologici, e altri ancora, arrivando a (ri)costruire una storia del lavoro manuale che attraversa le figure delle botteghe e laboratori medievali delle arti e corporazioni, del nascente artista moderno rinascimentale, del lavoratore settecentesco sfidato e frustrato dalle macchine, degli inattuali ideali ruskiniani; ma anche una filosofia del lavoro manuale che mette in luce il rapporto mano-occhio-cervello e, seguendo l'idea per cui fare è pensare, mostra le lezioni che dalla mano dell'artigiano qualunque uomo può apprendere. Saggio interessante e da leggere anche in chiave pedagogico-didattico-educativa.
...Continuaalti e bassi, è un libro bello, ma a volte troppo lungo. Purtroppo è del tutto assente la cultura materiale dal punto di vista archeologico, antropologico, cognitivo. Qualche riferimento anche al design sarebbe stato utile. Comunque un libro di tutto rispetto.
...ContinuaSi, forse non sarà un grandioso libro, forse alcune delle digressioni storiche e la narrazione di alcuni mestieri sono un pò troppo lunghe. Ma Sennet riesce a spostare la nostra concezione del lavoro, e che solo alcune delle banali certezze che aveva l'artigiano rinascimentale possono risolvere molti dei problemi della devestante realtà del lavoro odierno. Partendo dalle nostre mani, dal nostro cervello.
...ContinuaSento (ma forse mi sbaglio) che Sennett non ha saputo rispondere con questo libro a una domanda che non credo di essere l'unico a percepire come urgente: che rapporto c'è fra l'uomo flessibile (titolo di una delle sue opere più incisive) e l'uomo artigiano? Ho avuto l'occasione di porre questa domanda dal vivo, a una presentazione a fine 2008, ma me la sono lasciata scappare. In questo libro non trovo nessuna risposta (se non un paio di pagine in cui si ripetono cose già dette sull'uomo flessibile). Vi trovo solo molte e lunghe digressioni (alcune apprezzabili, soprattutto quelle su musica e architettura) sulla natura dell'uomo artigiano, colme di disambiguazioni senza dubbio utili ma per niente nuove o illuminanti. Il libro manca inoltre di proporre nuove modalità di realizzazione dell'artigianalità negli anni 2000 (l'esempio di Linux evidentemente non è sufficiente). Il testo si pone come primo di una trilogia sulla cultura materiale, quindi forse tutto è ancora da vedere (anche se non so se avrò voglia di leggere altre cose nuove di Sennett, dato che trovo ancora più incisive quelle vecchie).
...Continua