Rovistando in libreria nel reparto 'Edizioni Mediterranee' e cercando a fianco un libro su LinkedIn nel reparto 'informatica' adiacente, vedo sulla spalla di un libro il marchio dell'editore 'Lindau'! Spinto da ciò do un'occhiata meglio e vedo un titolo interessante, ma soprattutto un sottotitolo per me irresistibile (dal fordismo al tomfordismo e oltre) e non posso fare a meno di acquistarlo, complice anche il prezzo sceso dalle 32€ al momento della pubblicazione (2012) alle 25€ del prezzo promozione di fine 2015! Credo che gli argomenti siano ancora in gran parte attuali e soprattutto che nel frattempo non sia stato fatto nessun testo migliore in materia di marketing della moda!
Proseguendo la lettura, posso solo confermare le sensazioni iniziali, dovendo solo segnalare un fattore, non causa dell'autore ne dell'editore, ma dell'inesorabile scorrere del tempo, ovvero che alcuni esempi accuratissimi per l'epoca (parlando del connubio mode ed elettronica cinque anni sono una vita), ma inerenti ad esempio tre brand della telefonia, Apple, Nokia e Blackberry, ci ritroviamo a oggi con gli ultimi due nomi del tutto inattuali! Sempre nell'ambito Samsung ed LG, allora equiparati, nello scorrere del tempo sono arrivati ad avere sorti nel mercato significativamente molto diverse. Così è!
Molto interessanti invece alcune profilazioni generazionali e altre descrizioni che fa l'autore al di fuori dello stretto campo del fashion, molto 'illuminanti'!
Estrarre da questo corposo saggio di Danilo Venturi un pensiero sistematico sulla moda e sul lusso nel loro momento attuale di evoluzione rassomiglia un po’, mutatis mutandis, all’improbo sforzo che debbono compiere gli studiosi di Nietzsche per ricavare dalle sue opere qualche linea interpretativa coerente: anche Venturi procede per salti, per illuminazioni, per suggestioni, per esempî, creando spesso richiami ed echi da un capitolo all’altro, che vanno colti e riannodati da un lettore attento e paziente, come a seguire il corso erratico d’un torrente carsico che solo a tratti riemerge alla luce dove meno ci si aspetta, o l’intreccio delle voci di una fuga, che fluiscono sempre, ma in certi passaggi si perdono di vista. Venturi esige insomma che il suo lettore sia sveglio e creativo, non un semplice recettore passivo di teorie preconfezionate: il che rende senz’altro entusiasmante e frustrante insieme la lettura della sua prosa densa e instancabile. Alla fine tuttavia, almeno per me, l’entusiasmo ha avuto la meglio sulla frustrazione: questo libro trabocca di idee tanto quanto di citazioni, le quali vanno dai saggi di marketing a quelli di storia della moda, dalla sociologia al rap, dalla pubblicità alle collezioni storiche. Pure, in mezzo a questa foresta spessa e viva, manca proprio ciò che di solito costituisce la delizia degli esperti del settore, ossia i diagrammi e le immagini: Venturi si rifiuta di utilizzarli per una scelta meditata, evitando così di cercare scorciatoie ingannevoli e comode, ma anche di umiliare, come afferma egli stesso nella prefazione, un oggetto carico di significati qual è l’immagine fashion, la quale infatti rischierebbe di degradarsi a mera decorazione o esemplificazione del testo scritto. In un mondo tanto bulimico di foto, di video, di schemini prefabbricati, già tale principio di metodo assume un valore assai forte di rottura, quasi di provocazione; provocazione però efficace, perché riconduce sul terreno del logos i fenomeni studiati: sia pure d’un logos inquieto e frantumato com’è attualmente inquieto e frantumato, e spesso difficilmente leggibile, tutto ciò che attiene alla moda e al lusso. Le interpretazioni economicistiche o puramente estetizzanti, peggio che insufficienti, si rivelano dunque illusorie, traditrici e dannose, giacché perpetuano una stasi creativa, una stanchezza, una decadenza percepite in maniera diffusa ancorché confusa, che a varie riprese questa o quella voce si alza a denunciare, senza peraltro, di solito, saper indicare vie d’uscita diverse da quella, facile ma suicida, dell’anti-moda. Le strade additare da Venturi sono molteplici, perché la realtà odierna va compresa con uno sguardo sfaccettato e curioso. Resta da vedere se, in un contesto che appare soprattutto dominato dalla smania di guadagno facile nel brevissimo termine, si cerchi e si voglia davvero uscire da una crisi del settore che non è, come pensano gli ottimisti, un mero riflesso d’una crisi economica generale. Come canta Guglielmo in Così fan tutte, è sempre bene il dubitare un poco in questo mondo. Però fin che esisteranno persone con l’acume e l’amore verso luxury & fashion che animano l’autore di questo saggio, è bene anche continuare a sperare.
Dopo le lodi, mi sembra equo ricordare però anche qualche difettuccio del libro, non nel contenuto, ma nel modo in cui si presenta: i refusi, purtroppo, sono diventati endemici nella saggistica odierna, visto che gli editori tendono a risparmiare. Tuttavia non saprei se attribuire a Venturi o al proto un Burberry prosum (anziché prorsum: la forma prosum dell’avverbio fra l’altro esiste davvero, ma la casa inglese a buon diritto non la usa, trattandosi d’un arcaismo che si confonderebbe col ben più comune prosum verbo) ripetuto due volte nella stessa pagina; ed è senza dubbio un lapsus dell’autore l’attribuzione a David Lynch della pellicola Lost in Translation: entro un discorso tutto incentrato su Lynch, si tratterà d’una svista per Lost Highway; ma nessuno se n’è accorto all’interno della casa editrice? Anche perché chi è l’editore? Lindau, che stampa pure una collana di cinema. A volte il destino fa giustizia, ma in questo caso possiamo dire che l’ha fatta in maniera un po’ burlona.