VIVI NEL PERICOLO DI OTTENERE CIÒ CHE È PIÙ DIFFICILE. "Rialta"
Paradiso è il primo romanzo di José Lezama Lima: uscito nel 1966, dopo una gestazione di ben diciassette anni, è ritenuto il capolavoro dell’autore cubano. Accolto con entusiasmo dagli scrittori dell’epoca, il libro fu uno scandalo per la critica ufficiale, che lo considerò ermetico e morboso, soprattutto per le allusioni a relazioni omoerotiche.
"Paradiso, non ha una forma, ma è proiettato in tutte le direzioni, frondissimo albero della conoscenza, in cui si riconnettono, al di sopra degli spazi e dei tempi, fasi e alternanze del pensiero filosofico, magico, religioso."
Paradiso è il racconto di una famiglia, raccontata nello spazio di tre generazioni.
E come in ogni famiglia ci sono protagonisti e comparse. José Cemì Olaya racconta, ricorda, ripensa al padre colonnello, alla madre Rialta, allo zio Alberto, e a sua nonna "dona augusta"
(Che a me ha ricordato tanto Atossa, moglie di Dario, madre di Serse.) José Cemì ricorda la sua asma, la sua gioventù, la sua amicizia con Ricardo Fronesis e Focion. E quando ascolti i loro discorsi, e come se venissi trascinato da una corrente, dove a volte ti lasci portare, e in altre cerchi il ramo sulla riva per metterti in salvo. Discorsi che vanno dalla filosofia alla religione, alla storia della religione, spaziano nella letteratura, poesia, pittura, fino ad arrivare a sparpagliare, in un ordine preciso, miti indigeni, greci, egizi, esoterismo.
Discorsi che iniziano in pianura, e ad un tratto sei dentro un labirinto. Nessun filo, solo porte nel dedalo. Le apri e c è conoscenza, molte volte un nuovo sapere, confusione da allineare, buio che piano piano diventa luce, fiamma che arde e scalda la fredda ignoranza. Nell' uscire, il ragno che non ha paura e quello della curiosità, tesseranno nuove direzioni.
Aiutato da un poco di quel che so, ma soprattutto da wikipedia, visto che, come dice Cortàzar, "non ti chiami Borges " e allora non hai bisogno di nulla.
Leggere "Paradiso ", è stato riempire ancora di più la mia valigia del sapere, della conoscenza. Nella prossima vita ne avrò bisogno, attendendo la mia "levatrice "di turno, per ricordare quello che tutti sappiamo, ma che dimentichiamo rimanendo a galla del nostro "IO".
"Paradiso " è stato più infernale che albero della pace. Amo chi scrive scagliando parole. Le fa frantumare al suolo, per toglierle sia il suono che la forma, e da quello che rimane, modella nuove forme di consonanti e vocali unite insieme, per nuovi pensieri. Amo chi ti spinge a pensare, a cercare fuori e dentro. Amo chi ti fa precipitare; solo così, potrai sapere se hai le ali, se hai imparato a volare nel tuo cielo, o rischi di precipitare, oppure, attacco al suolo rincorri il tuo decollo.
Molte volte troverai il male abbracciato al bene, un credo sottobraccio alla magia, un' idea nata nuvola diventare pietra, un sorriso diventare rabbia, un pensiero rimanere croce senza diventare resurrezione, il cielo diventare terra e la terra diventare caverna, da cui spiccare un nuovo volo.
E allora come chiudere?
Paradiso è la perfezione del cerchio, la sua “unità parmenidea” che tutto contiene.
Ho comprato questo libro a #Plpl17 al frivolo grido di “Ooohhhh un mattone che non conosco! E con la copertina azzuuuuuurrraaa”! Poi ho letto che Cortazar avrebbe dato Cent’anni di solitudine e pure Rayuela per Paradiso. Poi ho letto la magnifica introduzione di Chiara Valerio.E poi mi sono immersa nel libro. Le prime dieci pagine mi hanno esaltato. E poi ho iniziato a non capirci assolutamente nulla. Sarà la stanchezza, la febbre, mi sono detta. L’ho messo in pausa, ripreso dopo qualche giorno e un paio di altri libri. E niente, ancora non ci capivo nulla. Le parole avevano un suono meraviglioso, fluido, ipnotico, ma per di dirindina, non ci capivo un’acca! E poi, precisamente a pagina 179 o giù di lì, mi si è aperto tutto, come un regalo in fondo a tonnellate di tulle. Come un tesoro enorme seppellito in cinquecento scatole. Provateci.
...ContinuaHo comprato questo libro a #Plpl17 al frivolo grido di “Ooohhhh un mattone che non conosco! E con la copertina azzuuuuuurrraaa”! Poi ho letto che Cortazar avrebbe dato Cent’anni di solitudine e pure Rayuela per Paradiso. Poi ho letto la magnifica introduzione di Chiara Valerio.E poi mi sono immersa nel libro. Le prime dieci pagine mi hanno esaltato. E poi ho iniziato a non capirci assolutamente nulla. Sarà la stanchezza, la febbre, mi sono detta. L’ho messo in pausa, ripreso dopo qualche giorno e un paio di altri libri. E niente, ancora non ci capivo nulla. Le parole avevano un suono meraviglioso, fluido, ipnotico, ma per di dirindina, non ci capivo un’acca! E poi, precisamente a pagina 179 o giù di lì, mi si è aperto tutto, come un regalo in fondo a tonnellate di tulle. Come un tesoro enorme seppellito in cinquecento scatole. Provateci.
