Hai la netta impressione di aver letto uno di quei romanzi che fra cent’anni saranno ricordati come classici, come un capolavoro assoluto, come un terribile resoconto di cosa volesse dire stare al mondo nei primi anni Duemila. Ecco, io c’ero e lo lessi, quel romanzo.
Che mette in relazione un ragazzino timido di una qualsiasi provincia del mondo (mica solo quella americana) con l’essere diventato un soldato pluriomicida (e questo sì, soltanto profondamente americano) che sbarba dal terreno bambini afghani. Oppure che racconta lo stupro di gruppo come un abominevole rito di maschi annoiati, post-adolescenti con la stessa sensibilità di un macellaio per quello splendido pezzo di arista con l’osso che ti vende voluttuosamente sporgendosi dal suo bancone. La vita e la morte, i futuri possibili di alcuni liceali americani luminosamente traditi dalla realtà, dal quotidiano incrociarsi di gelosie, invidie, ipocrisie e cattiverie spinte oltre ogni recinto. Se l’Inferno fosse un romanzo potrebbe essere come raccontato qui. Per fortuna, ci fermiamo prima. Nella banalità del buon senso che ci permette di sopravvivere ed evolvere ma, di sicuro, non assomiglia per niente alla grande letteratura. “Ohio” gli assomiglia alla grandissima.
Complesso ritratto di un gruppo di ragazzi di una triste cittadina dell’Ohio. Inizia piano, in maniera confusa e ci vuole parecchio per capire la tecnica narrativa multi spazio temporale utilizzata dall’autore. Ma quando ci si abitua si assaporano i vari drammi e le molteplici relazioni delle vite dei vari protagonisti. Tante storie per un unico labirinto che tutto sommato non viene pienamente “smatassato”. E questo è il bello di un libro strano, originale, emozionante e coinvolgente che ti porta giù, nello stesso abisso dei personaggi narrati.
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