Testo denso, tutt'altro che banale. Manacorda realizza una vera introduzione alla disciplina archeologica, senza indulgere a facili semplificazioni. Dalla storia alle metodologie, dalle diverse teorie alle collaborazioni vecchie e nuove con le altre discipline, lo studioso offre una fotografia diacronica e sincronica di un campo di ricerca che è molto cambiato nel tempo e che oggi si avvale spesso delle scienze dure per le sue indagini, pur rivendicando lo statuto di scienza umana.
Libro interessante e ben più serio di quanto ci si potrebbe attendere da una "prima lezione".
Una prima lezione di archeologia – scrive Manacorda nella sua “Premessa” – non è un’introduzione, quanto piuttosto un ‘invito’. A fare che? Beh, a mettersi nei panni di un archeologo e andare a vedere cosa studia di preciso, quali aspetti privilegia, come ragiona, quali sono i suoi interrogativi, i suoi metodi, ecc. Senza essere iper-tecnico, ma neanche banale, Manacorda prova ad articolare tali questioni, senza indulgere in dettagli pedanti che agli occhi di un neofita – il vero destinatario di questo libro – risulterebbero ‘vuoti’ e privi della necessaria cornice di riferimento. È soprattutto di quest’ultima, infatti, che il libretto si occupa.
La prima parte è dedicata a una sorta di ‘collocamento’ dell’archeologia all’interno di quell’insieme di discipline con cui essa è in contatto e con le quali di conseguenza rischia di essere confusa. Qui l’autore fornisce inoltre alcune brevi coordinate storiche (1) circa la maturazione dell’archeologia da semplice ‘collezione di francobolli’ (l’espressione è mia) a disciplina matura con obiettivi e metodi precisi; (2) sulla progressiva emancipazione dell’archeologia dalla storia dell’arte, ossia da una considerazione puramente estetica dell’oggetto studiato (che avrebbe inevitabilmente condotto a privilegiare alcuni oggetti in luogo di altri) a un’attenzione allo stesso in quanto frutto di una concreta realtà materiale, sociale, politica e quant’altro. Molto interessanti proprio le pagine in cui M. sottolinea l’importanza, per l’archeologo, anche (e forse soprattutto) degli aspetti più brutalmente materiali degli oggetti che egli si trova a studiare.
La seconda parte – forse un pelo troppo discorsiva – prende di petto la questione delle domande con cui l’archeologia interroga i propri oggetti, la loro ‘nascita’, ‘vita’, ‘morte’ e infine – scrive M. – la ‘rinascita’, ossia il loro recupero proprio in quanto reperti di interesse archeologico.
Infine la terza e ultima parte opera una succinta ricognizione di alcune partizioni della disciplina. Qui Manacorda riassume tra le altre cose i termini della disputa, per sintetizzare all’estremo, tra i fautori del ricorso allo sperimentalismo e alle tecniche di datazione scientifica e, dall’altra parte, gli scettici convinti che questo approccio porti a semplificare i fenomeni e trascurarne alcuni aspetti essenziali. E chissà – dico io da assoluto profano – che proprio questa disputa non si riveli utile per la disciplina, permettendole di scongiurare tanto l’uno quanto l’altro estremo e di mantenersi in una salubre posizione di mezzo.
...per chi, pur non volendo fare l'archeologo di mestiere, è interessato a questa affascinante materia e vuole sapere qualcosa di più su come si svolga la professione di archeologo senza però doversi "sorbire" volumi enormi pieni di tecnicsmi.
E' insomma un' ottima "infarinatura generale".