...ContinuaGli ultimi tre capitoli di Paradiso (12-13-14) sono introdotti da una nota dei redattori che colma l'intenzione dell'autore di porne una analoga nella versione originaria del testo per specificare che l'oggetto della narrazione sono i sogni di José Cemì dopo la morte del padre. La nota riprende parole dello stesso Lezama Lima che infine non ne appose nessuna al momento della prima stesura perché, così conclude, "... ho deciso che il lettore avrebbe capito da solo che si tratta di sogni. Nella maggior parte dei casi non lo hanno capito. E quello che il lettore non trova da solo, crede che sia un'incoerenza dell'autore".
I redattori dell'edizione SUR hanno forse voluto avvisare il lettore dell'elevato rischio di incomprensibilità che lo aspettava nell'ultimo centinaio di pagine del romanzo? Cortazar, in un breve testo inserito a postfazione del romanzo, dichiara di aver letto Paradiso in dieci giorni, interrompendosi solo per respirare e dare il latte al gatto: in effetti io credo di averci messo sei mesi, tempo che mi pare con buona approssimazione equivalente a quello a tempo pieno impiegato dallo scrittore argentino che prosegue affermando che "leggere Lezama è una delle fatiche più ardue e spesso più irritanti che possano esistere".
In generale mi viene difficile dare torto a Cortazar, ma nel caso specifico ancor di più. Di quegli ultimi tre capitoli, pur avendo letto le parole di Lezama inserite dai redattori che hanno voluto reindirizzare il dubbio dell'autore e inserire un monito ai lettori, pur sapendo che si trattava dei sogni di José Cemì dopo la morte del padre, nonostante tutto questo, io non ci ho capito nulla. Forse sono pagine che richiedono una concentrazione sovrumana di cui non sono più capace, ma quello che è più probabile è che non ci sia realmente nulla da capire: il barocchismo onnivoro e straripante della lingua e delle immagini che è la materia viva e pulsante della scrittura di Lezama qui giunge agli apici e soffoca qualsiasi tentativo di approcciare il testo con la logica a cui siamo abituati, quella dei personaggi, delle azioni, delle astrazioni e degli slittamenti di senso. Questi ultimi ingredienti spesso richiedono sapienza e misura, nascondimenti e rivelazioni; Lezama, all'opposto, è sfrenato e incontenibile, crea per aggiunta e sovrabbondanza, storpia e inventa parole, compie inesattezze formali e grammaticali, sfoggia senza sapienza una cultura infinita che non colloca nell'ordine scolastico a cui siamo abituati, quello delle cronologie e delle teorie, ma che lascia diffondere in tutte le direzioni, come acqua che ha perso l'invaso. Religione, storia, filosofia, letteratura, dall'età classica al novecento, permeano da ogni dove trasportate dall'eccesso di parole e immagini che cristallizzano infine in un'architettura difforme dai modelli che l'hanno preceduta proprio perché non ne prende a esempio nessuno, lontana dall'essere avanguardia o sperimentalismo perché sembra non possedere né l'impianto teorico dell'una né il fine dell'altro. Semplicemente, gli ultimi tre capitoli, come anche quelli che li hanno preceduti, non vanno compresi dal punto di vista logico dell'evoluzione narrativa; è invece necessario abbandonarsi alla fisicità delle parole e delle immagini, concentrarsi su quelle e lasciarsi penetrare dal loro flusso coi sensi prima ancora che con la mente, senza resistervi in attesa di quello che ci aspettiamo, e che non troveremo perché, essenzialmente, Paradiso è un'opera che non possiamo prevedere.
L'epopea della famiglia di José Cemì, alter ego dell'autore, dall'infanzia fino alla fine della giovinezza, in una Cuba che non è ancora quella della rivoluzione dei Castro, bensì l'isola post coloniale in cui le famiglie di discendenza europea che si uniscono nel matrimonio tra il Colonnello José Eugenio Cemì e Rialta Olaya, genitori di José Cemì, godono di una posizione privilegiata via via corrosa dall'umidità e dal caldo caraibico. Famiglie in cui gli uomini muoiono giovani lasciando un vuoto virtuoso che potrà essere riempito dai loro discendenti cresciuti nella libertà e nel mistero della loro assenza, in cui le donne sono sagge ed eterne e sostengono col loro amorevole silenzio e la loro elegante fragilità il peso dell'invecchiamento accompagnato dalle morti dei padri, dei mariti, dei figli. L'albero genealogico diventa albero vegetale che si estende infinitamente e vive grazie alla materia morta che proviene da se stesso e gli conferisce sempre maggior rigoglio fino a fargli assumere le proporzioni di una intera foresta, niente altro se non la vita nel suo sviluppo sensuale e indecente, determinata non delle regole all'interno delle quali crescere, ma della libertà della scoperta, delle vie inesplorate, sconsigliate, della libera creazione della propria strada, alimentata in egual misura da cultura ed esperienza. E' così che Cemì scopre la morte, il sesso, l'amicizia, la cultura, gli addii, l'essere solo al mondo.
Paradiso è un romanzo, ma oltre a essere narrativa è anche un'opera poetica e, come è stato scritto, il galateo dei cubani, un manuale di educazione affascinante e non prescrittivo. Com'è tipico delle grandi opere, l'impossibilità a ridurlo a una sintesi molto lascia da dire, in parte perché non lo si può comprendere, in parte perché quello che è comprensibile lo è solo nella forma in cui Lezama lo ha scritto.
"Sapevano che il conformismo nell'espressione e nelle idee assumeva nel mondo contemporaneo innumerevoli varianti e mascheramenti, richiedeva all'intellettuale l'asservimento al meccanicismo di un assoluto causale, affinché abbandonasse la sua posizione realmente eroica di essere, come nelle grandi epoche, creatore di valori, di forme, il salutatore del vivente creatore e accusatore dell'avvolto in un sudario di blocchi di ghiaccio, che ancora osano fluire nel fiume del temporale".
...Continua