Difficile dare un giudizio su questo libro. Ferris scrive meravigliosamente, però sembra compiacersi troppo della sua bravura e compiere un ottimo esercizio di scrittura e basta. Mi è mancato un po' di cuore, che ho trovato soltanto nel finale. Tuttavia il libro non può scivolarti addosso, ti si appiccica sopra, e non potrebbe essere altrimenti perché la malattia ed il dolore che essa provoca non solo su chi ce l’ha ma su chi vive con lui li viviamo tutti prima o poi, purtroppo.
Nel romanzo sono raccontati gli effetti devastanti di una malattia sconosciuta (come dice il titolo) che impone al corpo di Tim, un avvocato newyorkese all’apice della carriera, di camminare senza sosta fino a distruggere sé stesso per gli stenti e la fatica. Il corpo di Tim è dilaniato dalla sofferenza, ma quanto può dolere la sua anima di fronte a tale devastazione, che rovina la vita di Jane, sua moglie, e di Becka, sua figlia?
Un libro angosciante, che, come ho detto, per la tematica affrontata, tocca nel profondo. Avrei soltanto voluto emozionarmi di più e non solo nel finale.
Tim è un avvocato di successo, è ricco, giovane e sano, ha una bella moglie ed una figlia. Improvvisamente una malattia misteriosa (non conosco il tuo nome si riferisce alla malattia) lo colpisce: senza preavviso le sue gambe cominciano ad andare e lui non è più in grado di smettere di camminare. E cammina per chilometri, salvo poi cadere esausto, ore dopo, nel primo posto che capita.
La storia, basata su una malattia e sulle relative conseguenze, è deboluccia in quanto abbastanza scontata e già vista. Premetto subito che la mia critica non è rivolta alla situazione in sé (malattia e sua gestione), bensì a come questa è trattata nel libro.
Dunque. L'introspezione del personaggio è quasi del tutto assente. Per pagine e pagine assistiamo ai vagabondaggi di Tim senza nemmeno saperne il motivo, senza sapere cosa gli passi per il cervello. Il personaggio della moglie è soltanto tratteggiato. La figlia conduce vita a sé e partecipa solo marginalmente alla narrazione. Manca comunicatività, manca soprattutto empatia con il lettore, che non si sente affatto parte della storia.
Tim cammina e cammina. E questo l'abbiamo capito. Ma l'autore pensa che no, non l'abbiamo capito. E ce lo spiega e ce lo rispiega e poi ce lo rispiega un'altra volta. Senza pietà. Pagine e pagine di camminate (si vede che voleva stancare anche il lettore, oltre che Tim).
Proviamo ad essere seri. Perché Tim deve camminare fino a morire di fatica e di stenti? Cosa ci voleva dire l'autore? L’uomo occidentale, ricco e tecnologico, pieno di certezze, deve soccombere all’irrazionalità del destino? L'uomo, che combatte per trovare un senso in questo mondo, nonostante l'amore per moglie e figlia non è in grado di mantenerne vivo il rapporto?
Non lo so, ogni ipotesi è plausibile e lasciata aperta. Io personalmente non ho colto il punto.
Per me "Non conosco il tuo nome" è un romanzo dilatato, angosciante, deprimente, che gira a vuoto e che mi ha annoiato a morte.
Dire sopravvalutato è ancora dire poco....
Ah, dimenticavo. In quasi tutto il romanzo il sesso è quasi inesistente. Improvvisamente, verso la fine, la moglie per riportare a casa il protagonista gli sussurra alle orecchie:
“Dimmi che non senti la mancanza della tua lingua nella mia fica. Dimmi che riesci a trovare un senso a questo mondo senza questo, senza le tue labbra nella mia fica fino a farmi venire”.
Due brevissime considerazioni:
1) i bravi scrittori dovrebbero cercare di scrivere senza genere. In altre parole dovrebbero far parlare gli uomini come uomini e le donne come donne. Una frase come quella scritta sopra la può pensare solo un uomo (vorrei sapere come fa a sapere una donna cosa si prova a...).
2) Ma era proprio necessario utilizzare questo linguaggio? Questa frase è bislacca e non pertinente con il resto del libro. Forse voleva scuoterci un po' dalla noia?
Romanzo centrato sulla sofferenza provocata da una malattia sconosciuta che porta Tim, avvocato affermato, a camminare ininterrottamente per molte ore contro la propria volontà e in qualsiasi momento, sconvolgendo così la sua vita agiata caratterizzata da un lavoro importante, una bella casa, una moglie che lo ama, una figlia. Direi, meglio, un romanzo centrato sulla "fuga" di Tim dalla propria vita, dal proprio quotidiano. Questa "malattia" che nessun specialista riesce a diagnosticare, allontana Tim dal suo mondo, lo rende solo, apparentemente condannato a vagare, ma nello stesso tempo libero da impegni, costrizioni, regole, abitudini. E' forse questo che Tim inconsciamente vuole? E il rapporto con la moglie così intimo e nello stesso tempo così difficoltoso non ci dà la misura della sua incapacità di affrontare la realtà, nella consapevolezza che la felicità, se esiste, non può durare in eterno?
Scritto molto bene, ad un certo pinto ho avuto la sensazione di un lieve dilungamento, ma il finale è appassionante e rivelatore. Presto il terzo romanzo di JF.