" l'intelligenza senza volontà non porta a niente, non è così?... ma la volontà senza intelligenza?... catastrofe!... ecco hitler!"
Più compatto del precedente "Da un castello all'altro" e più avvincente, almeno nella parte berlinese; meno episodico nella seconda parte, ma rimane il "nuovo" stile celiniano (rispetto a quello di "Viaggio al termine della notte") ancora distante dai miei gusti; mi prendo l'impegno di terminare la trilogia per un giudizio finale.
...Continuahttps://medium.com/@lauratestoni/perch%C3%A8-leggere-trilogia-del-nord-di-c%C3%A9line-89d334635070 un memo sulla Trilogia del Nord
"Facciamoci due risate sopra!... no, lui non ride,
prende troppo sul serio... finisce che si fa venir male,
gli avvenimenti sono come l'amore,
prima sono tutto ciò che esiste di grave, di palpitante,
e poi nient'altro che grotteschi... "
Non voglio farvi impressione, ma insomma le cose... il luogo...
"vediamo quel che guardiamo e non guardiamo se non quello che abbiamo già in mente"
"Il fatto è che la vita continua, anche se non è da ridere... oh, far finta di credere all'avvenire!... certo il momento è delicato, ma tu sai che con fiducia, grazia, e buon umore, vedrai il fondo delle tue disgrazie... "
...Continuail genio di sta Civiltà è di aver trovato delle ragioni alle peggio paranoiche stragi... il senso della Storia!...
Nel secondo capitolo della Trilogia del Nord Céline dà il peggio di sé. Consapevole (forse compiaciuto) della sua fama, sa che nessuna captatio benevolentiae, nessuna posa gradevole lo libererà dallo stigma di public enemy #1. Insomma, si comporta come pensa che il mondo si attenda da lui.
Pur cronologicamente anteriore al precedente volume, Il castello dei rifugiati, la vicenda è successiva da un punto di vista logico. Non più confinata in un luogo decadente e incantato, racconta della peregrinazione tra le macerie della Germania prossima alla disfatta.
La disfatta la si percepisce già nei personaggi del racconto, un’orgia di egoismi, meschinità, bulimie, perversioni. Incontriamo un avvocato miracolosamente scampato alle bombe a cui appare Hitler, un vecchio portatore dei valori militari eroici che ama farsi frustare le chiappe nude da un harem di bimbe polacche, prostitute confinate in campagna per curare le malattie veneree che si ribellano per andare incontro ai nuovi clienti inglesi, prigionieri francesi che assurgono al rango di fiduciari e comandanti, zingari e obiettori di coscienza scampati miracolosamente alle purghe hitleriane.
Céline, asceta nemico del fumo e dell’alcool, dagli appetiti sessuali ormai spenti, si muove come un osservatore cinico di questa umanità marcia, provando maggior simpatia per un collega medico ufficiale e per una SS di campagna che per un’umanità votata a morire sotto le bombe. Ribalta la storia inventandosi un fratello di Göring, psichiatra dal volto umano, che arriva nel finale come un demiurgo a riannodare quanto si può.
Chi si salva, allora, in questa serie di gironi danteschi sempre più bassi? Le bestie. Il gatto Bébert trasportato in un sacco, il cane Iago gigante denutrito, le oche e le vacche che fanno lega tra di loro contro ogni intrusione.
Céline, raccontando di un mondo allo sfacelo, voleva mostrarci che nel 1961, quando scrive con l’etichetta del maledetto, nulla era in fondo cambiato. Che gli uomini cercano sempre e inesorabilmente la propria distruzione.
Se qualcosa di buono possiamo trovare in Céline, è sicuramente un interrogativo forte: siamo capaci di contraddirlo con i fatti?