Ognuna delle (purtroppo) poche opere qui contenute meriterebbe una recensione, mi limito a La Morte di Danton, dramma storico sulla Rivoluzione Francese e con ogni probabilità suo capolavoro assoluto.
Qui Büchner approfondisce il discorso sul fatalismo trattandone la accezione più pura, ossia quella storica, e calandolo in un evento relativo al passato recente dell'Europa, mentre in altre opere sarà capace di cambiare punto di vista e applicare il fatalismo anche alle esperienze del singolo, mostrandolo nelle sue conseguenze più tragiche - come nel caso del Woyzeck - o ammantandolo nel velo leggero e frivolo della commedia in Leonce e Lena.
L'opera si regge sul confronto tra le due titaniche figure di Danton e Robespierre e sulle loro due diverse concezioni di rivoluzione. E' questo un tema importantissimo in Büchner, e si esplica in quel momento oltremodo delicato della sua vita che sono i mesi appena successivi alla congiura dell'Assia (nel 1834 egli cercò di rovesciare il ducato dell'Assia tentando di istigare la massa contadina alla rivoluzione, ma sbattè contro l'ignoranza e la paura del popolo, che non lo assecondò). Questo buco nell'acqua non è per lui soltanto una delusione di tipo politico, ma lo segna sul piano personale, gettandolo in una profonda depressione e costringendolo a rivedere il proprio concetto di rivoluzione. Così il suo entusiasmo si stempera in una mesta rassegnazione, e i furori dell'incorruttibile Robespierre, alfiere di una rivoluzione senza fine, lasciano posto alla beffarda noncuranza del più smaliziato e lascivo Danton, che della Francia in rivolta è stato l'eroe ma che con il tempo ha imparato a vedere la situazione sotto la ben diversa luce del fatalismo storico. Annoiato e sfaccendato, Danton si trascina per le strade e i bordelli incurante di tutto quello che gli accade intorno, e anche al sopraggiungere della notizia che Robespierre sta cercando di incastrarlo e mandarlo a morte fa finta di niente e continua nella sua totale nullafacenza nonostante le proteste dei suoi seguaci (che moriranno con lui). Niente di più lontano dal continuo affaccendarsi del suo avversario, sempre impegnato e nel rapporto con il popolo francese e nelle attività del Club dei Giacobini: una vita votata alla res publica, e in rabbiosa opposizione allo sfrenato edonismo di Danton.
Questa irrisolvibile dicotomia in weltanschaaung, abitudini, carattere che sussiste tra i due protagonisti de La Morte di Danton (e di cui lo scontro politico è la punta dell'iceberg) altro non è che la radicalizzazione delle due anime del loro autore, delle due fasi del suo pensiero che hanno come spartiacque i fatti del 1834: animato e pieno di ardore come Robespierre nell'organizzare la congiura dell'Assia, dopo il suo fallimento Büchner si fa molto più vicino al personaggio di Danton, cui tra le righe dimostra inevitabilmente maggior simpatia. E' verissimo infatti che è Robespierre a vincere: in breve tempo infatti i giacobini riescono a imprigionare e mandare a morte tutti i dantonisti (per la verità più propensi alla parola che all'azione); non bisogna tuttavia dimenticare che secondo la teoria del fatalismo storico non è l'uomo a determinare il fluire degli avvenimenti per cui il merito di Robespierre diventa nullo. Al contrario Danton esce trionfatore dall'unico scontro verbale con il suo avversario, riuscendo in poche battute a mandarlo a casa con la coda fra le gambe: a ben vedere egli vince sull'unico campo d'azione rimasto all'uomo, ossia la dialettica, mentre ha solo la sfortuna di essere schiuma sull'onda sbagliata ed essere destinato a morire sulla ghigliottina.
...ContinuaDelle opere contenute nel testo ho letto finora solo il Woyzeck, un testo che procede per frammenti e che racconta le vicende di un soldato tedesco del secolo scorso. Straziante e intenso.