Da piccola piangevo spesso per cose che gli altri consideravano poetiche o divertenti, tipo il circo, i film di Charlot o i fumetti di Paperino. Con Marcovaldo andò allo stesso modo: troppo forte l'aura di povertà, le minime vicende da umiliati e offesi, quel sentore di cavolo bollito e stanzette stipate di figli con il bagno in fondo al ballatoio che trasudavano da ogni pagina. Mi disperavo per le sue disavventure, sentivo il peso di quell'ingiustizia esistenziale, avrei voluto salvarlo da quella città orribile e grigia piena di rumore, picchiare il vigile, la padrona di casa, il caporeparto, il commendatore e gli altri prepotenti che lo vessavano quotidianamente. Insomma, io questo libro l'ho odiato a pugni stretti, come solo sanno fare i bambini. Maledissi la maestra che ce l'aveva appioppato e tutti quei piccoli bugiardi leccaculo che scrivevano chebellomarcovaldo! nei temi, mentivano e lo sapevo.
Speravo di rileggerlo con gli occhi della saggezza, del disincanto e della maturità ma purtroppo le reazioni sono state identiche ad allora, con l'aggravante che nel frattempo i commendatori sono ormai praticamente estinti (un po' anche i capireparto, a pensarci bene). Adesso esco e vedo se riesco a picchiare almeno un vigile.
Delizioso. Letto alle elementari ma è un libro senza età.